Tokyo: la città, l’uomo e l’esocosmo

Sono davvero stordito. Nella sua mostruosità Tokyo è affascinante, conturbante, seducente, inquietante e inavvicinabile, e in fondo quasi indefinibile come lo stesso concetto di iki, con le sue folle incontenibili, i suoi richiami, le sue abnormi vie commerciali, i piccoli negozi di dolci, i localini dove si gustano eccellenti sushi e sashimi e il tempura (che deriva da tempora, un fritto di verdure e pesce introdotto dai portoghesi come cibo per il periodo quaresimale) e i locali alla buona dove, davanti a banconi rustici in legno, si gustano le mitiche ed economiche zuppe di tagliolini (ramen). Questa città ti toglie il fiato, non ti fa riflettere, richiede prontezza ed immediatezza. Null’altro.

Tokio è l’emblema della modernità disorientata e che disorienta. La megalopoli è stata realizzata e si è espansa a macchia d’olio, come conseguenza della vertiginosa ricostruzione post-bellica. Nei debordanti ed invasivi impianti infrastrutturali, nelle sue vie sopraelevate e nei suoi percorsi sotterranei il giorno e la notte della metropoli si confondono, l’iper – illuminazione ipnotizza. Al mondo fluttuante dell’ukiyo-e si è sostituito un universo ambiguo, fluido, un vero e proprio samsara (che in sanscrito significa proprio “vortice del divenire”). Il caos viene imbrigliato e regolamentato dalle forme dell’architettura iper – modernista. Le scale mobili salgono e scendono nei grandi centri commerciali, il traffico scorre su molteplici livelli, fiumane immani di pedoni affluiscono e defluiscono in impetuosi torrenti, in fiumi che si arrestano davanti ai semafori che assurgono alla funzione di dighe e paratie di contenimento. La realtà urbana è sempre più liquefatta. Ogni oggetto, ogni persona perdono la forma e il contenuto propri, e si mescolano in un organismo “altro”. L’intromissione digitale avviene, anch’essa, attraverso i cavi e le infrastrutture ottiche, le nuove vie d’acqua dell’innovazione tecnologica. Tutto nasce da un “flusso” e ridiventa “flusso” anche e soprattutto in termini economico-finanziari. Il Vangelo del cash-flow (flusso di cassa) modella l’iper-realtà dei business plan e regola la vita pulsante delle imprese, spesso attanagliate in questa crisi dalla leva del debito. La città diventa un non-luogo, un labirinto in cui si perde l’orientamento, la corporeità e, pertanto, la propria individualità: nel labirinto regnano il caso, la sorpresa e l’interazione tra reale e virtuale, e la progressiva immaterialità porta alla scomparsa “fisica” del “prossimo” (dal greco presìos, “l’altro che ti sta vicino”). Nella densità della dimensione urbana, amplificata dalla mancanza di spazio vitale e dall’esasperata concentrazione abitativa, la differenza e la necessità del “vicino” vengono annullate (e con esse la con-passione buddhista e cristiana) e sostituite dall’extra – territorialità virtuale.

L’uomo è solo una molecola d’acqua tra tante, incanalata nel fluire di una quotidianità inarrestabile…Liquidità, naufragio, navigazione, assemblaggio diventano così le metafore del “villaggio globale”.

<< Tokyo è una città spaventosa, la più grande e la più brutta del mondo >>, scriveva Cesare Brandi nel suo “Budda sorride”. Anche Fosco Maraini descriveva Tokyo come “crocevia di mondi”, “…la brutta, la sciatta, la provvisoria, la caotica”. Tokyo è un insieme caotico e ciclopico, scioccante: tutto è in continuo ed inarrestabile dinamismo, e tutto sembra girare su se stesso. Il suo centro è il vuoto, come ben scrisse Roland Barthes, generato dall’horror pleni della concezione estetica giapponese, a sua volta mutuato dalla filosofia Zen, una gigantesca allegoria del silenzio della mente e, pertanto, metafora dell’eccellenza. Impermanente e sfuggente, seducente, disinvolta e cinica, Tokyo utilizza i suoi corpi / oggetti con estrema disinvoltura, non curandosi delle distruzioni e delle demolizioni, come se tutto fosse governato dallo stesso immutabile spirito shinto che, ogni vent’anni, smonta e rimonta i templi.

Tokyo dimentica il suo passato e si perde in questo moto perpetuo, nel sistema arterioso – venoso delle sopraelevate, delle gallerie, dei tunnel sotterranei che giorno per giorno rinnovano la partogenesi delle masse. E’ la metropoli dell’anywhere, del dovunque che può voler dire da nessuna parte o da qualche parte, e dove in fondo perdersi è comunque segno di rinnovamento. Nella sua mutevole condizione Tokyo si rigenera e si dissolve, priva di anima od essenza propria. Nella sua perenne condizione mutevole, Tokyo vive nel transitorio, vuota di essenza propria, in perenne dissolvimento e rigenerazione

(foto di Alessandro Pellegatta)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore