Bektashi (Albania)

Sull’altra sponda dell’Adriatico, ai margini dell’Islamismo già noto, sopravvive una confraternita religiosa di origini antichissime, e che conserva tratti di profonda spiritualità e di misticismo. Si tratta dell’ordine dei Bektashi, di derivazione sufi, che rappresenta un componente importante dell’orizzonte etnico – religioso albanese ma che affonda le radici nel mondo sciita della Turchia del XIII secolo d.c., e, andando ancora più in là nel tempo, nell’evento drammatico che costituisce la nascita del movimento sciita, ossia la nota battaglia di Karbala del 680.A questa corrente di “perdenti” e di “sofferenti” si richiamano infatti i Bektashi.

Cos’è il Bektashismo? Si può definire come un ordine sufico, un movimento islamico che si sviluppò in Medio Oriente tra l’XI e il XII secolo: un culto mistico che nei secoli ha messo in comunicazione Occidente e Oriente. A quel tempo un numero di missionari mistici, conosciuti come i santi del Khorassan, (una regione desertica della Persia), si infiltrò in Anatolia, dove influenzò a sua volta i Dervisci. Il nome di questo movimento deriva dal nome del suo leggendario fondatore, Hadji Bektash, originario del citato Khorassan iranico e che visse in Anatolia nella seconda metà del XIII secolo.

Il Bektashismo è un fenomeno davvero interessante di contaminazione culturale e religiosa, che nasce dal mix dello sciamanesimo centro-asiatico e delle credenze popolari locali, e che si diffuse tra i villaggi della popolazione più povera dell’Anatolia, mescolandosi all’animismo locale palesemente influenzato dalle pratiche e dalle dottrine sufiche, nonché dagli antichi elementi preislamici e non islamici che traevano origine, a loro volta, da buddhismo, manicheismo, cristianesimo ed altre antiche religioni.

Nell’area anatolica e in seguito anche nei Balcani, il Bektashismo si misurò col neoplatonismo e con il cristianesimo nestoriano, e inglobò in modo eclettico varie componenti mistiche ed apologetiche, dottrine antropomorfiche e cabalistiche, e numerose simbologie che finirono col combinarsi al credo sciita, divinizzando la figura di Alì, la manifestazione di Dio in forma umana, reincarnazione e metempsicosi che avvicina gli sciiti alla fede cristiana. I fedeli bektashi hanno una guida spirituale (“baba”) e si riuniscono in congregazioni religiose, in ordini sufici chiamati “tariqa”.

Con l’avvento di Kemal Ataturk, che nel suo programma di secolarizzazione della Turchia mise al bando tali ordini, il Bektashismo trasferì il suo quartier generale proprio in Albania, insediandosi a Tirana. Per secoli attraverso il Bektashismo l’Islam penetrò in Albania, Kosovo, Grecia, Bulgaria e in parte della Macedonia. L’Albania fu particolarmente ricettiva della fede bektashi, proprio a causa della sua tradizionale tolleranza verso le religioni, anche tra loro differenti: mai nella storia albanese si sono verificate guerre di religione, e nel territorio albanese per secoli hanno pacificamente convissuto (e ancora convivono) pratiche cristiane e precristiane che trovarono sotto l’ombrello del Bektashismo un comune denominatore, il tutto in contrasto con l’Islam sunnita dei conquistatori ottomani. Si stima che in Albania già nel XII secolo il 15 per cento della popolazione fosse bektashi, equivalente ad un quarto di tutti i fedeli musulmani del paese, e i centri bektashi rappresentarono storicamente per secoli luoghi di diffusione e di radicamento della cultura e della lingua albanese, concentrati specialmente nel sud dell’Albania.

Anche in Albania successe pertanto la stessa cosa che avvenne in Persia, dove intorno al movimento e al credo sciita si rinsaldarono l’orgoglio e l’indipendenza dell’indomito popolo persiano contro l’invasore ottomano. Ali Pasha Tepelena, il “leone di Ioannina” che contrastò aspramente il potere ottomano in Albania, intrecciando ardite alleanze con francesi ed inglesi e che nel 1819 dichiarò unilateralmente l’indipendenza dell’Albania dall’Impero Ottomano, apparteneva anch’egli ad un ordine bektashi. Nel 1826, il sultano Mahmud II, che dopo due anni di assedio a Ioannina giustiziò Ali Pasha Tepelena nel 1821, portando la sua testa e quelle dei suoi due figli a Costantinopoli ed esponendola all’interno del Serraglio, soppresse il corpo dei giannizzeri (che erano essenzialmente albanesi e attraverso il quale il Bektashismo si diffondeva) e ordinò la chiusura delle “tekke” in tutto l’Impero Ottomano, ma il Bektashismo non fu mai sradicato completamente dal territorio albanese e, al contrario, divenne una componente prominente anche durante gli anni del movimento nazionalistico albanese.

Con la formazione dello Stato indipendente albanese nel 1912, il governo si proclamò laico. Le esperienze delle guerre balcaniche e della Prima guerra mondiale comportarono l’esigenza di accantonare ogni distinzione religiosa in nome dell’etnia comune a tutti. Per questo motivo nel periodo tra le due guerre mondiali in Albania non si conobbe una religione ufficiale di stato, e questo garantì la piena libertà di culto a tutte le confessioni religiose. Dopo la vittoria del comunismo nel 1945, gli albanesi inizialmente furono teoricamente liberi di professare la propria fede. Tuttavia, la “spinta” del dittatore Hoxha ad “educare” gli Albanesi secondo l’ideologia comunista ha socialista ha portato alla distruzione degli usi e delle vecchie tradizioni patriarcali e conservatrici. Fu così che la religione ebbe un ultimo duro colpo nel 1967 con l’interdizione di tutte le pratiche religiose, cosa che fece dell’Albania il primo stato totalmente ateo nel mondo. Il movimento Bektashi fu ferocemente perseguitato negli anni successivi dalla dittatura comunista, e molte tekke sono state distrutte. I capi spirituali furono perseguitati, incarcerati e torturati. Molti libri sacri sono stati distrutti o sono andati perduti.

A seguito delle guerre balcaniche e della prima guerra mondiale, avvenne la distruzione di circa l’80 per cento delle “tekke” (*) albanesi. Durante la terribile dittatura di Hoxha solo la “tekke” di Gjakova in Kosovo continuò ad operare. Purtroppo, questo bellissimo edificio di culto fu raso al suolo da estremisti serbi nella primavera del 1999, insieme ai resti di tutta la città vecchia. L’odio interetnico ha continuato a produrre i suoi crimini contro il patrimonio storico kosovaro: alla pulizia etnica verso il patrimonio albanese si è sostituito l’accanimento contro le vestigia serbe, verso il patrimonio della cristianità serbo-ortodossa. Come la “tekke” di Gjakova anche la chiesa del monastero di Dlesok in Macedonia, a pochi chilometri dal confine col Kosovo, è stata devastata da un attentato nel 2001. In Kosovo, la furia omicida che si diffuse dal 1999, anno in cui le truppe NATO entrarono nel territorio kosovaro, fu l’effetto immediato dello scatenarsi delle rappresaglie e delle vendette delle milizie dell’UCK, che dopo aver accumulato per decenni le frustrazioni del popolo albanese di origine kosovara scatenò un odio incontrollabile, aggiungendo altro odio all’odio.

L’ordine religioso Bektashi ha una struttura ieratica con credenze, riti e pratiche che rappresentano con evidenza il sincretismo che da sempre lo contraddistingue. La principale categoria di credenti è composta da “ashik” (che in turco significa “credente”), e rappresenta il semplice fedele bektashi che non è stato ‘iniziato’ in alcun modo. Questi credenti sono guidati da un “baba” (padre spirituale) al quale sono legati da una profonda devozione. Il “muhib” (in turco “simpatizzante”) è invece un membro della comunità bektashi che ha ricevuto una ‘iniziazione’ durante un rituale purificatorio e una ‘professione di fede’ durante una cerimonia tenutasi nella tekke. Dopo un periodo di prova il “muhib” può diventare un “dervisch”, e ricevere il capo bianco chiamato “taj” e altri ornamenti e vivere in permanenza nella “tekke”. Il “dervish” può pertanto essere considerato l’equivalente di un monaco cristiano. Il “myxher” (dal turco “mucerred”, “persona esperta, illibata e pura”) è il membro di una speciale categoria di dervischi. Il “baba”, come anzi detto, è il maestro spirituale, la Guida, l’equivalente dello “sheikh” negli altri ordini dervisci; normalmente ogni “tekke” ha un suo “baba”, mentre con il termine “giysh” (letteralmente “grande padre” sempre in turco) si identifica il superiore dei “baba” e responsabile di tutte le “tekke” di una determinata regione, ed infine con “kryegjysh” (“il capo dei grandi padri”) si chiama il leader dell’ordine dei Bektashi.

Le pratiche bektashi sono molto particolari, e rispecchiano il sincretismo religioso dell’ordine. Sono particolarmente ‘liberali’ e, per questa loro particolare caratteristica, sono da sempre invise ai religiosi sunniti, che rimangono scandalizzati dall’indifferenza che i fedeli bektashi mostrano verso alcuni “must” del comportamento religioso e delle pratiche dell’Islam tradizionale. Il fedele bektashi prega infatti solo una volta al giorno e non cinque, e quando lo fa non è obbligato a genuflettersi verso la Santa Mecca. I bektashi rifiutano ovviamente la carne di maiale ma bevono tranquillamente alcol e addirittura nei pressi delle “tekke” distillano la propria “raki” (grappa), e in tal senso assomigliano moltissimo ai fedeli dello shintoismo giapponese. Le donne betkashi mangiano insieme agli uomini durante le cerimonie. Di contro, i fedeli bektashi non digiunano durante il Ramadan, ma si astengono solamente dal bere nel periodo del “matem”, il primo dei dieci giorno del mese del “Muharrem”, durante il quale soffrono e pregano per la morte dell’Imam Husein (e questo ricorda il loro legame col mondo sciita): durante questo periodo si limitano a bere solo yogurt e zuppa di lenticchie, alla fine del quale celebrano la festa dell’”Ashura”. Celebrano inoltre il “Nevruz” (o Noruz), il Capodanno persiano che rappresenta anche la nascita dell’Imam Ali, e che ricorda le antiche origini del Khorassan persiano del loro capostipite.

Avendo assorbito svariate influenze e credenze religiose, che vanno dall’eterodossia Turkmena, all’ascetismo Kanederi del XIV secolo (che ispirò anche il misticismo indiano e persiano) e al melametismo sufico, i fedeli bektashi sono panteistici (altro elemento di forte contrasto col credo sunnita). Credono infatti nell’Imam Ali e in Fatima, ma credono anche in Mosè, Maria, Gesù e nei suoi discepoli. Il loro motto è: “fare del bene e astenersi dal male”. Allah, Maometto e Ali rappresentano una sorta di ‘trinità’, che adorano insieme ai Dodici Imam della tradizione sciita. Sul piano etico aderiscono alla formula turca “eline, diline, beline sahip ol” (“sii sempre padrone delle tue mani, della tua lingua e delle tue reni”) che usano sempre all’inizio delle loro cerimonie.

A seguito del collasso del comunismo la comunità bektashi sta riprendendosi lentamente; oggi continua ad operare in trentun paesi e annovera almeno 200 milioni di aderenti in tutto il mondo. Ecco perché è preziosa la “tekke” dei Dollma di Kruja. Posizionata all’interno del castello, universalmente noto per le gesta straordinarie di Scanderberg (alias Giorgio Castriota), fu realizzata nel 1789, e fu proprio il baba di Kruja a convertire al Bektashismo Ali Pasha Tepelena. All’interno dell’antico edificio si scorgono delicate scritture sufiche sopravvissute allo scempio del comunismo, che trasformò la “tekke” in un magazzino. Accanto all’edificio si erge un bellissimo ulivo centenario e nei camminamenti intorno a questo luogo sacro si gode di una vista spettacolare.

(*) Conventi turchi, dove vivevano in comune gli affiliati alle confraternite religiose musulmane, tra cui i Bektashi.

Per approfondire:

Vittoria Luisa Guidetti, “L’Islam vicino: i Bektashi”, Edizioni Lionello Giordano, Cosenza 2002;

Alessandro Pellegatta, “Agim. Alla scoperta dell’Albania”, Besa editrice, 2012

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore