Salviamo i monumenti armeni del Nagorno-Karabakh

In una lettera del 23 novembre 20 indirizzata a Audrey Azoulay, direttore generale dell’UNESCO, il segretario generale ad interim del Consiglio mondiale delle chiese (WCC), il Rev. Prof. Dr. Ioan Sauca, ha sollecitato la protezione dei monumenti religiosi e culturali della regione del Nagorno-Karabakh / Artsakh.“La nostra preoccupazione per il patrimonio religioso e culturale della regione, in particolare nelle aree passate di recente sotto il controllo azero, è notevolmente accentuata dai ripetuti bombardamenti della cattedrale di Ghazanchetsots a Shushi avvenuti l’8 ottobre, e soprattutto dai numerosi rapporti che riceviamo. di altre profanazioni più recenti “, scrive Sauca. “Ci sono circa 4.000 monumenti storici, religiosi e culturali nelle aree del Nagorno-Karabakh / Artsakh ora sotto il controllo azero, ognuno con una potente eredità spirituale e culturale da trasmettere”.

La perdita di questo patrimonio sarebbe una perdita irreparabile per l’intera Umanità, continua Sauca. “Chiediamo quindi all’UNESCO di prendere tutte le misure possibili e appropriate per proteggere questi siti sui territori colpiti”, scrive. “A tal proposito, accogliamo con favore la proposta di una missione preliminare sul campo, al fine di redigere un inventario dei beni culturali più significativi, quale presupposto per un’efficace tutela del patrimonio della regione”. Tra le oltre 350 chiese membri del CEC vi sono la Chiesa Apostolica Armena (Madre Sede della Santa Etchmiadzin) e la Chiesa Apostolica Armena (Santa Sede della Cilicia). La lettera segue una dichiarazione del comitato esecutivo del WCC adottata all’inizio di novembre che fa appello al “rispetto per i luoghi santi e il patrimonio culturale del Nagorno-Karabakh / Artsakh” e sollecita “l’UNESCO a prendere tutte le misure possibili e appropriate per proteggere questi siti”.

Come ho già relazionato su questo blog, quella del Nagorno Karabakh è e resterà la storia di un paese negato, e che rischia un nuovo genocidio di ritorno. Il territorio del Nagorno Karabakh, montuoso e coperto di foreste, è abitato prevalentemente da Armeni (che nel 1976 ammontavano al 76% dell’intera popolazione) che in esso riconoscono l’Artsakh, la decima provincia dell’antico Regno di Armenia. Il nome “Karabakh” è composto da due parole, “kara” e “bagh” (o anche “bakh”) che originano, rispettivamente, dalla lingua turca e persiana e significano letteralmente “giardino nero”, mentre “Nagorno” deriva dal russo e significa “altopiano”. Qui nacque la cultura Kura-Araxes (da cui deriva il citato nome armeno di Artsakh) e qui si miscelarono abitanti autoctoni e tribù migranti di natura non indoeuropea. Nel 180 a.C. questa regione divenne una delle province della Grande Armenia, e Tigran il Grande fondò nell’ Artsakh la città che chiamò Tigranakert (dove nel dicembre 2006 sono state scoperte le rovine del castello risalente al II o III secolo). Nel 387, con la spartizione dell’Armenia tra Bisanzio e la Persia sassanide la provincia di Artsakh divenne parte della satrapia sassanide dell’Albania Caucasica e rimase sotto l’influenza culturale e religiosa dell’Armenia. Fu proprio nel IV secolo che ad Amaras, proprio nel territorio dell’attuale Nagorno Karabakh, venne fondato uno dei più antichi siti del Cristianesimo. Secondo Fausto di Bisanzio, storiografo armeno, fu proprio San Gregorio l’Illuminatore che fondò questa chiesa, che ancora oggi raccoglie la tomba del Santo sotto l’abside, e sempre qui Mashtots, l’inventore dell’alfabeto armeno, fondò la sua prima scuola. Secondo un’antica leggenda Tamerlano, durante la sua devastante invasione del 1387, ordinò ai suoi soldati di disporsi in fila fino al fiume Arasse, che scorreva a decine di chilometri di distanza, e di gettare ad una ad una tutte le pietre della chiesa di Amaras in quel fiume, ma una forza divina le riportò al sito originario. Ci sono pertanto profondi legami che uniscono questa terra all’Armenia.

Il Nagorno Karabakh venne inglobato per volere di Stalin nella Repubblica sovietica dell’Azerbaijan dopo la conquista dei bolscevichi del 1920. Nel marzo dello stesso anno si verificò il pogrom di Sushi, una delle capitali culturali del Caucaso, che determinò la totale distruzione del quartiere armeno di questa città e la fuga della popolazione armena sfuggita al massacro. Il recente conflitto bellico, come ci ha relazionato l’ISPI, si è concluso con un’intesa per porre fine dei combattimenti. Ma dietro l’accordo ci sono vincitori e vinti. Tra i primi c’è anche la Turchia di Erdoǧan.

Una folla di persone infuriate si è riversata nel parlamento di Yerevan, in Armenia, saccheggiando e vandalizzando l’ufficio del primo ministro accusandolo di “tradimento”. La rivolta è avvenuta poco dopo l’annuncio di un accordo siglato da Armenia, Azerbagian e Russia per porre fine al conflitto militare nella contesa enclave del Nagorno-Karabakh. Un accordo che il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha definito “incredibilmente doloroso sia per me che per il nostro popolo”, ma dettato dalla volontà di porre fine ai combattimenti, in corso nella regione da oltre sei settimane. “Oggi viene tracciata una svolta nella risoluzione del lungo conflitto tra Armenia e Azerbaigian. L’occupazione dei territori azeri sta giungendo al termine e la soluzione sarà vantaggiosa sia per il popolo dell’Azerbaigian, sia per il popolo dell’Armenia e per tutti i popoli della regione” ha dichiarato da Baku il presidente azero. Ankara può comunque a buon diritto ritenersi tra i vincitori del conflitto transcaucasico.

L’Azerbaijan è fondamentale per la sicurezza energetica della Turchia ed è un importante investitore nella traballante economia turca. Le importazioni di gas dal paese sono aumentate del 23% solo nella prima metà del 2020 e Socar, la compagnia petrolifera azera, è diventato il più grande investitore straniero in Turchia. Inoltre, come riferito dall’ex diplomatico turco Sinan Ulgen ad Al Jazeera, il presidente Erdogan “punta ad ampliare la sua influenza nella regione, per poter negoziare con Mosca su altri fronti caldi, come Siria e Libia”.

Mi auguro che il mondo impedisca in Nagorno-Karabakk il genocidio culturale che i turchi hanno realizzato ad Ani, e che vengano evitati altri crimini e sofferenze contro la sua popolazione armena.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore