Zerzura

Ci sono tanti luoghi mitici che hanno arricchito e arricchiscono da secoli l’immaginario collettivo dell’umanità. Alcuni di questi sono africani. Alludo alla mitica terra di Punt, dove gli antichi egizi si rifornivano di incenso, oro, mirra ed olibano (e che con tutta probabilità corrispondeva all’attuale costa eritrea in corrispondenza di Adulis), e della terra di Ophir, che il nostro esploratore Giovanni Miani aveva identificato nelle sorgenti del Nilo. Punt ed Ophir vengono citati nella Bibbia, così come il Monte Sinai: peccato che – come ho già scritto su questo blog – questo monte centrale nella nascita del monoteismo non sia stato ancora individuato con certezza. Ma vi è un terzo luogo mitizzato che probabilmente non è mai esistito. Si tratta della mitica Zerzura, alla cui ricerca si dedicò il grande viaggiatore Laslo von Almásy. Zerzura viene menzionata da alcuni manoscritti arabi del XV secolo, il più famoso dal titolo “Il libro delle perle nascoste”. Tali manoscritti descrivono delle rovine in mezzo al deserto quali resti di una città “bianca, bianca come una colomba” e chiamata anche “l’oasi dei piccoli uccelli” da “Zerzur”, che in arabo designa un passeraceo da noi noto come “culbianc”.

Almásy fu un profondo conoscitore del “deserto libico”, dove l’attributo “libico” va inteso nel senso antico, cioè romano, del termine, quando la Libia ricomprendeva tutta l’Africa settentrionale, mentre oggi è divisa politicamente tra Egitto, Libia, Sudan e Ciad. Pur essendo limitrofa al territorio dei faraoni, questa immensa area a sud della Cirenaica rimase per secoli praticamente sconosciuta. Cominciò il grande esploratore tedesco Rohlfs a battere questo deserto nell’Ottocento, aprendo la via “libica” anche al nostro Manfredo Camperio, e raggiungendo la sperduta oasi di Cufra, estremo avamposto dei Senussi nell’angolo sud-orientale della Libia attuale. Seguirono altre spedizioni di Rosita Forbes, insieme all’ardito esploratore egiziano Hassanein (1921-23) e, infine fu la volta di Almásy, questo avventuriero-gentiluomo ungherese che si era perdutamente innamorato del deserto. I francesi chiamano il primo incontro col deserto “il battesimo della solitudine”: si tratta di una sensazione unica, che non è malinconia (in quanto essa presuppone la memoria). Alla vista di questo paesaggio minerale, rischiarato dalle stelle notturne, scompare persino la memoria e resta, come diceva Paul Bowles, solo il respiro e il battito del cuore a tenervi compagnia.

Nel 1932 una spedizione di Almásy condotta anche con l’ausilio di un aereo (che guidava come un folle) trovò due valli con vegetazione di acacie spinose nel Gilf Kebir: nel 1933 Almásy ne trovò una terza. Ma non bastarono per riscoprire i resti della mitica Zerzura. Al posto degli scintillanti forzieri di oro e pietre preziose, fu proprio questa conoscenza del deserto che tornò molto utile allo scoppio del secondo conflitto mondiale.

Almásy mise infatti i propri servizi a disposizione della Germania più per lealtà verso la monarchia ungherese che per convinzioni politiche. Fu reclutato dalla Abwehr (l’agenzia di intelligence tedesca). In seguito, date le sue conoscenze di aeronautica, fu assegnato alla Lutwaffe, e mandato in Africa con gli Afrika Korps. Fra il 1941 e il 1942 lavorò agli ordini di Erwin Rommel, distinguendosi per la conoscenza del deserto e portando a termine missioni di spionaggio, come l’Operazione Salaam, in cui riuscì ad aggirare le linee nemiche ed infiltrare due spie tedesche in Egitto. Per queste imprese Rommel lo promosse al grado di maggiore e gli conferì l’onorificenza della Croce di Ferro. Almásy morì per una dissenteria in un ospedale di Salisburgo nel 1951 (probabilmente per un avvelenamento…).

Qualche tempo fa al mitico Angelo Castiglioni, che insieme al fratello Alfredo nel 1989 scoprì davvero la mitica Berenice Pancrisia nel deserto nubiano con l’ausilio di una antica mappa araba, chiesi cosa avrebbe voluto ancora fare dopo sessant’anni di esplorazioni africane. Lui mi rispose: “scoprire Zerzura”. Se un uomo leggendario come Angelo Castiglioni continua a sognare Zerzura, significa allora che c’è ancora speranza per tutti noi. La speranza di ritrovare nel Grande Mare di Sabbia le storie del deserto che fanno parte del nostro bisogno di libertà e di conoscenza.

(nella foto: immagini del deserto libico colte da Almásy con i suoi voli aerei sul Deserto Libico)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore