Salviamo Massaua

Per loro stessa definizione le aree del Mediterraneo, del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano sono da sempre aree di contaminazione, le sedi dove da più tempo e con maggiore regolarità si svolge un processo antichissimo, che noi moderni definiamo appunto come “globalizzazione”. La potenza del mito dell’Oriente ha rappresentato uno straordinario magnete per secoli, attirando fin dai tempi di Erodoto (475 a.C.) esploratori e marinai. Nearco, ammiraglio di Alessandro il Grande, aprì una nuova rotta dal delta dell’Indo al Golfo Persico.

Il Mar Rosso fin dai tempi antichi fu attraversato da navi cariche dei profumi dell’Arabia Felix, dei metalli e delle spezie dell’India, e di beni preziosi che, scaricati nelle stazioni portuali, si diffusero specie a partire dal periodo tolemaico in poi lungo le sue sponde, e che in seguito venivano poi trasportati via terra attraverso lunghe carovane sull’altopiano etiopico e infine re-imbarcati sul Nilo per giungere ad Alessandria e da lì nel Mediterraneo. Le nozioni di Oriente e di India rimasero per secoli vaghissime, e la stessa collocazione del Prete Gianni restò geograficamente indefinita: fu proprio grazie alla navigazione che le conoscenze geografiche dell’Occidente si affinarono. Nel 1500 a.C. le imbarcazioni della regina egiziana Hatshepsut avviarono una spedizione nella terra di Punt, e nel 970 a.C. i Fenici rifornirono di legname re Salomone. Molte delle principali esplorazioni geografiche degli antichi greci avvennero via mare.

Fin dall’antichità l’Oceano Indiano e il Mar Rosso furono attraversati da poderosi traffici commerciali di spezie, profumi e droghe. Nel Medioevo lungo le mitiche rotte dei marinai omaniti e cinesi si giocarono i destini e le fortune delle tratte marittime della Via della Seta, e seguendo il mappamondo di Fra Mauro i Portoghesi, a coronamento di un sogno occidentale millenario, resero possibile la conquista dell’Oriente agli inizi del Cinquecento, quando ancora si pensava che il mare fosse Caos e Orrore.

Localizzata nel sud del Mar Rosso, la città portuale di Massaua da secoli fa capo a un complesso sistema di scambi commerciali che ha messo in collegamento altopiano etiopico e bassopiani marini, Mediterraneo, Penisola Arabica e Oceano Indiano. La sua posizione strategica attrasse nel corso dei secoli popolazioni di ogni religione o etnia. Le sue antiche origini, ancora avvolte nel mistero, rimandano alla fine di Adulis, la cittadina portuale dello jus gentium che probabilmente venne sepolta da un’enorme inondazione dell’Haddas: secondo Johao de Castro, Massaua sorse sull’antico sito di Ptolemais delle Cacce, una località descritta nel I secolo nel Periplo del Mar Eritreo. Colonizzata dagli Islamici, che si insediarono nelle isole Dahlak nel VII secolo fondandovi un sultanato, Massaua fu occupata dai Portoghesi il 10 aprile 1520 e in seguito dagli Ottomani dal XVI al XIX secolo, che a loro volta delegarono il potere alla famiglia dei Balau, di origine Beja. Passò di mano in mano diverse volte tra Ottomani ed Egiziani e il 5 febbraio 1885 fu occupata dagli Italiani, col tacito consenso degli Inglesi, impegnati nella lotta contro i Dervisci sudanesi, e il 1° gennaio 1890 divenne la capitale della Colonia Eritrea.

Colpita e distrutta da un terremoto negli anni Venti, Massaua venne riedificata mediante un attento piano urbanistico che ha conservato le memorie ottomane. Negli anni 1934-37 il porto di Massaua ebbe un impulso fortissimo, a causa del traffico vertiginoso di merci e al movimento di persone insito nella guerra d’Etiopia e all’esecuzione di grandiose opere stradali. La città fu “la porta dell’Impero” e fu collegata con Asmara anche da un’ardita ferrovia e da una teleferica. Dopo la fine dell’AOI (Africa Orientale Italiana). Massaua decadde in un inesorabile declino. Nel 1952 la città subì la federazione forzosa all’Etiopia, visse ai margini dell’Impero etiopico e vide la guerra di liberazione. Nel 1990, la città fu liberata durante l’operazione Fenkel ma dovette subire i pesanti bombardamenti dell’aviazione etiopica. E dopo trent’anni porta ancora i tragici segni della devastazione.

Spronata dalla rivoluzione dei traffici marittimi conseguente all’apertura del Canale di Suez (1869), Massaua cambiò radicalmente nel corso dell’Ottocento, diventando progressivamente un porto moderno del Mar Rosso intorno al quale prosperò e si sviluppò una classe mercantile cosmopolita e ricca. La stessa composizione etnica di Massaua riflette il suo ruolo primario nel Mar Rosso e include gruppi umani molto diversi tra loro (Baniani dell’India, che erano già presenti allo sbarco dei Portoghesi; Hadramiti; Egiziani; Habesha e altri) che si insediarono qui. Se si escludono i Cristiani del Medio Oriente, gli Asiatici non islamici, gli Ebrei e i Cristiani abissini, la grande maggioranza degli abitanti di Massaua fin dai tempi antichi è rappresentata da Musulmani Sunniti aderenti ad ordini sufi (turuq), specialmente Qadiriyya, Shadhiliyya e Hathimiyya. Dalla seconda metà del XIX secolo e attraverso il colonialismo italiano l’ordine Hathimiyya consolidò le sue ascendenze dapprima a Massaua e poi in tutta l’Eritrea dell’Est.

L’Eritrea ha avuto fin dall’antichità un suo rilevante spazio geo-strategico in quanto combinava dimensioni territoriali diverse, terrestri e marittime, il tutto nell’ambito di una macroregione complessa. Questo paese è stato pertanto nei secoli un vero e proprio laboratorio di sperimentazione sociale, economica e giuridica che ha anticipato i tempi moderni. Il vecchio colonialismo italiano antecedente al fascismo e alla creazione dell’impero cercò di comprendere tutta questa diversità per amministrarla. Colonia e post-colonia restano spazi simbolici e identitari in continuo movimento, e l’Eritrea resta uno straordinario paese che presenta letture trasversali sulle appartenenze multiple nella regione del Corno d’Africa. Massaua è pertanto da sempre una città cosmopolita e multietnica, e anche dopo decenni di abbandono e nonostante le devastazioni lasciate dalla guerra con l’Etiopia mantiene ancora un fascino storico, architettonico e umano unico al mondo, irresistibile ed enigmatico, fatto di eclettismi e di contaminazioni e che con l’avvio del nuovo processo di pace nel Corno d’Africa è destinata a tornare ad esercitare quel ruolo primario nel Mar Rosso che la storia le ha assegnato nei secoli. Le sue vicende storiche altro in fondo non sono che le anticipazioni profetiche del futuro che ci attende.

Il legame tra Massaua e il Mar Rosso è indissolubile, e nella sua lunghissima storia questa città è sempre stata meta, transito, sosta, punto di partenza e di arrivo e soprattutto luogo di contaminazione e di incontro tra genti tra loro molto diverse. Mercanti, soldati, esploratori, coloni, semplici viaggiatori hanno sostato e vissuto a Massaua segnandone il volto nel suo inarrestabile mutare, tracciandone i confini umani e forgiandone lo spazio marino e terrestre. Le voci del tempo irrompono nella storia di Massaua, sussurranti, e ci inducono a indugiare, a riflettere sulla straordinaria storia di questa città che ha molto da insegnare al mondo.

Così come la cultura europea è stata monopolizzata per secoli dal miracolo ellenico e romanico ed è giunta assai tardi alla conoscenza dell’arte musulmana, così nell’Etiopia storica la ricerca si è tradizionalmente orientata soprattutto sulla civiltà aksumita e sulla cultura cristiano-copta, mentre in realtà l’urbanizzazione di questi territori è molto più antica e risale alla civiltà adulitana, che ebbe in Adulis il centro commerciale propulsore e che raccolse il cosmopolitismo da e verso l’Egitto antico, l’Arabia Felix, l’India e il Mediterraneo. Con l’abbandono di Adulis ,Massaua ne prese il posto favorita dalla sua posizione geografica. E sempre a Massaua sorse la prima moschea della storia dell’Islam, il santuario di Sahaba edificato da Ras Mudur a ricordo dello sbarco nel 615 di alcuni seguaci di Maometto in fuga dalla Mecca.

Sia per il Cristianesimo che per l’Islam le nuove idee giunsero dal mare e si propagarono per tutto il Corno d’Africa mettendo a frutto i rapporti e le vie marittime e terrestri, che mettevano in comunicazione paesi differenti ma sempre collegati da comuni vincoli di scambio commerciale. Situato tra Oceano Indiano e Mediterraneo e separando l’Africa nord-orientale alla Penisola Arabica, il Mar Rosso è da sempre uno spazio marittimo unico al mondo e fu tra i primi ad essere menzionato nella storia antica. Esso non fu solo un luogo di transito bensì una regione densa di culture e identità differenti, una regione integrata da circuiti e reti multistrato e interconnesse, e su cui la ricerca culturale e archeologica è solo agli inizi. Il clima dei suoi aridi e desolati litorali è torrido e ciò li rende inospitali, e lungo questi litorali marini si estendono barriere coralline e banchi poco profondi che rendono pericolosa la navigazione. Alcune delle rive del Mar Rosso sono inoltre delimitate da montagne impervie e scoscese, che separano la costa dalle regioni nilotiche e dall’altopiano etiopico. Il regime dei venti ha inoltre modellato i modelli di circolazione navale delle merci e la stessa posizione delle città portuali (tra cui Massaua) fino all’avvento dei primi piroscafi a vapore conseguente all’apertura del Canale di Suez, e anticamente divideva il Mar Rosso in due distinte sfere di navigazione, con implicazioni storiche di grande portata.

Ciò che forse ancora oggi viene percepito dai più come un’area desolata e astorica in realtà rappresenta uno degli esempi più straordinari di cosmopolitismo, e testimonia come le interrelazioni commerciali e sociali travalichino le barriere naturali e le frontiere artificiali. L’esistenza degli attuali confini internazionali, prodotti dal colonialismo europeo, la lunga situazione di isolamento in cui è rimasta l’Eritrea per decenni e i conflitti in Somalia hanno reso difficile lo studio del Mar Rosso per quello che effettivamente è stato, uno spazio integrato e multietnico. La dilapidazione e la derelizione di alcune città costiere (Suakin, Zeila, Mokha e la stessa Massaua) rischiano di far scomparire per sempre un grande patrimonio materiale e immateriale, che merita di essere meglio studiato e conosciuto, considerato soprattutto che ciò che fu nei secoli passati un’area di frontiera oggi si ripresenta puntualmente come nuova linea d’ombra tra mondo occidentale e Islam.

Le luci, le ombre e i chiaroscuri di Massaua ci aiuteranno pertanto a comprendere il fascino delle sue coste e dei suoi cieli, i suoi drammi e le sue meraviglie, e daranno respiro alla visione del futuro che, da qualche parte, ci attende. Nel porto antico di Massaua le strade oggi sono ancora così silenziose che si può percepire il passo dei rari pedoni echeggiare tra le mura della città in rovina. Decenni di conflitti, di abbandono e di politiche isolazionistiche hanno ridotto al lumicino i traffici commerciali di questo porto ancora fiancheggiato da edifici bombardati. Ma non sarà sempre così, e le cose sono presto destinate a cambiare.

Con la pace tra Eritrea ed Etiopia, Addis Abeba rivede in Massaua l’antico sbocco al mare sempre rivendicato dal Negus e sancito dal trattato di Hewett (1884). Le gru, gli ormeggi e le sbarre che prima della guerra d’Etiopia gli Italiani avevano istallato sono pronti a ruggire. Ma il ritorno ad un pieno sviluppo marittimo e commerciale rischia di far collassare le fragili memorie storiche di Massaua e delle sue infrastrutture coloniali, sia marittime sia stradali: è pertanto imprescindibile che questo processo venga gestito prestando particolare attenzione alla tutela di un patrimonio unico al mondo e che merita di essere preservato. Massaua diventa così l’orizzonte marino verso cui volgere lo sguardo e le attese per un Corno d’Africa finalmente pacificato, e dove le diversità coesistono e si alimentano a vicenda. Un universo meraviglioso si ripresenta ai nostri occhi dopo decenni di disinteresse e di abbandono: luoghi d’indicibile seduzione riappaiono e con essi le antiche mete, i transiti, le soste, i punti di partenza e di arrivo.

Centinaia di migliaia di italiani sono passati da Massaua diretti verso il fronte etiopico, fuggendo e imprecando. Il clima rimane perfido, caldo e umido. In estate la temperatura è torrida e spesso non tira mai una bava di vento. Ma noi, come i vecchi coloniali che rimasero a Massaua nei periodi più difficili del dopoguerra, continuiamo a essere attratti, come scrisse Tommaso Besozzi nel suo “Il sogno del settimo viaggio” (che raccoglie le sue cronache africane pubblicate negli anni Cinquanta), dall’”[…] odore forte di terra in fermentazione che richiama sensazioni assopite da millenni in fondo alla coscienza della specie”, e dal “fascino della vita difficile”.

Vivo da anni nel desiderio di ripercorrere le antiche vie carovaniere che da Adulis avanzano lentamente verso il Tigrai ed Aksum, e di arrampicarmi ancora sulle ripide pareti di Debra Damo per assaporare il fascino dell’antico binomio mare – altipiano che ha creato tutta l’incredibile bipolarità di questi luoghi unici al mondo. In fondo il futuro ha sempre un volto antico. Cultura e conoscenza fanno sempre la differenza, e Massaua oggi ha un disperato bisogno di amore e di rispetto per tornare a vivere come nel suo glorioso passato. Tutela e valorizzazione del suo territorio potranno presto tornare ad essere un potente motore di crescita per l’intera Eritrea e il Corno d’Africa

(tratto dal libro di Alessandro Pellegatta “Il Mar Rosso e Massaua”, Historica, 2019)

Nell’immagine, il palazzo del Governatore di Massaua con la bandiera italiana

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore