Il giardino luminoso del re angelo

A Kabul c’è un giardino (Bagh-e Babur) sopravvissuto alle guerre e alle devastazioni. Questo giardino è rimasto abbandonato per molti anni: non si vede dalla città ed è posizionato su un pendio che domina il fiume Kabul. Ci sono alberi di gelso e platani enormi che risalgono alla morte di Babur (1640 d.C.), che qui venne sepolto. Fu realizzato utilizzando marmo di Kandahar e reca un’iscrizione che lo definiscono “…il giardino luminoso del re angelo prediletto da Dio” (Babur, appunto).

Ci sono voluti cinque anni di paziente lavoro, ed è un miracolo che questa luogo sia arrivato fino a noi. Non si tratta di un complesso qualsiasi, ma del luogo più caro al grande imperatore moghul, Babur, che sapeva riconoscere ogni albero del giardino come tutte le sue vittorie e le sue sconfitte. Come sappiamo, anche nell’Oriente preislamico il giardino rivestiva una grande importanza simbolica: rappresentava infatti il luogo della Pace e della Rigenerazione, rilassante e ricco di acque in contesti territoriali aridi e ostili. La parola “paradiso” deriva dalla parola persiana “pairi-daeza”, che significa appunto “giardino delimitato da mura”. <br>
Timur, da perfetto nomade, risiedeva raramente all’interno di edifici, e la sua corte alloggiava nelle tende all’interno di giardini e frutteti chiamati “chahar bagh” (giardini divisi in quattro parti). Babur, il fondatore della dinastia moghul, non amava l’India, e preferiva infatti le montagne dell’Asia centrale, e si avviliva nel vedere la mancanza di acqua corrente nei giardini e nelle case indiane. Promosse pertanto l’allestimento nella città di Agra (sede del famoso Taj Mahal) dei Giardini degli Otto Paradisi. Ma dove Babur amava rifugiarsi, tra una campagna militare e l’altra, era proprio a Kabul in questo splendido giardino, tra alberi di albicocchi fioriti, piante profumate di rosa e il canto degli uccelli.

Peter Levi nel suo splendido libro, intitolato proprio “Il giardino luminoso del re angelo”, ricorda la sensibilità di Babur, il suo gusto che “…risentiva in modo particolare dell’esperienza del deserto; la devozione con cui nei momenti difficili, e per tutta la vita, fece piantare alberi da frutto, rose e platani è…unica. In primavera riconosceva sedici specie di tulipani selvatici sulle alture attorno a Kabul”.

Dopo gli anni della devastazione bellica, che ha quasi raso al suolo la capitale dell’Afghanistan, questo giardino è ora tornato a risplendere: sotto l’attenta presenza dell’Istituto di Archeologia tedesco sono state fedelmente rispettate le volontà di Babur. E’ un grande segnale di rinascita e di continuità storico-culturale, un simbolo importante della vittoria del Positivo. Mi rasserena e mi rinfranca pensare ai canali irrigui e alle fontane ripristinate in questo “paradiso” voluto da Babur, e che molte famiglie afgane potranno trovare nella loro martoriata città un’oasi di pace e di serenità dove portare i figli a passeggiare e a fare il pic-nic, come tutte le famiglie normali di questo mondo.


Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore