Nelle terre dei profumi e dei veleni (esploratori italiani ai confini del mondo)

Londra, primavera del 1865. Inizia l’era delle grandi esplorazioni. Potenti Stati coloniali si contendono accanitamente in tutto il globo terracqueo territori sconosciuti, proiettandosi oltre i confini del mondo “civilizzato”. Terre lontanissime, isolate dal resto del pianeta, tribù primitive che ricordano la preistoria, selve impenetrabili e pericolose, piante velenose e cacciatori di teste, uccelli del paradiso e fiori che odorano di carne putrefatta, profumi ed eteree presenze femminili, creature mai osservate altrove in una natura sempre esuberante e bizzarra: tutto ciò attrasse irresistibilmente la fantasia di un giovane studioso fiorentino, che dopo essersi specializzato presso i giardini botanici inglesi partì via nave attraverso un viaggio lunghissimo per conoscere il poco che si sapeva della lontana isola del Borneo.

Stava così per iniziare il primo e più importante viaggio in quelle terre di Odoardo Beccari, nel corso del quale percorrerà in lungo e in largo la giungla del Sarawak registrando dati, raccogliendo migliaia di reperti scientifici ed entrando in profondo contatto con le comunità indigene. Beccari, che con le sue relazioni ispirerà la narrativa di Emilio Salgari, vivrà tre anni in completo isolamento, in luoghi inesplorati e tra popoli primitivi, senza rimpianti per gli agi e le tecnologie di casa. Tre anni che Beccari si trova a descrivere, dopo quasi quarant’anni, in un racconto di viaggio suggestivo, dove la spigolosità del carattere e il rigore dello scienziato si fondono inaspettatamente con la poetica nostalgia per gli anni giovanili.

Con la nascita della Società Geografica Italiana (SGI), fondata proprio a Firenze nel 1967, il viaggio scientifico si affermerà, affiancando gli interessi naturalistici a quelli politici ed economici. E come dirà in seguito Raffaello Gestro, Beccari sarà un esploratore scientifico “insuperabile”. I suoi viaggi arricchiranno il Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze, e in particolare le collezioni botaniche: oggi le sue raccolte sono conservate nell’Erbario della Malesia, che annovera oltre 16mila exiccata. Alle sue imprese esplorative si ispirerà Emilio Salgari nell’elaborazione della saga delle avventure di Sandokan, che Salgari stesso ambienterà nei luoghi e tra i personaggi che egli poté conoscere solo attraverso la narrazione di Beccari.

La fascinazione per questo mondo primordiale attirerà, oltre a Beccari, altri esploratori italiani che oggi sono in pochi a ricordare; Giacomo Doria, Luigi Maria d’Albertis, Enrico d’Albertis, Elio Modigliani, Giovanni Maria Cerruti e Lamberto Loria. Dettero addio alla “civiltà” attratti irresistibilmente dalla foresta, che come scrisse Beccari “[…] ispira più timore dell’oceano e del deserto […]: nella foresta […] più si avanza e più sembra che il mondo si chiuda dentro di noi […]”. L’Italia di quegli anni guardava soprattutto all’Africa: nel 1869, anno dell’apertura del Canale di Suez, Raffaele Rubattino aveva rilevato la baia di Assab e nel 1885 saremmo sbarcati a Massaua. Ma questi esploratori seppero guardare altrove, e senza particolari aiuti affrontarono territori lontanissimi e quasi sconosciuti per amore di scienza e di conoscenza.

Giacomo Doria nel 1864 ebbe occasione di conoscere a Bologna il botanico Beccari, insieme col quale progettò e realizzò una spedizione in Borneo. Si imbarcarono dunque a Suez il 19 aprile 1865, sostarono ad Aden e a Point de Galle, proseguirono per Malacca e raggiunsero Singapore alla fine di maggio. Il 19 giugno arrivarono a Sarawak e lì fecero base per esplorare l’isola di Borneo. Nel gennaio del 1866, Doria fu però costretto a tornare prima del previsto, in seguito alle cattive condizioni di salute; dopo il suo rientro in marzo a Genova, operò perché in questa città sorgesse un Museo di storia naturale.

Luigi Maria d’Albertis, un ex-garibaldino originario di Voltri che era entrato in contatto con Giacomo Doria, partì insieme a Beccari nel 1871 per una prima spedizione diretta in Nuova Guinea. Oltre ad avere una certa dose di coraggio, occorreva avere un fisico eccezionale per sopportare le malattie che infestavano quei paesi tropicali, e d’Albertis era prestante e risoluto, oltre che molto determinato. Alla fine di questo viaggio, che minò il suo fisico, d’Albertis si trasferì a Sidney, dove conobbe George Bennet, che lo mise in contatto col British Museum dove inviò gran parte degli uccelli del paradiso che aveva catturato per essere studiati. Rientrato in Italia per problemi di salute, finì dapprima nella campagna romana e poi nel sassarese, dove visse come un selvaggio della Papuasia, in compagnia dell’anziana serva Gesuina, di un cane e di una volpe: l’unica persona con cui mantenne i contatti fu il cugino Enrico d’Albertis, che alla sua morte si prese cura delle sue collezioni trasferendole nel suo castello-museo di Genova. Enrico d’Albertis compì anche tre viaggi attorno al mondo, dei quali non pubblicò mai alcun resoconto, diversamente dagli altri esploratori che verranno descritti in questo volume. I suoi itinerari sono però ricostruibili grazie al testo dei manoscritti inediti studiati e utilizzati da Livia Albertina Fornaroli. Proprio il primo di questi viaggi fu compiuto tra l’ottobre del 1877 e l’ottobre del 1878 in compagnia di Odoardo Beccari, per mezzo del quale visitò Ceylon, l’India, la Birmania, Singapore, Borneo, la Nuova Guinea, l’Australia, Sumatra, il Giappone, gli Stati Uniti e Panama. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Genova nel castello di Montegalletto da lui trasformato in un museo. Alla sua morte, avvenuta nel 1932, lasciò al comune di Genova il suo castello, nel quale si conservano ancora i ricordi e i cimeli dei suoi numerosi viaggi e di quelli compiuti in Nuova Guinea dal cugino Luigi Maria, tra cui canoe polinesiane, vari modelli di barche, “gong” e “timpanon” malesi.

Elio Modigliani, che era di Firenze come Beccari e cugino di Arturo Issel, un altro grande scienziato che studiò il Mar Rosso e partecipò alla prima spedizione italiana in Etiopia diretta verso la colonia Sciotel insieme a Beccari stesso, frequentò a lungo i laboratori del Museo civico di storia naturale fondato da Doria, dove apprese le tecniche di conservazione degli esemplari naturalistici. Presso l’Istituto idrografico della Regia Marina di Genova si istruì sull’uso del sestante e sulle pratiche di rilevamento topografico. A Firenze, sotto la guida di Paolo Mantegazza ed Enrico Hillyuer Giglioli, Modigliani ebbe modo di acquisire le conoscenze necessarie per affrontare lo studio antropologico ed etnografico con rigore scientifico. Trascorse poi un periodo importante di preparazione nei musei scientifici delle principali capitali europee, in particolare in Olanda, dove ebbe modo di aggiornarsi sulla letteratura scientifica più recente che riguardava la regione indonesiana. Nel 1886, partì per la sua prima spedizione all’isola di Nias, davanti alle coste occidentali di Sumatra, affrontando a proprie spese i costi dell’impresa. La scelta della destinazione fu probabilmente ispirata a Modigliani da Beccari, che aveva compiuto nell’arcipelago malese alcune importanti esplorazioni. Il soggiorno a Nias, che durò oltre 6 mesi, si svolse a stretto contatto con le popolazioni locali e permise a Modigliani di accumulare una grandissima messe di informazioni di carattere naturalistico, antropologico, ma soprattutto etnologico (sull’organizzazione sociale, il ruolo della donna, i miti e le credenze religiose, la lingua), presentate in numerose pubblicazioni. Negli anni successivi al ritorno definitivo in Italia, Modigliani frequentò assiduamente il Museo antropologico e la cerchia di studiosi riuniti intorno a Mantegazza e alla Società antropologica da lui fondata. In questa ricoprì negli anni importanti cariche, assumendone la presidenza con la morte di Mantegazza, nel 1910. Nel biennio di presidenza propose e portò ad approvazione una drastica trasformazione in senso «democratico» della Società.

Giovanni Battista Cerruti era di Varazze, e come tutti i marinai era un gran sognatore e mal si adattava al mondo degli affari. Un giorno, imbarcato sulla nave “Fratelli Lavarello”, conobbe un mozzo di Celle Ligure, un certo Andrea Arecco. Nel mare di Batavia (Jakarta), cercando refrigerio il mozzo venne assalito da uno squalo che gli divorò una mano, e Cerruti si gettò in mare per salvarlo. Lasciata Batavia, Cerruti si trasferì a Singapore dove avviò una modesta impresa per la preparazione dell’ananas e di altra frutta in scatola, che gli valse un premio all’Esposizione di Torino del 1884. A Singapore Cerruti fu raggiunto dal fratello minore Vincenzo. Ma alla fine l’impresa gli fu sottratta dagli scaltri soci malesi, e Cerruti ritornò col fratello a Batavia, con l’intento di spingersi all’interno dell’isola di Giava per raccogliere orchidee: lì i due rischiarono di essere uccisi dagli indigeni. Le notizie biografiche su di lui sono veramente scarne, anche perché non amava parlare di sé. Si recò nel Siam, ma ignoriamo ciò che vi fece e quando. Fu tra i Semang, i Negriti, i Sam Sam, i Batack e i Sakai. La sua meta preferita rimase la citata isola di Nias, a Ovest di Sumatra, dove visse avventure spericolate prima di diventare il re della tribù Sakai (Malacca) con cui convisse 15 anni. Nel 1886 Cerruti accompagnò Modigliani nell’isola di Nias. Nel 1906 Cerruti ritornò in Italia per presentare all’Esposizione internazionale di Milano, nel padiglione destinato a illustrare le iniziative italiane all’estero, i primi tentativi di lavori compiuti dai Sakai: in quell’occasione fu esposto anche il volumetto comprendente il resoconto delle sue avventure, che andò letteralmente a ruba nel giro di solo quattro mesi, e che verrà ripubblicato dalla Bemporad di Firenze solo nel 1931. Tornerà una seconda volta in Italia nel 1912 per sollecitare ulteriori finanziamenti dai soci della Società dell’Estremo Oriente, da lui fondata, con sede a Milano, per la quale aveva iniziato e sviluppato le piantagioni di Havea o di Ficus elasticus. Morì il 28 giugno 1914 nell’ospedale di Penang, in seguito ad un’infezione intestinale. La sua morte resta ancora oggi un mistero: potrebbe essere stato avvelenato. Le sue spoglie, grazie all’interessamento della sorella Emilia Elvira, furono trasportate in Italia nel 1933 nel cimitero della città natia. La sua tomba oggi ha bisogno di urgenti interventi di restauro. Al Museo di Savona, sua provincia di origine, donò una rarissima collezione di armi malesi ed alcuni splendidi esemplari di animali indigeni.

Altra figura fondamentale legata all’esplorazione in Nuova Guinea e agli sviluppi scientifici dell’etnografia in Italia fu quella di Lamberto Loria. Nato ad Alessandria d’Egitto, era un viaggiatore-nato: collezionò ogni cosa e tenne relazioni dettagliate delle sue esperienze. E quello che più contava del viaggio non fu per lui la “lontananza” dei luoghi visitati bensì lo “sguardo” con cui li guardava. Partì insieme a Modigliani per la Nuova Guinea, ma fu costretto da ragioni di salute a interrompere il viaggio e a limitarsi a un breve soggiorno in India. Insieme con il barone G. Sonnino visitò quindi l’Alto Egitto risalendo il Nilo fino alla prima cataratta, ma presto indirizzò i propri interessi scientifici ed etnografici verso la Nuova Guinea, regione nella cui esplorazione tra il 1865 e il 1886 si erano distinti d’Albertis e Beccari, che Loria intendeva emulare come “terzo viaggiatore italiano” (Lamberto Loria, Nella Nuova Guinea, in Boll. della Soc. geografica italiana, s. 3, III [1890], pp. 479-494, 550- 586). In un momento in cui gli sforzi economici del governo italiano erano, per ragioni coloniali, prevalentemente rivolti verso l’Eritrea, Loria organizzò a sue spese una spedizione per il Sudest della Nuova Guinea e alla fine del 1888 partì da Genova con l’obiettivo di studiare la Papuasia. La regione venne esplorata da Loria in due distinti momenti: negli anni 1889-90 e negli anni 1892-97, intramezzati da un rientro in Italia nel 1891, in seguito alla morte dell’unica sorella, Corinna. Già all’epoca del primo viaggio (1889-90), dedicato in particolar modo alla esplorazione di Thursday Island e degli arcipelaghi circostanti, Loria fece pervenire al Museo civico di storia naturale di Genova ricche collezioni etnografiche e zoologiche. Si trattava di raccolte particolarmente preziose in quanto, negli anni immediatamente successivi, molti oggetti comunemente usati dagli indigeni andarono perduti in seguito al contatto con gli Australiani, che giunsero nelle isole della Papuasia attratti dalla scoperta dell’esistenza delle perle. Il secondo viaggio (1892-1897) fu invece dedicato all’esplorazione delle zone montuose della regione e alla collezione di raccolte zoologiche, inviate al Museo civico di storia naturale di Genova. Su richiesta del botanico E. Levier, Loria raccolse anche diverse specie di piante per la maggior parte non classificate, e nel 1892 fu il primo europeo a compiere l’ascensione del monte Obree nella catena degli Owen Stanley. Il peggioramento delle condizioni di salute lo indusse ad abbandonare le montagne e a trascorrere sulla costa gli ultimi due anni di permanenza in Papuasia, durante i quali si dedicò principalmente al rilevamento, anche fotografico, delle misure antropometriche e allo studio dei costumi dei diversi villaggi. Tali esperienze procurarono a Loria la fama di grande conoscitore della Papuasia e, nel febbraio del 1893, il conferimento da parte della Società geografica italiana della prestigiosa nomina a “membro corrispondente”. Nel settembre del 1905 Loria partecipò al Congresso coloniale italiano di Asmara, nella cui organizzazione egli aveva avuto non poca parte, mentre nel 1908 accettò la proposta di Ferdinando Martini, ex governatore della Colonia Eritrea che nel frattempo era diventato ministro della Pubblica Istruzione e vicepresidente del comitato per l’Esposizione universale, di trasportare tutti i materiali del Museo di etnografia italiana costituito nel settembre del 1906 (il primo in Italia) a Roma per l’Esposizione che si sarebbe tenuta nel 1911, in occasione delle celebrazioni per i cinquant’anni dell’Unità d’Italia.

Il Sudest asiatico rappresentava in quegli anni una frontiera geografica scientificamente molto rilevante, sulla scia delle ricerche intraprese da Alfred Russel Wallace, che vi aveva elaborato la sua teoria sull’evoluzione distintamente da Charles Darwin. L’Arcipelago Indonesiano rappresentava e rappresenta tuttora un territorio affascinante dal punto di vista etnografico, una sorta di “grande deriva” in cui grandi migrazioni si sono succedute durante i millenni. Di particolare fascino sono tuttora le genti Papua dell’Iran Jaya, alcune delle quali restano tuttora congelate all’età della pietra, e che ci riportano alla storia antica dell’uomo: il loro mondo della foresta sta purtroppo scomparendo giorno per giorno, e con esso il modello di vita degli uomini cacciatori-raccoglitori. Beccari conosceva bene le ricerche del naturalista inglese Wallace, che prima di lui aveva esplorato la regione indomalese e aveva scritto un’importante opera biogeografica (“The Malay Achipelago”). A quest’ultimo dobbiamo infatti la c.d. “linea di Wallace”, che segna la separazione tra regione orientale e australiana. Quest’area, oggi conosciuta anche come “hotspot di Sonda”, è uno dei punti più importanti della biodiversità del pianeta, segnata da un’incredibile ricchezza che oggi è sempre più messa a rischio dallo sfruttamento intensivo delle foreste e dal bracconaggio.

L’arcipelago indonesiano poggia infatti su due grandi piattaforme continentali; la prima, chiamata Sonda, fa parte del Sud-Est asiatico, mentre l’altra, il Sagul, di quello australiano. Esse sono divise, per convenzione scientifica, da due linee immaginarie, quella di Wallace e quella di Weber, che separano due mondi naturali: quello dei mammiferi placentati e quello dei marsupiali. A causa del frazionamento geografico, si è così prodotta nel corso dei millenni una serie di nicchie ecologiche, che ha favorito la formazione di numerosissime specie endemiche, sia vegetali che faunistiche, e una varietà biologica, culturale e linguistica senza pari. La grande deriva etnica iniziò probabilmente alcune decine di migliaia di anni fa, quando i primi gruppi primitivi cacciatori-raccoglitori provenienti dal Sud-Est asiatico si spostarono lentamente fino a popolare la Nuova Guinea, l’Australia e la Tasmania, con ondate successive di etnie diverse geneticamente e culturalmente che si sovrapposero e mescolarono tra loro.

Negritos oceanici, Austronesiani, Veddoidi, Paleomalesi, Deuteromalesi, Neomalesi, Cinesi, Arabi ed Europei hanno segnato la storia antica e moderna di questa macroarea, a cui i nostri esploratori dedicarono le passioni della loro vita, sfidando le malattie e i pericoli incombenti, e che dovettero affrontare l’ostilità dei popoli che le abitavano. Sumatra, Borneo, Sulawesi, Malesia, Nuova Guinea, rappresentano ancora oggi uno dei confini del mondo “civilizzato”, e uno straordinario punto d’incontro tra mondo euro-asiatico e quello austro-melanesiano, con ben trecento sessantasei diversi gruppi etnici e un’infinità di contrasti. L’isolamento ha permesso a parte di questi popoli di conservare la propria cultura ed identità, ma l’aggressione della “modernità” a questi territori sta distruggendo giorno per giorno, insieme all’ambiente, anche pagine importanti della storia umana.

Purtroppo, questi luoghi divennero anche oggetto di uno strampalato tentativo di creare delle colonie penali in cui confinare i prigionieri dell’Italia post-unitaria. Anche questa pagina oscura, che ci parla delle terribili conseguenze del Risorgimento incompiuto, merita di essere menzionata, e lo faremo sempre con grande rispetto e attenzione per le fonti storico-diplomatiche. Lo stesso Cerruti divenne l’emissario delle istanze governative per la creazione di apposite cayenne al di fuori del territorio nazionale, ma si dovettero presto scontrare contro l’avversione delle autorità inglesi e olandesi. Alla fine, solo due colonie penali entrarono in funzione ed entrambe nel territorio della Colonia Eritrea: quella di Assab, che fu presto chiusa (con i detenuti decimati dalle malattie) e quella di Nocra nelle isole Dahlak, che purtroppo continuò ad operare raccogliendo i resistenti dell’occupazione italiana.

Questi nostri esploratori, oggi pressoché dimenticati, affrontarono l’ignoto, sfidandone i mille rischi e pericoli, si ammalarono, spendendo i loro anni migliori nella continua lotta per amore di scienza e nella sublime incertezza del domani. Portarono in Occidente erbari, uccelli e animali sconosciuti. È arrivato il momento di raccogliere le loro memorie esplorative e di valorizzarle, in nome di quella stessa sete di conoscenza che lì spinse in questi territori selvaggi. Per salvare le loro figure dall’incombente oblio ho deciso di scrivere un nuovo volume, cui dedicherò molti mesi di ricerche ed approfondimenti. E che avrò il piacere di condividere con Voi.

Oggi la Nuova Guinea e le foreste di tutto il Sud Est Asiatico sono aggredite, come quelle dell’Amazzonia, dalla deforestazione illegale. La rapina delle terre (land grabbing) costituisce la prima causa documentata di violazione delle leggi. Milioni di ettari di foreste umide sono concesse in licenza per la ‘conversione’ in piantagioni su scala industriale, con sistematica distruzione della biodiversità e messa in pericolo delle popolazioni indigene. Parlare pertanto dei nostri esploratori in queste terre lontane non appartiene solo alla storia, ma ci potrà aiutare ad avere maggiore conoscenza e rispetto per il mondo che dobbiamo salvare e per il futuro che dobbiamo costruire. Beccari vide nel Borneo il luogo della foresta-rifugio, un’oasi di salvezza, e come Thoreau anelò a un’esperienza primitiva, sopportando la solitudine e i pericoli con leggerezza, cercando la comunione con la natura. Oggi, pensando a lui e agli esploratori italiani che affrontarono queste terre remote, abbiamo il dovere di preservare quello che rimane di questa natura selvaggia e, con essa, la nostra umanità.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore