Asinara (quarta puntata)

Eccomi arrivato con una bicicletta muscolare a Cala Reale. A poca distanza dal molo, c’è un relitto di una nave di epoca romana, che trasportava anfore contenenti prodotti a base di pesce, ora visibile a pochi metri di profondità. Si tratta di un sito unico nel Mediterraneo: circa 39 mila reperti sono adagiati sul fondale, a soli sette metri di profondità.

All’atto dell’esproprio dei terreni di proprietà degli antichi abitanti dell’Asinara, con legge n° 3183 del 28 giugno 1885 l’isola fu territorialmente ripartita in due giurisdizioni delimitate da appositi confini (muri a secco, filo spinato e, lungo la viabilità pilastri ancora in gran parte visibili). Al Ministero della Marina competevano due differenti aree: la zona di Cala Reale (da Campo Perdu a Trabuccato) destinata alla creazione della Stazione Sanitaria di Quarantena e l’area di Punta Scorno nella quale già esisteva sin dal 1854 il faro la cui costruzione era stata auspicata dal Lamarmora. Al Ministero dell’Interno (da cui all’epoca dipendevano direttamente le strutture di pena)  competeva tutta la restante parte del territorio da utilizzare come Colonia Penale Agricola.

In quegli stessi anni in cui si approvava il Regolamento per la sanità marittima, a Cala Reale venne realizzato un forno crematorio e una stazione sanitaria di quarantena (lazzaretto). In esso, tra gli altri, nel 1913 un nutrito gruppo di Ascari del VII battaglione eritreo provenienti da Massaua vi furono trasportati dal Piroscafo Bologna.

Ma fu nel 1915 che si abbatté sull’isola il ‘tornado austro-ungarico’. il 18 dicembre 1915 gettò l’ancora, nella rada di Cala Reale, il Piroscafo “Dante Alighieri” con i primi 1.995 prigionieri austro – ungarici. Il natante viaggiava assieme al Piroscafo America con 1.721 prigionieri ed un Cacciatorpediniere di scorta. I prigionieri avevano già contratto il colera, ma sull’isola non si sapeva, lo si apprenderà solo pochi giorni dopo!

Furono 25- 27 mila i prigionieri che sbarcano in varie ondate, in 5 -7mila moriranno sull’isola e non era certo possibile cremarli tutti poiché, come afferma Luca Gorgolini nel suo libro “I dannati dell’Asinara”, il Crematorio era capace dell’incenerimento solo di una salma in 24 ore!

Nell’ottobre del 1915 24mila soldati austro ungarici vennero presi in custodia dall’esercito italiano nel porto albanese di Valona e deportati sull’Asinara. Rinominata presto “isola del Diavolo”, l’isola si rivelò da subito totalmente inadatta a ospitare un numero tanto grande di prigionieri.

L’Italia era al corrente delle misere condizioni in cui versavano le migliaia di superstiti, fra le quali si era diffuso il tifo e iniziavano a comparire i primi sintomi di colera. I soldati italiani impegnati nello sgombero del porto di Valona rimasero agghiacciati dalle loro condizioni.

L’ufficiale Nicora ricorda così l’incontro con circa 650 ufficiali austriaci giunti nei pressi di Feras, a pochi chilometri da Valona: «Mi sfilarono tutti sotto gli occhi: al confronto delle condizioni in cui erano ridotti tali ufficiali, i nostri soldati, che pur venivano dal Carso e non guazzavano nell’abbondanza, erano l’emblema del benessere e della ricchezza. Quasi tutti scalzi, coi piedi ignudi e tumefatti che qualcuno teneva avvolti in stracci fangosi e chiazzati di sangue; tutto ciò che una volta doveva costituire l’uniforme, si presentava ora come un ammasso di cenci sudici e logori che stentavano a coprire le nudità; qualche indumento, irriconoscibile a prima vista, conservava ancora le tracce di elegante mantello, o cappotto alla moda, che una volta aveva probabilmente sfolgorato negli eleganti ritrovi viennesi».

L’organizzazione e la gestione logistica e sanitaria dei prigionieri fu affidata essenzialmente a due figure: l’epidemiologo Alberto Lutrario e il generale Paolo Springardi. Si diffuse tuttavia una voce non meglio identificata secondo la quale la marina austriaca stava preparando un attacco al porto di Valona, e ciò spinse i comandi militari italiani a disattendere il piano logistico e sanitario predisposto dai due esperti e ad imbarcare in fretta e furia quanti più prigionieri possibili, al fine di sgomberare la costa albanese in tempi rapidi.

La stazione sanitaria dell’Asinara si dimostrò fin dai primi giorni totalmente impreparata ad accogliere le migliaia di uomini che le lance della marina italiana stavano trasportando sull’isola. Diverse lance furono quindi costrette ad attendere per giorni nelle acque antistanti l’isola, permettendosi solo piccoli spostamenti al largo per gettare a mare i cadaveri di coloro che nel frattempo morivano all’interno delle stive.

Il fallimento, logistico e sanitario, del governo italiano fu totale e venne presto rimosso dalla coscienza pubblica nazionale. L’Italia fece in modo che un muro di silenzio si ergesse a difesa della reputazione della nazione. Anche le ruberie della Grande Guerra, verranno presto rimosse dall’intervento diretto di Mussolini, che sciolse l’apposita commissione parlamentare che stava indagando sulle spese belliche, considerato che dietro queste ruberie vi erano gli stessi imprenditori che avevano favorito la scalata al potere del duce del fascismo.

Settemila di questi soldati austro-ungarici, poco meno di un terzo del totale, morirono nei primi tre mesi di detenzione a causa delle epidemie, del freddo, della fame e della sete. Le loro ossa bianchissime sono state raccolte in un’ossario solo tardivamente. Solo tramite la legge 877 del 12 giugno 1931, nel 1936 si diede infatti avvio alla costruzione di un ossario che contenesse le spoglie dei prigionieri austro-ungarici deceduti nell’isola dell’Asinara.

Tale costruzione, voluta dal Governo austriaco, si trova sulle falde orientali del Monte Ruda e raccoglie i resti di 7 048 militari provenienti dagli ex cimiteri precedentemente presenti nell’isola. La struttura presenta una grande facciata in granito a forma di croce, con la scritta “PAX / OSSARIO AU”. L’interno è caratterizzato dalla presenza di una ventina di vetrate che mostrano le spoglie dei soldati austro-ungarici, un altare e tre dipinti su ceramica raffiguranti la Madonna. Vi si accede lungo una scalinata che si fa spazio tra la macchia mediterranea e alberi di ginepro secolari.

(nell’immagine: l’ossario austro-ungarico dell’Asinara, foto dell’autore)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore