Giovanni Battista Cerruti

Altro esploratore importante che si avventurò nel Far East, oltre a Beccari e De Albertis, fu Giovanni Battista Cerruti. Nacque a Varazze (Savona) il 28 novembre 1850 da Antonio, agiato negoziante e industriale di tessuti che aveva un attivo commercio con alcuni Stati americani, e da Colomba Parodi. Ancora molto giovane si imbarcò come mozzo sulla nave sulla “Fratelli Gaggino”, appartenente a uno zio della madre, diretto a Buenos Aires. Navigò in seguito sulla “Libertà” e sulla “Vedetta”, a bordo della quale raggiunse per la prima volta l’Oceano Indiano. Nel dicembre del 1871 (un mese dopo circa da quando Beccari e D’Albertis salpavano per bombay diretti verso la Nuova Guinea), Cerruti s’imbarcò come marinaio di terza classe, ma già nel 1873 veniva assunto come secondo pilota sulla corvetta “Governolo”, a bordo della quale compì una lunga crociera. Congedato dal servizio militare nel 1874, tornò a navigare e, dopo alcuni anni, nel 1881 riuscì a conseguire la patente di capitano di lungo corso.

Abbandonò ben presto tale attività stanziandosi prima a Batavia e poi a Singapore, dove aprì una modesta casa per la preparazione dell’ananas e di altra frutta esotica, che gli valse fra l’altro un premio all’Esposizione di Torino del 1884: esposizione che fu promossa dall’avvocato Tommaso Villa, uno dei fondatori del Museo del Risorgimento di Torino, nel corso della quale furono “esposti” come le bestie feroci allo zoo degli indigeni della colonia africana di Assab, che nel 1869 era stata rilevata da Raffaele Rubattino a nome del governo italiano. In quel periodo fu raggiunto a Singapore dal fratello Vincenzo, assieme al quale tornò momentaneamente a Batavia, col proposito di spingersi nell’interno di Giava per raccogliervi orchidee e altre rarità della flora locale. È tuttora molto difficile tuttavia indicare la cronologia dei suoi spostamenti e delle iniziative di Cerruti in Estremo Oriente, in quanto abbiamo a disposizione solo le sue relazioni, le quali sono alquanto lacunose ed evasive. Cerruti parlava raramente di sè, e quando lo faceva ometteva la cronologia.

Sappiamo così che fu nel Siam, ma ignoriamo quando e cosa vi fece. Per gli stessi motivi ignoriamo pure in quale periodo, se prima o dopo il suo soggiorno fra i Sakai, fu tra i Semang, i Negriti, i Sam Sam ed i Batacchi, e quante volte abbia percorso l’aspra isola di Nias, anche se è certo che egli vi fece almeno tre viaggi. Nel 1886, infatti, vi accompagnò E. Modigliani, come ci racconta lo stesso esploratore toscano nel suo volume Un viaggio a Nias. Compì un ulteriore viaggio a Nias fra gli ultimi mesi del 1890 ed i primi del 1891. A quei tempi Nias era terra di conflitti. i villaggi sono difesi da mura e fortezze8 megalitiche E, dentro le mura fra le capanne pensili fra fetide pozzanghere, «s’agitano, grufolano, grugniscono, belano, abbaiano e cantano maiali, capre, cani e polli in grandissimo numero.»

L’itinerario di Cerruti coprì diversi villaggi in cui quasi sempre viene accolto con benevolenza: si ritrova a dormire in capanne puzzolenti e in dimore reali stupefacenti (nella più ricca c’è anche il gabinetto) in cui i più raffinati complementi d’arredo sono i teschi dei nemici e le mascelle di maiale: «Laggiù i troni grondano tutti di sangue; ma è sangue di porco- scrive Cerruti -. Le teste umane son procacciate con la guerra e le imboscate. Esse documentano la gloria del sovrano e dei suoi sudditi». Tra una scaramuccia e l’altra i Nias coltivano campi di riso, granoturco, patate dolci il contorno di pantagruelici banchetti a base di maiale e vino di palma per festeggiare trionfi bellici o qualsiasi altro pretesto: «La inebriante bibita venne in gran copia distribuita e presto ne furono visibili gli effetti, perché quella turba ubriaca cominciò ad urlare, a ballare e saltare come colta da furiosa improvvisa pazzia mentre tamburi e flauti laceravano le orecchie.» Viene accolto con amicizia alcuni lo chiamavano «Tuada Cerut talian», (Nonno Cerruti italiano) e viene accolto in gran pompa, talvolta con la banda (flauti e rudimentali chitarre : un inno nazionale fatto di fischi, di colpi, di grattamenti e di strappi»). Fu ben accolto anche da Belùgu Si Duho il sovrano più temuto del Nias meridionale, uomo crudele e subdolo.

Rientrò a Penang il 15 giugno 1891, portando con sé un’interessante e ricca collezione etnografica, che vendette al govemo del Perak, il quale la destinò al Museo di Taiping. Successivamente volle recarsi alla ricerca dei Sakai (si chiamavano in realtà Mai Darat, ma dai Malesi erano denominati, in senso spregiativo, Sakai, un termine usato per esprimere il concetto di popolo schiavo), una popolazione, probabilmente di provenienza australiana, rifugiatasi sui monti di Malacca, nell’interno degli Stati di Perak e di Pahang, che ai tempi del C. non superava ormai le diecimila unità e presso la quale egli trascorrerà complessivamente circa quindici anni. Tuttavia, oltre che per studiare e conoscere una popolazione del tutto ignota, egli partì anche nella speranza di poter scoprire qualche importante giacimento aurifero: scoprirà in realtà, accanto a numerose miniere di vari metalli, tutte però di dimensioni ed importanza alquanto relative, consistenti miniere di stagno, che finiranno però in mano di gruppi finanziari inglesi, nonostante egli avesse presentato regolare richiesta di sfruttamento della zona mineraria. Il rappresentante del governo inglese giunto a Tapah gli offrì l’ufficio di sovrintendente presso i Sakai del Perak, incarico di cui si trova cenno nel numero del29 settembre 1900 del giornale di Taiping e grazie al quale si meritò, in segno di apprezzamento per l’attività svolta, la gran medaglia d’argento del governo locale.

Nel 1906 il C. ritornò in Italia per presentare all’Esposizione internazionale di Milano, nel padiglione destinato a illustrare le iniziative italiane all’estero, i primi tentativi di lavori compiuti dai Sakai: in quell’occasione fu esposto anche il volumetto intitolato “Nel paese dei veleni” comprendente il resoconto delle sue avventure tra i Sakai, che andò letteralmente a ruba nel giro di solo quattro mesi. Tornerà una seconda volta in Italia nel 1912 per sollecitare ulteriori finanziamenti dai soci della Società dell’Estremo Oriente, da lui fondata, con sede a Milano, per la quale aveva iniziato e sviluppato le piantagioni di Havea o di Ficus elasticus. La Bemporad di Firenze stamperà il volume solo nel 1931.

Cerruti morì il 28 giugno 1914 nell’ospedale di Penang, in seguito ad un’infezione intestinale. La sua morte rimane ancora oggi avvolta in un’aura di mistero e potrebbe essere legata alla rete di trafficanti senza scrupoli in cui si ritrovò invischiato e che lo raggirò per mettere le mani sui giacimenti di minerali che Cerruti aveva scoperto. L’infezione intestinale che lo portò alla morte forse non gli sarebbe costata la vita se si fosse optato per una semplice operazione, invece fu lasciato morire nell’ospedale di Penang. Le sue spoglie, grazie all’interessamento della sorella Emilia Elvira, furono trasportate in Italia nel 1933 e traslate nel cimitero di Varazze.

Nel maggio del 2020 il Comitato Ponente Varazzino ha chiesto a gran voce un nuovo restauro della tomba di Cerruti. Un altro pezzo della memoria esplorativa del nostro paese rischia di scomparire per sempre

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore