Il consigliere a vita (*)

Un vecchio consigliere di amministrazione, giunto alla soglia dei novant’anni, ricevette una lettera di esonero dall’incarico. “Come osano – disse – esiliarmi dalle mie prerogative e dal mio stato? Ingrati!”.

Quella poltrona era tutto per quel vecchio, e contava più dello stesso denaro e degli agi, che aveva accumulato durante la sua lunga carriera. Aveva accumulato, sì, ma anche dissipato, e quindi aveva vissuto esercitando i suoi ampi poteri, spesso in conflitto d’interessi con sé stesso e col mondo. Ora, senza quella poltrona, la vita gli sembrava vuota e vana, spoglia. E il consigliere non s’arrendeva. Aveva scalato per decenni la vetta della sua smisurata ambizione, ed ora non c’era più nulla da scalare o da conquistare, ma lo aspettava solo una pietosa e disonorevole discesa in penombra. Si era fatto abilmente strada tra mille disonestà e furberie, mosso dalla sete dei facili guadagni; aveva licenziato personale quando avrebbe dovuto assumerlo, e assunto personale inutile e costoso. Aveva punito funzionari coscienziosi e premiato gli irresponsabili. Con lui i conti economici lievitavano come per magia. Sempre all’ingrato servizio dei potenti non ebbe mai tempo per sé, e quindi quei miraggi di guadagno e di potere divennero l’unica sua prospettiva esistenziale. E ora? Il consigliere doveva escogitare qualcosa per riavere per sé quella poltrona a vita. E guardava soprattutto con terrore il tempo che ancora lo attendeva: libero dagli orpelli e dagli impegni avrebbe, infatti, dovuto rifugiarsi in sé stesso, ed esplorare i reconditi anfratti del suo animo, e questo lo terrorizzava. Meglio attaccarsi fin che poteva a quella poltrona, e ai rituali del potere, che ben conosceva, mantenendo una parvenza d’importanza e d’orgoglio.

Cosa poteva fare il consigliere? Escogitò una messa in scena davvero efficace. Si sarebbe sdraiato su un catafalco listato a lutto, e tutta la sua gente sarebbe accorsa a piangerlo come morto. Tutti avrebbero dovuto piangere l’inattività di quell’uomo, e quel lutto sarebbe terminato solo quando il consigliere avesse riavuto il suo amato scranno. Tutti ne avrebbero parlato. E così fece. Arrivarono fiori e corone, e il consigliere si stese sopra un catafalco, sotto un baldacchino ornato di fregi ricamati. Lo copriva una coperta rossa. Ogni tanto l’anziano consigliere, sdraiato con le mani strette intorno a un prezioso rosario di legno pregiato, socchiudeva un occhio e dall’alto della sua posizione sbirciava intorno, compiacendosi per tutta quella folla. Tutti avevano l’aria trista e seria, e il consigliere fu più volte sul punto di scoppiare a ridere.

Le gualdrappe del baldacchino erano mosse da una brezza leggera, e il corteo funebre iniziò a snodarsi come un infinito millepiedi. C’erano tutti: autorità, civili e religiose, e una fila interminabile di dirigenti, funzionari, impiegati, commessi, capi, sottocapi, uscieri, ambiziosi, smaniosi di affermazione, sussiegosi, instabili, volubili, privi d’idee, allineati, assediati dai vizi, lagnosi, boriosi, superbi, arroganti, frustrati, e tutti con l’aria dimessa rendevano omaggio al consigliere, che beato giaceva sul prezioso catafalco, e ascoltava le lagnanze di quella folla che piangeva il passato, si lagnava del presente e disperava per il futuro. Avrebbe voluto alzarsi e consolarli (il consigliere), e benedirli come un Papa, ma doveva continuare a recitare la sua parte. Ed era come se tutti quegli occhi che lo osservavano in realtà guardassero altrove, e si perdessero dentro quella situazione tragicomica cercando di salvare solo le apparenze. Ciascuno di loro non faceva altro che pensare ai suoi conti, alle trame di potere e alle preoccupazioni del contingente, a corteggiare e a essere corteggiati. Quella folla aveva ancora davanti a sé troppi giorni per imparare a vivere, così come non sarebbe bastata forse una vita intera per imparare a morire.

E quando finalmente giunse la lieta novella della nuova infeudazione del consigliere in quel nobile consiglio di amministrazione, il consigliere ebbe all’improvviso un mancamento e morì…per davvero.

(*) ispirato dalla vicenda di Sesto Turannio, citata da Seneca nel suo “De Brevitate vitae”

(Nell’immagine: dipinto di George Grotz, “Giornata grigia”, 1921)

 

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore