Asinara. Memorie, dolori, asini e ginepri (seconda puntata)

Mi imbarco da Stintino, con destinazione Asinara. Oggi i traghetti si sono diradati per via del forte grecale. Il mare è molto agitato, e tra le spume si intravedono stormi di procellarie. Arrivo a Fornelli e scelgo una mountain bike muscolare (cioè non assistita da motorino elettrico), e presto ne scoprirò il significato. Mi aspettano una ventina di chilometri di continui saliscendi, tra strappi duri e discese non proprio banali, per raggiungere Cala d’Oliva, che sta dall’altra parte dell’isola.

I blocchi di cemento dell’unica strada asfaltata, creati con gettate su rete elettrosaldata, mi ricordano quelli delle strade dell’Africa orientale italiana. Questo suolo durissimo resiste alle intemperie e all’incuria degli anni. A Fornelli avviene il primo incontro con i ruderi carcerari di quest’isola, ognuno dei quali conserva la sua storia e le sue suggestioni. I detriti del tempo e il tempo dei detriti. I ruderi come dettagli di memorie, i rottami come allegorie delle miserie umane. Quest’isola stupenda, oggi tutelata e santuario della biodiversità terrestre e marina, per lungo tempo fu una prigione durissima. Ma i turisti, che a frotte salgono velocemente sui trenini che fanno il giro dell’isola, non sembrano avvedersene.

Qual è l’origine etimologica di Fornelli? Prima del 1879, anno in cui Thomas Alva Edison inventò la lampada a incandescenza, il sistema di allineamento nautico era applicato attraverso l’utilizzo di grandi bracieri detti appunto “fornelli” in cui arbusti e legname, via via accatastato dagli addetti alle guarnigioni, ardeva perennemente per consentire ai naviganti l’attraversamento sicuro del canale.

Dicevo di Fornelli. Questo distaccamento è stata la prima sezione carceraria costruita sull’isola. Ne vennero successivamente aperte altre ed alcune furono adibite a colonie penali agricole. Questo carcere è stato utilizzato durante gli Anni di Piombo per la reclusione di membri delle Brigate Rosse. In quell’occasione furono attrezzate le celle di massima sicurezza. In seguito a un tentativo di insurrezione, avvenuto il 2 ottobre del 1979, la sorveglianza a Fornelli fu notevolmente rafforzata. Oggi è tutto abbandonato, e l’edificio di Fornelli è inagibile. L’ingresso è sbarrato: intorno si notano delle garitte vandalizzate. Poco distante c’è una fontanella che reca la data del 1896.

La colonia penale dell’Asinara venne fondata nel 1885 con un decreto regio, che sancì l’esproprio delle terre e il trasferimento dei cinquecento abitanti dell’isola, che ebbero in cambio delle terre coltivabili in Sardegna. Sull’isola venne creata una stazione sanitaria di quarantena e in seguito vennero istituiti svariati distaccamenti carcerari (in totale 11), tra cui la Diramazione centrale a Cala d’Oliva.

Il complesso di Fornelli nasce come sanatorio giudiziario negli anni Trenta del Novecento, venne utilizzato per recludere gli antifascisti durante il regime e come tubercolosario durante la Seconda Guerra Mondiale e poi fu convertito a prigione per delinquenti comuni. A partire dagli Anni di Piombo, Fornelli divenne il distaccamento carcerario di massima sicurezza dell’isola. Il 25 giugno 1971 vennero qui trasferiti anche 15 detenuti per reati mafiosi, e in breve tempo il numero dei ‘detenuti speciali’ aumentò fino agli anni Ottanta.

A metà degli anni Settanta i detenuti che “soggiornano” all’Asinara sono 500, di cui 120 obbligati alla reclusione coatta nel carcere di Fornelli, e 200 nella casa di lavoro all’aperto. I restanti sono divisi tra Campo Perdu, Tumbarinu, Cala d’Oliva e Case Bianche.

Nello stesso periodo, molto “turbolento”, due importanti generali visitano il carcere dell’Asinara, Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giuseppe Galvaligi che dichiarano il penitenziario adatto a ricevere detenuti di maggiore pericolosità.

Arrivano così all’Asinara molti detenuti provenienti da altri penitenziari e mentre all’interno di varie carceri italiane scoppiano rivolte legate alle forti misure di sicurezza introdotte, anche all’Asinara “si respira un clima di grande tensione che sfocia molto spesso in sommosse e violente proteste dei reclusi”.

In queste celle di Fornelli vennero reclusi criminali di estrema destra ed estrema sinistra, mafiosi ed esponenti di diverse associazioni criminali organizzate, che vennero sottoposti al ‘carcere duro’ secondo i dettami dell’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975 n.354. Articolo che i mafiosi oggi vorrebbero abolire, e che fu all’origine delle trattative Stato-mafia di cui ancora oggi sappiamo ben poco. Sul tema, c’è ancora molta confusione: queste misure ‘straordinarie’ vennero pensate non in chiave afflittiva ma protettiva per la società civile.

Tuttavia, Fornelli divenne ben presto un vero e proprio ‘lager di Stato’. Come venne scritto in un articolo de “La Nuova Sardegna”, “... i fari accesi tutta la notte e armi puntate a decine...” fanno si che “nessuno è mai interamente solo”. Questo “monumento alla paura”, dove “i detenuti e anche le guardie vi sono tenuti in condizioni subumane”, è stato definitivamente chiuso con un atto non ufficiale il 31 dicembre 1980, ponendo fine alla dittatura del suo direttore Luigi Cardullo (in seguito condannato, insieme alla moglie, per il suo ‘doppio lavoro’).

(continua)

(nell’immagine: ingresso del carcere di Fornelli – foto dell’autore)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore