Patria, colonie e affari

Storia del mito nazionale e storia coloniale risultano i paradigmi e le allegorie intorno alle quali, sullo sfondo della Grande Italia sognata dai patrioti del Risorgimento, si sviluppò un giovane Stato e la sua precaria economia, contraddistinta da un capitalismo povero di risorse e che, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, immaginò le colonie come strumento di edificazione economica e di sfruttamento agricolo e commerciale. Il percorso nazionale e coloniale fu assai arduo, contraddittorio, segnato da profonde lacerazioni e violenze, e portò nei primi anni del Novecento al tramonto dello Stato liberale e all’avvento del fascismo, che attraverso la sua visione imperialista generò ulteriori violenze e adottò su vasta scala il razzismo quale elemento ideologico di differenziazione tra dominatori e dominati.

Massoni filo-governativi, funzionari coloniali associati in sodalizi criminosi, ingiustizie sociali diffuse, stati d’assedio e repressioni, scandali bancari, sospensioni dello stato di diritto, meccanismi di manipolazione dell’opinione pubblica perpetrati attraverso la stampa, mal funzionamento della pubblica amministrazione, inefficacia delle forze di opposizione, trasformismo politico e ruberie della Grande Guerra portarono dapprima alla nascita del movimento di San Sepolcro (di cui nel 2019 è ricorso il centenario) e poi all’affermazione di Mussolini, che lo cavalcò abilmente. Fare ordine col disordine divenne l’imperativo categorico.

I problemi irrisolti del Mezzogiorno d’Italia e una favorevole congiuntura internazionale catapultarono l’Italia degli anni Ottanta dell’Ottocento in uno scramble for Africa che partorì un colonialismo autoritario, sprecone, governato dai militari e da lobby parassitarie. Nelle pagine del mio volume intitolato “Patria, colonie e affari” (Luglio editore, Trieste, 2020), vi immergerete nella confusione ideologica e nella “nevrastenia del dopoguerra”, nelle pratiche che dall’Unità d’Italia in poi condurranno all’avvento del fascismo, e scoprirete che quelle stesse urgenze della politica di allora segnano ancora il panorama odierno. Nella waste land della politica e della società italiana dei nostri giorni, sempre più autoreferenziale, rancorosa e incapace di rispondere ai bisogni reali del paese, riemergono i fantasmi delle questioni irrisolte del nostro passato. Dal cumulo caotico delle immagini infrante di questa storia nazionale mai forse interamente posseduta e compresa, oggi dobbiamo raccogliere quanto serve per ritrovare un nuovo senso di comunità e di società civile. Dobbiamo illuminare le zone grigie e depurare le torbide paludi del trasformismo e del populismo per ritrovare nuovi luoghi d‘incontro della comunità nazionale. Non serve demonizzare, creare nemici o capri espiatori ma occorre conoscere, e la conoscenza ci renderà liberi da antichi e inveterati vizi e pregiudizi. E occorre ricreare, come ha scritto Paolo Pombeni[1], “[…] una sorta di rifondazione del tessuto connettivo delle comunità politiche”, che reindirizzi la politica stessa (l’arte del possibile) verso la comunità dei destini nella riscoperta del bene comune.

(nella foto, la copertina del mio libro)

[1] Paolo Pombeni, La buona politica, Il Mulino, Bologna, 2019.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore