Il centenario di Rocco Scotellaro

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Rocco Scotellaro. Come sempre accade, il tempo fa sempre giustizia. La poesia di Rocco è in continua crescita, resta viva, e rappresenta ormai un punto fermo, sia per forza estetica ed espressiva sia, più in generale, in chiave sociopolitica. Della sua Lucania restano i silenzi.

Molta acqua è passata lungo l’Agri e il Basento da quando Rocco percorreva le vie lucane, fermandosi presso masserie diroccate o lungo i recinti degli armenti per comprendere quali fossero i bisogni dei pastori-contadini di allora. Dicevano di essere analfabeti, di non avere occhi e voce. Rocco parlava per loro, raccogliendo il loro messaggio di speranza e di cambiamento.

Oggi la speranza di cambiamento è stata riciclata dalla continua fuga dei nostri giovani dal Sud, in quella deportazione-emigrazione che da decenni rappresenta la principale piaga e causa di deperimento umano e, quindi, anche economico-sociale del Mezzogiorno. I piccoli centri rurali si stanno spopolando, e con i nostri giovani se ne va quella speranza di rigenerazione e di cambiamento, e ritorna il degrado culturale e morale.

Si può dire che sia cambiato tutto dai tempi di Rocco ma in realtà è cambiato ben poco. Al feudalesimo agrario oggi è subentrato un nuovo latifondo, allo sfruttamento atavico di allora sono subentrate nuove forme di caporalato e di condizionamento economico. Lo slancio delle riforme istituzionali legate alla Riforma agraria si è perso, e i borghi rurali di fondazione (come Borgo Taccone) sembrano i luoghi persi di un Far West lucano che attendono da anni delle nuove idee per rinascere.

Si sta perdendo anche (e soprattutto) la memoria, si sta cancellando il senso della Comunità. Oggi come allora resta lo stesso tema: non si può modificare la realtà se non approfondendo il quadro del presente, unitamente a quello del passato, se si vuole operare per progettare il cambiamento. Anche la figura di Rocco rischia in fondo di diventare un’icona inoffensiva.

Sì, progettare. Ecco quello che manca. E per farlo occorre pazienza, competenza, continuità, visione e passione. Stanno arrivando i soldi del PNRR e qualcuno sta già mettendo le mani avanti, dicendo di non essere in grado di spenderli. Chi vi scrive ha vissuto i fallimenti della legge n.488/82. Un fiume di denaro, esattamente come nell’ex Cassa del Mezzogiorno, si è dispersa nei mille rivoli del clientelismo e dell’assistenzialismo.

Alcune regioni del Sud sono riuscite in qualche modo ad avanzare, altre si trascinano ancora faticosamente nei propri atavici problemi irrisolti. Qualcuno sbandiera il mito del nuovo Ponte sullo Stretto per cancellare con un colpo di spugna tutti i gap infrastrutturali. Si sa, la politica ha bisogno delle grandi opere. E avanza inesorabilmente una nuova cultura dell’asservimento, della spersonalizzazione, della negazione della cultura e dell’identità locali.

Oggi è ancora difficile parlare di Scotellaro. Il suo nome fa ancora paura. Rievoca la memoria di un Mezzogiorno e del suo popolo contadino che risolleva il capo davanti ai Baroni, che si ribella ai Borboni per conquistare la terra, per emanciparsi dai signori e dai gabellotti. La dominazione feudale perdurava infatti nonostante una legge borbonica del 6 agosto 1806 avesse formalmente abolito la feudalità.

Forse ancora più duro fu il servaggio del contadino lucano tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, e cioè dopo l’Unità d’Italia, specie nei rapporti con la nuova classe politica che nacque sulle rovine del feudalesimo.

La borghesia terriera creatasi attraverso l’erosione dei demani comunali e l’usurpazione della proprietà ecclesiastica, per mano dei piemontesi, che Giuseppe Tomasi di Lampedusa descrisse magistralmente nel Gattopardo, non era certo meno vessatrice di quella baronale. La lotta fu davvero aspra proprio nel Mezzogiorno, e generò il fenomeno del banditismo.

La diversità meridionale faceva paura. La politica coloniale in terra africana nasce proprio per cercare di dare delle risposte al Risorgimento incompiuto. Per stroncare sul nascere la rivolta entrarono in funzione i tribunali speciali, le cui norme vennero estese al territorio eritreo, dove dopo le prime fasi dell’occupazione militare (1885) operò una lobby di militari massoni, con scandali e sistematiche violazioni dei diritti umani.

Se vogliamo oggi celebrare Rocco Scotellaro dobbiamo tornare al suo spirito, alla sua voglia di raccogliere la speranza dei ceti produttivi, dei lavoratori, che ancora oggi rappresentano oggettivamente l’alterità rispetto al rigonfiamento del terziario, del parastato, della burocrazia e della borghesia clientelare meridionale che si abbevera (da sempre) alle fonti inesauribili della finanzia pubblica. Costoro, che vivono di lavoro e non di rendite, sono rimasti gli unici ad aver mantenuto quella dignità e quella capacità di resilienza e di lotta, e che si preoccupano del pane ma anche delle rose.

Oggi la trasformazione del Mezzogiorno nella parte più vecchia e dipendente del Paese rischia di consolidare la prospettiva tradizionale di un Sud assistito, improduttivo; una palla al piede della quale liberarsi, contenendo possibilmente anche il reddito di cittadinanza. Il Nord, attraverso la c.d.” autonomia differenziata”, punta inoltre a risolvere “per parti” la crisi italiana e a rivendicare autonomia, continuando ad accampare diritti alla restituzione di illusori e inesistenti residui fiscali. Un allarme giustificato, ora che il nuovo Governo si impegna a promuovere nuove autonomie per le regioni che rischiano di aprire una profonda spaccatura tra le aree più ricche e sviluppate del paese e quelle più arretrate

Perché quella di Rocco Scotellaro è soprattutto una storia non solo poetica ma di riscatto, politico e umano, che da Tricarico si proietta sul mondo, anzi su tutti i Sud del mondo, che oggi come allora combattono coi loro santi contadini, coi loro sacri vecchi custodi di millenarie tradizioni, che cercano insieme un riscatto dalle loro condizioni e di liberarsi dai gioghi delle gravine e dei tuguri. Ognuno, in fondo, ha un carcerato nel suo cuore, appeso alle sue sbarre, che va liberato

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore