Il Corno d’Africa

Dopo decenni di conflitti e devastazioni, il Corno d’Africa è tornato ad esprimere l’antico fascino che ha sempre avuto nel corso dei secoli. Tuttavia, oggi sembra che gli occidentali non riescano più a percepire tutte le meraviglie di questo territorio unico al mondo, secondo solo all’antico Egitto in tutta l’Africa per patrimonio culturale diffuso. È vero, esistono ancora molti problemi. Ma senza la memoria il Corno d’Africa, e con esso il Mar Rosso, resteranno sempre in balia delle dinamiche del presente. Solo penetrare le prospettive storiche e la conoscenza della ricchezza naturalistica, culturale e umana di questa macroregione potrà in avvenire tutelarci dagli esiti, spesso imprevedibili, delle contingenze. Oggi, come allora, il Corno d’Africa, così come le sub-regioni del Canale di Suez, del Mar Rosso, del Golfo di Aden, del Bab el-Mandel e della costa somala, sono realtà tra loro estremamente differenti ma accumunate da alcuni quid e soprattutto dai flussi marittimi. Dopo la firma del trattato di pace tra Etiopia ed Eritrea e l’avvio del dialogo tra i vari capi di stato, non resta che sperare che lo sviluppo sostenibile del territorio dell’Africa orientale diventi un motore di crescita per tutti suoi abitanti. Oggi questa vasta area è tornata ad essere il crocevia degli interessi globali, esattamente come secoli fa quando operava il porto antico di Adulis. La Somalia tenta disperatamente di risorgere dopo decenni di conflitti e di terrorismo, mentre l’Etiopia fatica a ritrovare i suoi equilibri interni, divisa da laceranti conflitti etnici. Il 2020 è stato inoltre l’anno delle locuste. I conflitti e i problemi non sono finiti, ma la guerra sembra finalmente allontanarsi da questa terra. Comunque vadano le cose, noi italiani saremo sempre in Africa Orientale. Non lasceremo mai questa terra difficile, meravigliosa e complessa. Ci lega ad essa un profondo, inspiegabile e indissolubile legame. Più solido delle convenienze economiche, delle difficoltà, dei pregiudizi e degli egoismi. Ameremo tutto di questa terra, sì, anche il caldo opprimente dei bassopiani marini e degli arcipelaghi corallini, le terre desolate della Dancalia, gli aspri contrafforti montani dell’altopiano e etiopico e le vaste distese semiaride della Somalia. Anche quando arriveranno le strade e le ferrovie moderne, noi viaggeremo ancora sui tracciati immaginari e impossibili dei nostri primi esploratori che percorsero questi territori, verso gli orizzonti sognati e i miraggi che ci appartengono da sempre. E come gli “insabbiati” descritti da Tommaso Besozzi saremo sempre alla ricerca del nostro settimo viaggio.

Proseguono gli scavi ad Adulis (Eritrea), la Pompei africana che divenne la porta di Aksum. La Cooperazione italiana ha recentemente concesso un finanziamento per la creazione di un parco archeologico e naturalistico. Prosegue l’attività del CERDO (Centro di Ricerche sul Deserto Orientale) di Angelo Castiglioni, e vanno al meglio tutelate, insieme a Massaua, le cittadine dell’altopiano eritreo dove transitavano le antiche vie carovaniere che da Adulis portavano ad Aksum. La ricerca archeologica è ancora agli inizi. C’è bisogno di Italia in questi territori, e della migliore Italia: quella della cultura e della conoscenza

(nella foto: mercato di Cheren – foto di Alessandro Pellegatta)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore