Emotion Eritrea

Malgrado regni ancora una grande confusione nel mondo politico italiano (stiamo tutti assistendo a una crisi di governo incomprensibile, e che rischia di creare ulteriori gravi problemi anche sul fronte internazionale: in Africa, comunque, eravamo già nel pallone anche prima di questa crisi…basti solo pensare alle vicende tragicomiche della Scuola italiana di Asmara e al fronte libico), la comunità scientifica del nostro paese continua a fare egregiamente la sua parte. Nessuno ne parla, ma architetti, ingegneri, archeologi, docenti, scrittori e operatori culturali in genere continuano, con umiltà e competenza, nella loro proficua opera, quasi sottotraccia, senza che i vari media si occupino più di tanto di loro.

Sull’Africa continuano infatti i soliti articoli telecomandati, scritti spesso da gente che non ha mai visto i paesi che commenta. Il giornalismo, come diceva il grande Kapuściński , dovrebbe in realtà essere fatto più “con le scarpe” che con il computer… come del resto ha anche detto di recente Papa Francesco.

È con grande piacere che annuncio un’altra opera importante per comprendere la realtà eritrea e gli sviluppi in corso della Cooperazione italiana. Alludo al nuovo volume in lingua inglese edito a cura del Politecnico di Milano intitolato “Emotion. Eritrean Mobility and Cultural Heritage. New Frontiers of the Horn of Africa” (Altralinea edizioni, 2020), e che come altri fa parte della Collana di restauro Architettonico.

Sì, l’Eritrea resta un paese “emozionante”, nel senso che dovrebbe anche rappresentare una delle principali frontiere della nuova Cooperazione italiana in Africa, cui di recente sono stati destinati importanti fondi per la creazione del nuovo parco archeologico di Adulis, l’antica cittadina portuale di cultura adulitana che permise ad Aksum di diventare uno dei principali regni della storia antica. Anche qui, siamo particolarmente orgogliosi di quello che ha fatto e sta facendo il CeRDO dei fratelli Castiglioni in questi ultimi nove anni, e le soddisfazioni certo non mancheranno: malgrado le difficoltà, passate e presenti, la ricerca archeologica non si è mai fermata come la cooperazione italo-eritrea in ambito culturale, nonostante l’incidente di percorso della citata Scuola italiana di Asmara. Dopo aver riportato, tra le presentazioni, gli interventi tra gli altri di Pietros Fessahazion, l’ambasciatore eritreo in Italia, di Giuseppe Mistretta, direttore dell’Area Sub-sahariana per il Ministero degli Esteri italiano, e di Vincenzo Racalbuto, Capo dell’ufficio di Kartoum della Cooperazione italiana, il volume si occupa di un tema davvero importante e strategico, sia per lo sviluppo dell’Eritrea che dell’intero Corno d’Africa: quello della relazione tra “mobilità” odierna e il “cultural heritage”, che va preservato.

Il contesto storico e territoriale eritreo, come tutti sappiamo, è stato segnato da una significativa presenza italiana, che ha disegnato e realizzato durante il periodo coloniale tratti ferroviari, strade e infrastrutture che tuttora appaiono avveniristiche, e che hanno di fatto realizzato e trasformato un paese vario e complesso, superando ostacoli fisici e geografici incredibili.

Ora, con la pace (speriamo duratura) con l’Etiopia, si aprono nuove prospettive che, in realtà, rispecchiano antichi miti e sogni, come quello di rivedere pienamente funzionante il porto di Massaua, a beneficio anche della stessa Etiopia che, non avendo accessi diretti al mare, per il suo interscambio commerciale deve ancora ricorrere a Gibuti, che non a caso resta uno dei centri nevralgici delle nuove Vie della Seta marittime della Cina. Ed è sempre la Cina ad aver finanziato la realizzazione della nuova ferrovia che collega sempre Gibuti ad Addis Abeba.

Lo sviluppo dell’Eritrea e di tutto il Corno d’Africa avrà bisogno ovviamente di nuove strade, di nuove infrastrutture ferroviarie, portuali e industriali, ma tutto ciò non deve portare al collasso o all’abbandono dell’eredità infrastrutturale del colonialismo italiano, né alla minaccia di patrimoni culturali e ambientali inestimabili (come, ad esempio, le isole Dahlak). Il futuro ha sempre un volto antico, e se vogliamo veramente aiutare tutti i paesi che un tempo appartenevano all’AOI, dobbiamo poterlo fare sempre partendo dalla conoscenza e dal rispetto per le particolarità di questi territori, spesso complessi e accidentati, ma ricchi di storia, di cultura, di meraviglie e di suggestioni. E per far questo occorre un approccio multidisciplinare, che sappia coniugare soluzioni tecnico-progettuali alla conoscenza storica e culturale, al rispetto delle varie culture e dell’ambiente.

Sì, anche la cultura è uno straordinario motore di sviluppo economico, e questo l’ha ben compreso il governo eritreo. Speriamo che anche l’Italia si accorga prima o poi di ciò, e adotti le opportune strategie per valorizzare adeguatamente il patrimonio interno e le relazioni africane.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore