Etiopia: una crisi oscura in balia della disinformazione organizzata

Da elemento di stabilizzazione dell’intero Corno d’Africa, l’Etiopia sta diventando sempre più un elemento di destabilizzazione, che si va ad aggiungere alla cronica crisi somala. Il 4 novembre 2020 è esploso il conflitto nel Tigrai: il TPLF con un atto terroristico ha occupato una caserma governativa a Macallè. Dopo quasi 18 mesi di scontri, il conflitto resta ancora oscuro e complesso, ma nel suo schema base è apparso fin da subito in modo molto netto. Il governo centrale etiopico si contrappone a una regione ribelle. Ma contrariamente a quello che viene fatto credere ai più, non è quella del Tigrai una guerra d’indipendenza o di liberazione, ma una guerra provocata dalle mire espansionistiche dei politici del TPLF. Il tutto all’interno di un sistema federativo etnico che mostra da tempo chiari segni di insofferenza e fragilità.

I Tigrigni son circa l’8% della popolazione etiopica. Il Tigrai decise nel settembre 2020 di tenere delle elezioni interne regionali, in aperta sfida al governo centrale etiopico. Ma a monte c’era molto di più. Il TPLF, per quanto gruppo politico alquanto minoritario, resse le sorti dell’Etiopia dal 1991 al 2018 e ha esercitato per anni un ruolo politico centrale. Nel 2018 i Tigrigni del TPLF sono stati esclusi dall’esercizio del potere centrale, e alla fine hanno cercato di tornare a condizionare il potere di tutto il paese. Il TPLF vorrebbe far tornare indietro l’orologio della storia a prima della pace storica firmata da Eritrea ed Etiopia nel 2018.

Ma quello del TPLF è un obiettivo irrealistico e irrealizzabile. E occorreva bloccare il processo di distensione e cooperazione. Questa guerra è abilmente orchestrata e manovrata da chi vuole ancora un Corno d’Africa sottomesso e colonizzato. E poi la guerra resta un grande business per i principali produttori di armi, e con l’acquisto delle armi e il crescere del debito pubblico i paesi africani si indeboliscono, si disuniscono e infine si piegano ai diktat dei loro ‘benefattori’…

L’area del Corno d’Africa resta quanto di più strategico sul globo terracqueo. E non solo per le basi militari di Gibuti. È un’area di primo arrivo delle merci della Cina. Ed è un’area in cui (carestie, siccità e cavallette permettendo) il territorio agricolo fa gola alle produzioni intensive, che come quelle insediate nella Valle dell’Omo hanno espulso le popolazioni indigene, che si sono ovviamente ribellate. E poi c’è il Mar Rosso, dove transitano milioni di tonnellate di petrolio.

Anche l’Italia è parte della competizione globale. E ci sono delle imprese italiane anche in Etiopia: ad esempio, la Salini Impregilo, che ha realizzato la diga del Grande Rinascimento sul Nilo Azzurro, intorno alla quale è in atto un altro braccio di ferro con Egitto e Sudan. L’Etiopia ha 115 milioni di abitanti ed è un paese centrale dello sviluppo africano. Ma l’Etiopia è sempre stato un paese difficile da governare e molto complesso. In passato, Il Negus Neghesti non aveva una sede fissa, ed era costretto a girare per tutto l’immenso territorio del suo impero per sedare le rivolte, che scoppiavano a sud quando lui andava nel nord, o nel nord quando lui andava a sud…E i conflitti odierni in Etiopia non si limitano solo al Tigrai.

Il Tigrai è di fatto inaccessibile. Nemmeno Medici Senza Frontiere può accedere, e si limita a raccogliere centinaia di feriti al giorno restando solo ai bordi del conflitto. Manca materiale ospedaliero e sanitario, manca il cibo e l’acqua. Oggi seguiamo la guerra in Ucraina in tempo reale. Ma della guerra nel Tigrai invece si sa davvero ben poco, e girano purtroppo parecchie fake news abilmente orchestrate.

Le principali vie di comunicazione restano chiuse al nord e al sud. Il TPLF non rappresenta tutto il Tigrai, e le voci sulle diverse narrazioni sono sempre più confuse, condizionate, frammentate e anche inquinate. Le difficoltà di comunicazione sono notevoli. Addis Abeba ha forse tutto l’interesse a tenere spenti i riflettori su questo conflitto, e ritiene il conflitto nel Tigrai una problematica ‘interna’, spalleggiata da alcune superpotenze interessate (tra cui Cina e Russia), che non vedono l’ora di tornare protagoniste in quest’area. Come raccontare pertanto questo conflitto?

L’Etiopia era riuscita a mantenere una certa equidistanza tra Occidente e Cina. Ma questo equilibrio sta venendo sempre meno. L’Occidente, e soprattutto gli USA, stanno spingendo ‘nelle braccia’ di Russia e Cina sia l’Eritrea che l’Etiopia. Come negli anni bui del conflitto Eritrea-Etiopia, sono tornate le ‘ingiuste sanzioni’ che stanno colpendo per l’ennesima volta l’Eritrea. C’è un odio profondo tra Eritrei e TPLF, un partito che negli anni in cui esercitava il potere centrale in Etiopia individuò nell’Eritrea il nemico ‘comune’ da combattere per tenere unito un paese diviso al suo interno. E non c’è cosa peggiore dell’odio: cova anche per decenni, per poi esplodere all’improvviso, come abbiamo visto nei Balcani.

Il mestiere delle armi riapre drammaticamente le questioni ‘di genere’. Gli stupri di massa aumentano, ma oltre alla violenza ‘di genere’ c’è anche una ‘violenza di generazione’: infanzia, gioventù e anziani vengono colpiti pesantemente dalla violenza e dalla fame. Anche Ahmara, Oromo, e Afar rivendicano ciascuno i propri diritti. La violenza si appropria del territorio etiopico e dilaga. Ma sappiamo poco delle vittime. Si parla di 500mila vittime, ma non si sa quante per guerra, fame o mancanza di cure mediche. Ma chi è responsabile di queste violenze? Solo per 3mila persone si sarebbe accertata la responsabilità ‘effettiva’ dall’Università belga di Gand, una delle poche attive nell’area.

Le peggiori efferatezze sarebbero (il condizionale è d’obbligo) state commesse dall’esercito eritreo, chiamato dal nuovo presidente etiopico ad intervenire in suo soccorso, e che ora si sarebbe ritirato sulla linea di confine. I rifugiati eritrei nel Tigrai sarebbero invece stati posti in salvo dagli Etiopi. Nessun ha mai detto però che il TPLF ha sparato più di sessanta missili contro la città di Asmara, patrimonio dell’Umanità.

La diaspora eritrea ha manifestato energicamente in piazza insieme agli Etiopi contro le fake news, e anche contro i mass-media italiani che raccontavano falsità. Da questo disastro informativo e di comunicazione, c’è comunque un aspetto che non bisognerebbe sottovalutare: l’amicizia tra Etiopia ed Eritrea ne esce sempre più rafforzata. Se qualcuno voleva dividere ancora questi due paesi e metterli l’uno contro l’altro in una continua guerra fratricida ha fatto un tragico errore, l’ennesimo.

Sei milioni di civili nel Tigrai hanno bisogno di aiuti umanitari, di cibo e di medicine. Le strade di accesso sarebbero impercorribili, e resterebbero gli aeroporti a fare da hub. Ma non ci sono ancora le premesse per una trattativa. L’Unione europea non sta esercitando alcuna mediazione. Solo l’Unione Africana, che ha sede in Addis Abeba, sta avviando un’attività di esplorazione, ma l’Etiopia sta frenando, non tollerando intromissioni. Il conflitto rimane così congelato, e si parla solo sottotraccia di possibilità di dialogo, ma tutto è ancora su un piano informale.

Chi sederà al tavolo delle trattative di pace? L’Etiopia rimarrà un paese organizzato sul modello federale etnico? O diverrà altro? E cosa faranno i Cinesi e i Russi? E i Turchi (che stanno investendo pesantemente nel tessile e comprando a man basso i porti somali)? E il grande business dei rifugiati chi lo gestirà? Il Sudan accetterà ancora nuovi profughi, essendo parte in causa nel conflitto per la Diga del Grande Rinascimento? E i grandi investitori come si comporteranno? L’Italia avrebbe recentemente siglato in Etiopia un prestito agevolato di euro 22 mln per favorire gli investimenti…anche questa è una notizia che sono in pochi ad avere diffuso.

Tanti sono gli interrogativi, e scarne le risposte. Il ‘Grande Gioco’ del Corno d’Africa continua…e ritornano le storiche fake news, gli stati canaglia, le ingiuste sanzioni che prima della storica pace siglata nel 2018 tra Etiopia ed Eritrea hanno segnato tragicamente l’intero Corno d’Africa.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore