Valle dell’Omo. Storia di una fine e di una possibile rinascita

Il bacino del fiume Omo, che dagli altopiani del sud-ovest etiope scorre per circa 760 km fino a sfociare nel lago Turkana, in Kenya, ha rappresentato per secoli un ecosistema unico e straordinario per complessità e diversità. Questa regione costituì uno dei primi paesaggi dell’uomo moderno. Grazie alla ricchezza del suo ecosistema, quest’area ha attratto popoli molto diversi. Oltre cinquanta erano i dialetti parlati e una dozzina i popoli che lo abitavano, tra cui Mursi, Bodi, Hamer, Kwegu, Tid, Kara, Turkana ecc. Gli stili di vita, i miti e le ritualità di tutti questi popoli sono rimasti profondamente radicati alle delicate dinamiche eco-sistemiche di questo fiume.

All’Omo è legata la storia dell’esplorazione dell’Africa nera. Livingstone, Baker, Stanley attraversarono il Congo, seguirono il corso dello Zambesi, scoprirono il lago Vittoria e sciolsero il grande enigma millenario delle sorgenti del Nilo. Fu proprio tre anni dopo l’ultimo viaggio di Stanley che un italiano, il capitano Vittorio Bottego, partendo dalla Somalia attraversò il deserto dell’Ogaden, raggiunse il Giuba e infine si avventurò alla ricerca delle misteriose sorgenti dell’Omo. Di questa impresa rimangono i diari di Luigi Vannutelli e Carlo Citerni, che riuscirono miracolosamente a trovare la via del ritorno mentre Bottego morì, vittima della sua vanagloria e del disinteresse e dell’ignavia della burocrazia coloniale italiana, che lo abbandonò senza che egli potesse avere notizia della disfatta di Adua (1° marzo 1896). Nessuno si preoccupò inoltre di avvisare Menelik , durante le trattative di pace che seguirono a tale disfatta, che una spedizione italiana in armi stava percorrendo il territorio etiope. Bottego e i componenti della sua spedizione furono massacrati il 17 marzo 1897, mentre la pace tra Italia ed Etiopia era stata stipulata il 26 ottobre 1896.

Bottego era partito il 12 ottobre 1895 con 250 ergastolani liberati dal terribile lager di Nocra, e durante il suo percorso lasciò una scia inaudita di sangue e di violenza, sterminando animali e uomini al suo passaggio. Sulla scia di Bottego i fratelli Castiglioni condussero una spedizione nel gennaio 1985 lungo la Valle dell’Omo, cercando di documentare ciò che si era modificato nell’arco di novant’anni. Percorsero 6/700 km a piedi, come una delle classiche carovane di portatori utilizzata dagli esploratori dell’Ottocento, sperimentando ciò che avevano già attuato sui Monti Mandara (Cameron). Avanzando lentamente in un territorio molto accidentato, documenteranno in maniera approfondita ed esauriente gli aspetti geografici, faunistici ed etnografici dell’Omo. Il tempo sembrava ancora fermo all’esplorazione di Bottego, ma da lì a breve tutto sarebbe cambiato inesorabilmente.

Da circa una decina di anni la sopravvivenza di questo delicato sistema fluviale e dei popoli che ospitava è ormai minacciata da una grave crisi ambientale e umanitaria, generata dalla realizzazione della diga Gibe III, posizionata a circa 150 km a sud della sorgente dell’Omo, e dei piani di sviluppo agro-industriale a esso associati. Al posto della biodiversità sono subentrate le monocolture industriali. Alterando i cicli idrogeologici naturali, la diga ha sottratto gran parte delle acque che un tempo confluivano nel lago Turkana, che ora rischia di scomparire. Il Turkana fu dichiarato Patrimonio dell’Umanità nel 1980 e nel 1997, ma nel 2018 è entrato purtroppo nella lista dei siti in pericolo proprio a causa dell’impatto della diga.

La storia dell’Omo e dei popoli minacciati è diventata così l’emblema di una battaglia universale di libertà. Tutti questi popoli indigeni, qui nel sud dell’Etiopia come in ogni parte del mondo, sono sempre più minacciati dall’aggressione di un’economia brutale e da modelli di sviluppo che, oltre a distruggere sistematicamente gli equilibri ambientali, appaiono insostenibili e mettono a repentaglio la natura universale dell’uomo, i suoi miti e la sua cultura millenaria. Dall’ultimo viaggio dei fratelli Castiglioni sembra trascorsa un’era geologica, mentre in realtà sono passati solo 35 anni. Un breve periodo che, tuttavia, è bastato, qui nella Valle dell’Omo come in Amazzonia, nelle foreste equatoriali africane o del Far East, a mettere a rischio un patrimonio ecologico e umano che ogni giorno è sempre più minacciato per l’ingordigia di pochi.

Per questo è così importante conoscere e tutelare la memoria e la cultura di questi popoli minacciati. Parlare di loro significa infatti sottrarli al silenzio forzato e dare voce ai loro diritti, e con essi tutelare quello che resta delle biodiversità del pianeta. Ancora una volta i fratelli Castiglioni sono stati i precursori di questo movimento: il patrimonio che ci hanno lasciato durante sessant’anni di esplorazione va assolutamente preservato e valorizzato. Cercheremo di farlo attraverso la creazione di un nuovo museo dedicato alla storia dell’esplorazione, che sappia proiettare lo sguardo verso il futuro attraverso la narrazione delle scoperte degli esploratori italiani nel mondo

(nell’immagine: donna Kara nella bassa Valle dell’Omo, Etiopia, 2008, foto di Jane Baldwin)

Con questo scritto, sono arrivato ai primi 100 interventi del mio blog. Continuate a seguirlo!

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore