Muscat (Oman)

Il genius loci esiste davvero. Grazie alla sua posizione strategica all’imbocco del Golfo Persico, Muscat è stata sempre considerata il porto migliore di tutta la Penisola Arabica. Circondato dalle scure e spoglie colline vulcaniche, il suo porto fu fin dai tempi antichi è sempre molto vivace: approdo ideale per mercanti, pirati e avventurieri di ogni sorta, vi si trovava acqua e frutta in abbondanza, e divenne presto il crocevia dei commerci tra Africa orientale, Golfo dell’India e costa orientale del Golfo Persico.

Alla fine del 1700 il mercante ed esploratore inglese Abraham Parsons descriveva Muscat come una cittadina cosmopolita: numerose carovane giungevano dall’interno, trasportando animali, pellami, spezie, zucchero, tabacco e piume di struzzo. I commerci con Moka, la mitica città yemenita posta sul Mar Rosso, erano molto intensi; ogni anno da Muscat partivano per Bassora almeno 20mila balle di caffè dirette a Costantinopoli, mentre verso l’interno era florido il mercato dei tappeti, dei talleri d’argento di Maria Teresa d’Austria e degli zecchini d’oro veneziani. Nel 1800 divenne covo di pirati, e numerosi erano i mercanti orientali che commerciavano a Muscat .

Architetture armoniose, un porto e una baia che fanno sognare a prima vista, spiagge incastonate tra insenature protette da arcigni contrafforti rocciosi, hotel raffinati e l’unica Opera House dell’intera penisola araba (Il Sultano Qaboos era un appassionato di musica). Muscat, pur essendo oggi una metropoli ultra moderna e in continua trasformazione, in fondo è rimasta quello che era, cioè una città portuale che si affaccia sui continenti, la città delle Mille e una notte e di Sindbad il marinaio, che ha mantenuto una straordinaria unità stilistica, bianchissima quasi fosse una capitale del Mediterraneo, e che continua ad affacciarsi sul mondo.

Case in stile arabo e fregi persiani, sedi ministeriali circondate da giardini d’ibisco e tappeti d’erba all’inglese, piccoli ristoranti che offrono il cibo speziato dell’India, marmi preziosi ed alberi ci parlano di una città curatissima e apparentemente assente, persa nei suoi momenti antichi, sobria ed elegante, e dove il tempo della modernità trascorre in manifestazioni fantasmatiche e oniriche, quale il Palazzo del Sultano, e con i suoi uomini vestiti all’antica. Lungo l’highway che dall’aeroporto porta in città non ho visto nemmeno un cartellone pubblicitario. Muscat stupisce per la pulizia, dalle strade alle auto fino al suq, dove si ripetono i momenti antichi e i tepori della sua gente, i profumi inebrianti degli incensi, le strette di mano e i sorrisi tra gli utensili dozzinali, le babbucce di cuoio, i gioielli e l’inevitabile ciarpame della civiltà dei consumi.

Vecchi dal volto biblico, con gli occhi anneriti dal caghal e nelle loro immacolate dishdashah, s’incontrano e parlano assaporando profumatissimi tè. La gente è molto tranquilla, quasi sonnacchiosa, e la città sembra la rappresentazione dell’elogio dell’ombra di Borges in salsa ibadita. Pingue dei suoi traffici marinari ma mai esuberante e festaiola, la multietnica Muscat ora riceve le grandi navi crociera del turismo di massa: e i turisti che camminano su questo fantastico lungomare, sfilando lungo i negozi che vendono tappeti, spezie, profumi e chincaglierie, sembrano narcotizzati da tanta bellezza, e rimangono inebetiti.

Nella baia di Muscat si liberano stormi di gabbiani, e la vista si riempie dei colori azzurrognoli della cupola di una moschea centroasiatica. Ma dove siamo? In Persia? A Samarcanda? O dove…? In quest’ambigua contemporaneità vedo mescolarsi le carte e le visioni degli uomini che mi hanno preceduto, con i loro sogni, le loro fatiche e le loro speranze, che hanno affrontato le incognite di traversate oceaniche e che qui trovavano un calmo approdo. A Muscat si sono giocati i destini delle vie marittime commerciali più importanti della storia, qui si è combattuto, ci sono state intrusioni e dominazioni violente, e sono entrati in rotta di collisione gli imperi coloniali.

Qui hanno operato i portoghesi, la Compagnia delle Indie Orientali britannica, l’olandese Veringde Oostindische Compagnie e la francese Compagnie Francaise del Indes tra il XVI e il XVII secolo. Qui, come ha scritto Beatrice Nicolini, <<…il costante alternarsi dei venti monsonici nell’Oceano indiano occidentale aprì da secoli, se non da millenni, regolari vie commerciali, che univano tra loro il continente asiatico e le coste dell’Africa orientale sub-sahariana >>. Ma nonostante tutto questo, nonostante tutte le violenze della storia e l’intrusione della modernità Muscat sembra staccata da ogni cosa, da ogni luogo, perduta fuori dal tempo, eterea ed evanescente, come se volesse parlare delle sue meraviglie in un infinito altrove…impermanente e sfuggente come questo volo di gabbiani. L’asciutta eleganza, la sobrietà, il senso dell’equilibrio distinguono Muscat dagli eccessi di Doha, nel Qatar, dove il modernismo desertico si basa sugli immensi gasdotti e sulla speculazione edilizia, e dove non si vede nessuno passeggiare per strada, visto che tutti vanno in auto. O dallo sfarzo mondano e dagli eccessi di Abu Dhabi, dalle sue enormi strutture in vetro e acciaio che sfidano il cielo e la forza di gravità, e che oggi si stanno dibattendo con la crisi profonda del real estate.

Più sommessamente, Muscat vive i suoi blandi tempi, assaporando i profumi inebrianti degli incensi del suq che si affaccia sul porto. Tre ragazzini appollaiati sopra cataste di preziosa linfa raggrumata (l’incenso) paiono sospesi nel tempo, e agitano i loro piccoli bracieri per attirare i clienti. Ci parlano della Regina di Saba, di Re Salomone e di Betlemme, delle antiche vie carovaniere, di cammellieri muniti di stendardi che attraversano il deserto e degli accampamenti reali del Sultano. Sul lungomare la gente passeggia e guarda il suo bel mare, e vede attraccare e partire le navi che portano in ogni dove.

Non volendo perdere le suggestioni da Mille e una notte di questa città straordinaria, decido di visitare la Grande Moschea inaugurata dal Sultano Qaboos il 4 maggio 2001. Le prime istruzioni per la sua costruzione furono avviate nel 1992; nel 1993 fu indetto un concorso internazionale d’idee, che vide vincere due architetti, Mohamed Saleh Makiya e Quad. I lavori di costruzione iniziarono nel 1995 e terminarono nel 2001. L’area interessata al progetto, comprese le aree verdi, è di 416mila metri quadrati, mentre il complesso centrale dell’edificio copre 40mila metri quadrati. Si elevano inoltre cinque minareti, ognuno alto 45 metri, a rappresentare simbolicamente le cinque colonne dell’Islam. La principale hall per la preghiera degli uomini (le donne hanno una sala riservata) può raccogliere 6600 persone e, meraviglia delle meraviglie, oltre ai cremisi arabescati e alle pietre tajlilac, allo stupefacente candeliere d’oro, ai marmi bardiglio e alle fini decorazioni floreali, ecco lo straordinario tappeto persiano che copre tutto il pavimento per un’estensione di 4263 metri quadrati! Si tratta di un manufatto composto da 1,7 miliardi di nodi e del peso di 21 tonnellate, e che commuove per la delicatezza e la finezza dei suoi motivi.

Ci sono voluti quattro anni di lavoro per realizzare questo tappeto; quindici mesi solo per individuarne il design e prepararne la materia prima, 27 mesi per crearlo e 5 mesi per terminarlo, pulirlo e unire tra loro i 58 pezzi in cui è stato realizzato! Questo capolavoro è stato reso possibile grazie al lavoro e alla passione di ben seicento donne iraniane della cittadina di Nishabur, nei pressi della città santa persiana di Mashhad, sita nella provincia del Khurasan. Per arredare gli interni e gli esterni della Grande Moschea di Muscat è stato inoltre fatto ampio ricorso a mosaici bizantini, a preziose ceramiche omanite e ottomane, e a delicati disegni floreali che traggono spunto dalla Spagna araba e dall’Asia centrale, dall’arte moghul indiana e dai motivi dell’arte safavide.

In questa moschea, essenziale ed eclettica, rileggiamo pertanto la storia dell’Islam e dei suoi territori, e ritroviamo l’antica vocazione internazionale di Muscat, collegata com’è questa città nei secoli con il mondo intero, da cui ha attinto e si è sempre ispirata rimanendo sempre fedele a sé stessa, esempio unico di globalizzazione del mondo antico.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore