L’esploratore gentile (Pellegrino Matteucci)

Un giovane esploratore, Pellegrino Matteucci, idealista e innamorato dell’Africa, si trovò al centro dei complessi rapporti, delle relazioni conflittuali e delle frequenti antipatie dello spietato mondo dell’esplorazione italiano dell’Ottocento, che vide la romana Società Geografica Italiana ‘competere’ con la milanese Società d’Esplorazione commerciale in Africa. In un saggio che sto scrivendo ho voluto ricostruire questa fitta trama di sogni, di progetti irrealistici, di fallimenti e di tragedie che segnarono gli esordi della presenza italiana in Africa, e che portarono alla morte prematura di Matteucci nel 1881 all’età di soli 31 anni, dopo aver effettuato una traversata del Sahara di oltre 4mila chilometri

La figura di Pellegrino Matteucci è tra quelle meno conosciute e più mitizzate tra quelle degli esploratori italiani della seconda metà dell’Ottocento. Anche se il nome del personaggio è noto, lo è meno la sua storia, che continua ad essere condizionata da leggende e luoghi comuni, complice anche una certa storiografia di maniera che per decenni ha amplificato e anche distorto le vicende di questo giovane italiano innamorato dell’Africa, che morì a soli 31 anni dopo aver effettuato un’incredibile traversata di oltre 4mila chilometri dal porto sudanese di Suakin, sul Mar Rosso, fino al delta del fiume Niger.

I suoi viaggi africani non produssero, a dire il vero, risultati significativi. Nel primo litigò col capitano Romolo Gessi, molto diverso da lui e di ben altro piglio. Nel secondo, che si tradusse anch’esso in un insuccesso, cercò di penetrare l’Abissinia con Gustavo Bianchi, che dopo pochi anni sarebbe stato ucciso dai Dancali nel tentativo di trovare una via commerciale che collegasse la remota colonia di Assab allo Scioa etiopico. I due furono fermati nella stessa località (Fazogl) dove si era dovuta fermare la ‘grande spedizione’ africana diretta da Orazio Antinori, a cui Matteucci aveva cercato invano di unirsi. Il terzo viaggio, quello più lungo e temerario, nacque dalle suggestioni di un precedente itinerario del tedesco Gustav Nacthigal: ebbe fino all’ultimo un andamento incerto e dovette rinunciare a raggiungere Tripoli: la Libia di quegli anni era una specie di ‘terra promessa’ per l’Italia post-risorgimentale, complice l’attenzione di Camperio.

L’analisi delle esperienze esplorative di questo acerbo esploratore appare comunque molto significativa e indicativa del clima dell’epoca, proiettato verso sogni irrealistici di gloria e di conquista di un’Italia che, per risolvere i problemi del suo Risorgimento ‘incompiuto’, cercava un posto al sole in terra africana.

Oggi, attraverso l’esame e lo studio delle pubblicazioni e delle lettere di Pellegrino Matteucci, riusciamo a gettare una luce sul processo esplorativo, quanto mai disordinato e caotico, che condusse molti ‘valorosi’ italiani (spesso in disaccordo tra loro) a esplorare territori africani pericolosi e ostili, senza poter confidare su appoggi governativi di rilievo.

Le inimicizie tra gli esploratori erano tutt’altro che rare, e le iniziative individuali nascevano e morivano con esiti spesso infausti. Per decenni la storiografia ha idealizzato e distorto le figure di questi esploratori, ma oggi, attraverso lo studio analitico delle fonti disponibili (comprese quelle confidenziali) disponiamo di una visuale più veritiera e meno romanzata.

Tra questi esploratori italiani, molto diversi tra loro per carattere, formazione e cultura, vi furono figure eccezionali per tempra, resistenza e coraggio, che nella precarietà ambientale e nei bisogni di sussistenza dovettero sempre mediare per rispondere alle contingenze. Queste enormi difficoltà di adattamento alla realtà africana spinsero spesso i protagonisti di queste esplorazioni a comportamenti estremi, nel bene e nel male[1].

Matteucci ebbe numerose e importanti relazioni con i più importanti protagonisti della fase proto-coloniale, e in particolare con Orazio Antinori, Romolo Gessi, Manfredo Camperio e Oreste Baratieri (che nel 1878 rivestiva la carica di segretario del Comitato africano, un organismo sfacciatamente colonialista che intesseva le lodi di re Leopoldo II del Belgio). Attraverso lo studio delle attività di Matteucci è così possibile rappresentare fedelmente il clima culturale e politico che seguì l’apertura del Canale di Suez (1869) fino al 1881, anno in cui Matteucci perì, e che segnarono i primordi della nostra storia in Africa.

Matteucci fu un giovane esploratore mosso da idealità e da un forte spirito egualitario. Di matrice cattolica, cercò di approcciarsi all’alterità africana ma non aveva le necessarie competenze etnografiche. Convinto assertore della fratellanza umana, dopo una prima esperienza esplorativa con Romolo Gessi conclusasi negativamente, volle tornare nuovamente in Africa su incarico di Manfredo Camperio per aprire in via del tutto pacifica nuovi commerci e mercati che potessero risollevare le sorti dell’industria del Nord Italia, che cercava disperatamente uno sbocco commerciale ai propri prodotti. Questo tentativo fu segnato dal dilettantismo, e i sogni di sviluppo commerciale oltremodo irrealistici.

Della lunga traversata africana di Matteucci si sa ancora ben poco. In una delle sue ultime lettere risalente al 29 luglio 1881 e scritta a Madera, durante uno scalo della nave britannica che lo stava conducendo a Liverpool, Matteucci, rivolgendosi al principe di Teano, presidente della SGI, afferma di aver presentato un ‘nuovo progetto di esplorazione’ che «[…] se riesce sul lato pratico, assicura all’Italia un onorevole posto nelle esplorazioni africane». Questo progetto, se fu consegnato ad Oreste Baratieri (cui era indirizzato affinché lo inoltrasse al citato presidente della SGI) non fu reso noto.

Si ipotizza inoltre, come ha scritto Claudio Cerreti, che ha curato nel 2008 la voce “Matteucci, Pellegrino” del Dizionario Biografico degli Italiani, che sia esistito un diario di Matteucci più completo di quello (scarno) pubblicato da Giuseppe Dalla Vedova sul Bollettino della Società geografica Italiana (BSGI) del 1885 (pp.641-73).

Questo Diario di Matteucci venne probabilmente sottratto o distrutto dopo la sua morte per evitare che si entrasse in competizione con Gran Bretagna e Francia, che stavano concordando la spartizione dell’Africa occidentale. L’Italia di quegli anni era dichiaratamente filo-britannica in politica estera, e questo avrebbe favorito, in corrispondenza con la rivolta del Mahdi in Sudan, lo sbarco delle truppe italiane a Massaua (Eritrea) del 4 e 5 febbraio 1885, dando origine al colonialismo politico e militare italiano in Africa.


[1] Tra questi protagonisti vorrei ricordare in questa sede Giovanni Miani, il Leone bianco che morì nella disperata ricerca delle sorgenti del Nilo, e Romolo Gessi, il Garibaldi d’Africa.

[in foto, immagine di Pellegrino Matteucci]

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore