Yemen. Una sporca guerra che non finisce mai

Lo Yemen continua a subire una crisi umanitaria devastante. I dati di questa grande tragedia umanitaria oggi vengono sommersi da quelli di altre grandi crisi umanitarie e alimentari, come ad esempio quella dell’Afghanistan. Ben 16 milioni di yemeniti, il 40 per cento dell’intera popolazione del paese, rischiano ogni giorno la sopravvivenza.

C’è una tregua siglata due mesi fa, nell’aprile del 2022, che potrebbe essere una prova generale per la pace, ma che purtroppo non lo sarà. La tregua serve in fondo solo per far transitare beni sanitari e commerciali, e a permettere alle opposte fazioni di riorganizzarsi. Ha riaperto l’aeroporto di Sana’a, ed è subito scoppiato l’entusiasmo. Ma chi si prenderà Marib, col suo petrolio, vincerà la guerra. Il territorio di Marib si è arricchito col contrabbando, in una zona che è un corridoio naturale per le merci che transitano dal sud verso il nord.

Gli Huthi (Houti) stanno facendo come il gatto col topo, e vogliono Marib, e sarebbero a un passo dalla sua conquista. Rappresentano una realtà non statuale e si sono evoluti: da truci guerriglieri arroccati sulle loro montagne del Nord sono diventati militari sofisticati che si muovono agilmente ovunque, stringendo nuove alleanze tribali. E poi c’è il fattore Iran, paese che li sostiene militarmente e li rifornisce di droni, che gli Huthi stessi scagliano contro gli impianti petroliferi sauditi. Dopo sette anni di guerra controllano gran parte del nord-ovest. E oggi, finita questa fragile tregua, cercheranno di occupare Marib e il Sud del paese.

Il fronte anti Huthi è molto variegato e diviso. L’Arabia Saudita non è riuscita a vincere, e oggi cerca la pace. Ma cosa succederà sulle linee di confine molto permeabili e sempre più pericolose? I sauditi vogliono mettere in sicurezza i loro confini con lo Yemen, sempre più appannaggio degli Huthi. Ma chi sono gli attori internazionali che stanno agendo in questo conflitto?

Dopo sette anni di guerra, nel paese sta succedendo di tutto. I predoni spadroneggiano ovunque, rapinando e depredando anche i connazionali della diaspora, che hanno il coraggio di tornare in patria, e c’è stato anche un fugace risveglio del sentimento nazionale. Ma si sta inesorabilmente andando verso una ‘somalizzazione’ dello Yemen. Il Nord è ormai totalmente controllato dagli Huthi, e lo Stato è praticamente scomparso sul restante territorio. Non esiste più un sistema sanitario nazionale.

Il Consiglio presidenziale yemenita è una specie di Frankenstein politico: molti dei suoi membri hanno rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, che hanno ritirato i propri militari dal paese ma che restano interessati alle coste yemenite. Quel che resta dell’esercito nazionale yemenita ha sempre più una composizione tribale, e poi ci sono i separatisti del Sud che vorrebbero stare per conto loro.

I sauditi tengono insieme come possono un arcobaleno di gruppi tra loro eterogenei, e difficilmente si tornerà a una repubblica yemenita unificata. La Turchia continua ad offrire droni per pareggiare quelli degli Huthi, e sappiamo quale siano i sogni di espansione del Sultano di Ankara, oggi interessato anche alla Libia. Il resto degli altri paesi cosa sta facendo? Gli aiuti umanitari sono difficilmente gestibili, e la guerra in Ucraina sta spostando l’attenzione altrove.

Il Bab El Mandeb (la Porta del Lamento) è l’imbuto dove passano le petroliere, e il Mar Rosso è diventato sempre più insicuro, e proprio nel momento in cui i sauditi stanno investendo molto nelle loro infrastrutture della loro costa ovest, anche per favorire il turismo. Gli USA vogliono continuare a combattere il terrorismo islamista, e vogliono evitare che lo Yemen diventi un nuovo Afghanistan. A metà luglio 22 Biden andrà a visitare i Paesi del Golfo, e non sarà una passeggiata di salute.

Il presidente USA Cercherà di rimarcare una certa discontinuità rispetto al passato di Trump, e di tranquillizzare i suoi alleati nel Golfo: ma i sauditi restano molto freddi e diffidenti, e difficilmente apriranno più di tanto i rubinetti del loro petrolio. Inoltre, i sauditi non hanno gradito i rapporti dell’intelligence statunitense, che hanno incolpato il principe ereditario saudita Bin Salman per l’omicidio di Jamal Khashoggi avvenuto a Istanbul (e su cui la Turchia di Erdogan ha steso un velo omertoso).

La Cina, come al solito, non si intromette, ma è presente a Gibuti con la sua base militare, e vuole proteggere soprattutto la sua Via della Seta marittima. La Russia gioca cinicamente, e forse vorrebbe rivedere i tempi della Repubblica (socialista) del Sud dello Yemen. Un paese poverissimo e della grande storia resta nel mirino di molti grandi attori internazionali.

Questo conflitto è nato nel 2015, quando gli Huthi presero con la forza il palazzo presidenziale di Sana’a, che venne brutalmente bombardata. Due mesi dopo l’Arabia Saudita intervenne militarmente appoggiata dai suoi alleati del Golfo. Questa non è comunque una guerra per procura, ma soprattutto una guerra politica. Più la guerra va avanti e più si radicalizza, e più gli attori regionali usano le leve del settarismo e delle divisioni religiose per fronteggiarsi.

A pagare le conseguenze di questa guerra infinita saranno ancora una volta i più deboli e fragili di uno dei paesi più poveri del mondo, e la cui storia antica rischia per scomparire per sempre sotto le violenze e i bombardamenti. Oggi nello Yemen si continua a morire anche solo per un po’ d’acqua, per la mancanza di una trasfusione o per la carenza di medicinali. Il mondo oggi si è voltato da un’altra parte…

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore