Achille Terracciano e la flora eritrea

Achille Terracciano nacque a Muro Lucano il 5 ottobre 1861. Conseguì la licenza liceale nel Convitto Nazionale “Giordano Bruno” di Maddaloni. Si iscrisse poi alla Facoltà di Medicina di Napoli, ma dopo i primi due anni, attratto dallo studio per la botanica, preferì passare alla Facoltà di Scienze Naturali dove si laureò nel 1884. Fu prima assistente all’Istituto Botanico di Roma, poi in quello di Palermo diretto dal Prof. Borzì dove nel 1896 conseguì la libera docenza in Botanica Generale. Nel 1906, quale vincitore di concorso a professore straordinario, si trasferì all’Università di Sassari, ed infine, nel 1917, fu chiamato dall’Università di Siena. Morì a Caserta l’8 agosto dello stesso anno.

Terraciano contribuì in maniera importante all’erbario del Dipartimento di Biologia vegetale dell’Università di Napoli, così come fece anche suo padre e collega Nicola (1837-1921). Altrettanto importante è il contributo da lui dato alla conoscenza della Flora Africana mediante i campioni di piante raccolti durante le sue esplorazioni in Eritrea e oggi custoditi presso l’Erbario Tropicale di Firenze.

Nel 1892 Achille Terracciano, insieme ad Agostino Pappi, giardiniere del Regio Istituto Botanico di Roma, visitò le isole Dahlak e la Baia di Anfilah poste a sud di Massaua. Per queste esplorazioni ebbe il supporto della nave idrografica “Scilla” che la Marina Militare aveva inviato a compiere rilievi dei fondali lungo le coste eritree, in particolare del Golfo di Zula e delle isole Dahlak. Il diario di questa esplorazione fu pubblicato sul Bollettino della Società Geografica Italiana nel 1894, mentre sempre sul citato Bollettino egli scrisse nel 1892: “[…] i prospetti, nell’Eritrea italiana, cambiano ad ogni piè sospinto. Qui, più che in altri luoghi, l’esposizione modifica e determina la fisionomia della flora locale, per un insieme di piccole note provenienti dall’umidità relativa al sottosuolo, dall’umor acqueo precipitatosi durante le notti, dal vento ammorzatore dell’alta temperatura del giorno”.

Terracciano fu un fedele testimone della grande diversità della flora eritrea. Nell’anno successivo (1893) Terracciano visitò l’Hamaisen, l’Assaorta, l’Acchele Guzai, la regione dei Mensa, i monti del Ghedem, il territorio degli Habab e numerose altre località dell’Eritrea. I campioni di piante raccolti in Eritrea da Terracciano e Pappi sono oltre 4.000 e si trovano depositati nell’Erbario Tropicale di Firenze (oggi Centro Studi Erbario Tropicale dell’Università). Essi hanno dato un grandissimo contributo alla conoscenza della Flora dell’Eritrea.

L’area tra Massaua e Asmara, a parte i boschi del Dongollo, si presenta oggi purtroppo abbastanza spoglia e soprattutto quasi completamente priva di alberi ad alto fusto. Ma così non era verso la metà dell’Ottocento. Secondo le fonti orali raccolte da Teobaldo Folchi, nominato da Martini Commissario regionale di Massaua, anticamente erano presenti foreste anche nell’immediato retroterra di Massaua, dove invece già negli anni in cui arrivarono i primi italiani il paesaggio si era trasformato in quello tipico della steppa arborata, simile ad un deserto nella stagione secca, e ad una savana in prossimità dei corsi d’acqua nella stagione delle piogge. Erano presenti le palme dum, anche se non diffuse quanto nel bassopiano occidentale; di queste si utilizzava ogni parte: il legno molto fibroso fu anche impiegato per realizzare alcune traversine ferroviarie, le foglie erano la materia prima delle stuoie e il nocciolo del frutto era usato come avorio vegetale per realizzare bottoni e piccoli oggetti. Erano diffusi anche i tamarischi, il cui legname era usato per utensili, e la ghindà, un arbusto molto comune dai cui frutti si ricavava una bambagia usata per le imbottiture.

Sempre sulla base dei resoconti di Teobaldo Folchi, l’arretramento delle antiche foreste aveva avuto una serie di concause sia antropiche, come il fabbisogno di legname da parte del porto di Massaua per costruire imbarcazioni, lo sviluppo dei villaggi di Otumlo e Moncullo con il conseguente uso di legname come materiale da costruzione e come combustibile ecc.; sia naturali come il passaggio degli elefanti, le termiti ecc. L’arrivo degli italiani non fu senza impatto. Nella relazione della commissione d’inchiesta del 1890 costituita per indagare sullo scandalo Cagnassi-Livraghi, si riferisce che gran parte delle piante d’alto fusto, tra cui maestosi sicomori e acacie, che sorgevano negli alvei dei torrenti, furono distrutte, per necessità di guerra, all’epoca della spedizione San Marzano. Al disboscamento a scopi militari non si sopperì in un secondo momento con opere di rimboschimento, e negli anni successivi alla vegetazione ad alto fusto si sostituì quella erbacea, talvolta frutto delle iniziative di avvaloramento agrario e delle coltivazioni militari

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore