Pasolini, lo Yemen e il mondo antico

Oggi si celebra il 45esimo anniversario della morte di Pasolini. Dopo tutti questi anni, restano tanti misteri sulla sua uccisione barbara e criminale. L’Italia è piena di questi atroci misfatti, su cui anche a distanza di decenni non è ancora stata fatta piena luce. La sua fu comunque un’esecuzione, e i motivi della sua condanna a morte forse un giorno li ritroveremo rileggendo le pagine del suo ultimo romanzo incompiuto (Petrolio).

Oggi voglio ricordare Pasolini per una delle sue tante cose meravigliose che ci ha lasciato. Pasolini nell’agosto del 1972 sta lavorando all’ultima parte della Trilogia della vita, e cioè Il Fiore delle Mille e Una Notte, con una sceneggiatura scritta in collaborazione con Dacia Maraini. Durante l’estate fa sopralluoghi nello Yemen, uno dei paesi di storia antica più importanti al mondo (ed oggi minacciato da una guerra orribile) ottenendo uno speciale permesso governativo per entrare nella valle dell’Hadhramaut, e poi in Egitto, India, Persia, ed Eritrea. Alla fine del gennaio del 1973 Pasolini è ancora in viaggio per altri sopralluoghi. Il film viene iniziato a Isfahan, nel cuore della Persia, città che gli ispirerà la stesura del famoso articolo apparso sul Corriere della Sera intitolato Contro i capelli lunghi; intervento con cui Pasolini inaugurerà la felice e scandalosa stagione giornalistica raccolta nel libro Scritti corsari.

La troupe si sposta, oltre che nello Yemen, in Eritrea, in Afghanistan, nel Corno d’Africa ed in Nepal. Pasolini vive il suo film ora per ora, inquadratura per inquadratura, alzandosi alle cinque del mattino. Lavora con grande rapidità e precisione girando con una ARIFLEX 35 senza suono e filmando ogni cosa, case, mura, deserti e tutti <<…gli oggetti retrocessi nel tempo, arcaici, retrospettivi >>. Alla fine delle riprese nello Yemen, una domenica mattina gira con la pellicola che gli rimane il famoso documentario “Le mura di Sanàa”, che salverà la città dalla distruzione. E questo documentario ci aiuta a capire le profonde ragioni della poetica di Pasolini e le stesse motivazioni che lo spingeranno ad abiurare la Trilogia della vita.

<< Alì dagli occhi azzurri / uno dei tanti figli dei figli / scenderà da Algeri, su navi / a vela e a remi. Saranno / con lui migliaia / di uomini / coi corpicini e gli occhi / di poveri cani dei padri / sulle barche varate nei Regni della Fame /…Essi…distruggeranno Roma / e sulle sue rovine / deporranno il germe / della Storia Antica >>. Questi versi di Pasolini risalgono agli anni 1962-64 e già enucleano la crescente insofferenza del poeta per una Roma sempre più abbruttita ed insopportabile, sempre più oltraggiata dalla speculazione edilizia dilagante e dalla volgarità. Ciò che Pasolini rimpiange è “l’illimitato mondo contadino pre-nazionale e preindustriale”. Per tale motivo egli preferisce dimorare il più a lungo possibile nei paesi del Terzo Mondo. Ciò che più affascina Pasolini è la c.d. “età del pane”, come l’ha definita Chilanti, cioè l’epoca in cui gli uomini sono consumatori di beni estremamente necessari, essenziali, avendo ben chiaro che “…i ben superflui rendono superflua la vita”.

Nel  documentario “Appunti per un film sull’India” Pasolini affronta, oltre ai problemi dei rapporti tra le caste e del controllo demografico, la condizione delle campagne e dei villaggi ancora pervasi da una pace “preistorica” e da una “dolcezza elegiaca”. La sceneggiatura del film prevede la morte di un maraja, che nobilmente sacrifica il proprio corpo per sfamare le tigri, e la cui famiglia cade in disgrazia disperdendosi tra le multiformi genti dell’India. <<…Un occidentale che va in India ha tutto ma in realtà non dà niente. L’India invece che non ha nulla dà tutto. Ma che cosa? >>, si chiede Pasolini chiudendo il documentario sulle scene di una cremazione a Benares.

Alla fine degli Anni Sessanta davanti agli occhi di Pasolini giganteggia l’ossessiva irrealtà della sottocultura dei mass media. Allontanata l’illusione che “il selvaggio possa rinsanguare la storia”, si sta concludendo drammaticamente il processo di omologazione. Per mezzo del sistema televisivo, il “Centro” – come lo chiamava Pasolini – assimila progressivamente a sé l’intero paese, imponendo i suoi modelli, che sono poi i modelli dell’industrializzazione e dell’omologazione di massa, che non si accontentano più solo di un “uomo che consuma” ma pretendono che non siano più concepibili altre ideologie che quella del consumo. Scriverà Pasolini nel 1974: <<…ho detto, e lo ripeto, che l’acculturazione del Centro consumistico ha distrutto le varie culture del Terzo Mondo (parlo ancora su scala mondiale, e mi riferisco dunque appunto anche alle culture del Terzo Mondo, cui le culture contadine italiane sono profondamente analoghe): il modello culturale offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, del resto) è unico. La conformazione a tale modello si ha prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale: e quindi nel corpo e nel comportamento >>.

Nel Fiore delle Mille e Una Notte Pasolini ha in breve cercato di dare corpi e luoghi alle proprie perdute utopie. Alle icone delle lontananze di queste immagini lascia le sue carte d’esilio, e intraprende i suoi viaggi di pellicola e di carta. Lo stesso anno di realizzazione del film, comporrà questi versi in friulano: <<…I plans un mond muàrt ./ Ma i no soj muàrt jo ch’i lu plans. / Si vulìn zì avant bisugna ch’i planzìni / il timp ch’a no ‘l pòs pì tornà, ch’ì dizìni di no / a chista realtàt ch’a ni à sieràt / ta la so preson…>>. Il documentario Le mura di Sanàa, come si è detto, venne girato alla fine delle riprese del film nello Yemen e rappresenta un vero e proprio capolavoro. Ciò che spinge Pasolini a girarlo, invocando l’appello dell’UNESCO, è la stessa scandalosa verità che lo porterà all’abiura della Trilogia, la consapevolezza che la distruzione del mondo antico è in atto dappertutto, nello Yemen come in Italia.

L’irrealtà dilagava attraverso la speculazione edilizia del neocapitalismo, abbruttendo il bel volto dell’umile Italia. Rispondendo ad un’intervista -rara e preziosa per quegli anni- di Giulia Massari, Pasolini afferma che <<…lo Yemen è il paese più bello del mondo. Sanàa, la capitale, è una Venezia selvaggia nella polvere, senza San Marco e senza la Giudecca: una città-forma, una città la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell’incomparabile disegno. E’ uno dei miei sogni, occuparmi di salvare Sanàa ed altre città, i loro centri storici: per questo sogno mi batterò, cercherò che intervenga l’UNESCO >>. Così come l’indiscriminato desiderio di modernità e progresso entrato nello Yemen dopo la nascita della Repubblica Araba dello Yemen e la sconfitta dei monarchici (1968) minacciava Sanàa, le sue mura, il patrimonio di una città unica al mondo, bella di una perfezione irreale, esaltante, <<…al posto dell’Italia bella e umana, anche se povera >> si andava brutalmente sovrapponendo <<…qualcosa di indefinibile, che chiamare brutto è poco >>. L’apolide Pasolini, nella parte centrale del suo documentario su Sanàa, fissa così la scena sul paesaggio di Orte, città della Teverina che in quegli anni era anch’essa minacciata dalla deturpazione edilizia. La città di Orte verrà successivamente prescelta da Pasolini in una fortunata rubrica televisiva (di un genere estremamente raro in quegli anni) del 1974 intitolata Io e…, gestita da un’allieva di Roberto Longhi, Anna Zanoli, per denunciare gli oltraggi edilizi.

Nella mente di Pasolini Sanàa e Orte rappresentano pertanto un ideale di bellezza << povera, genuina, assoluta, ai limiti del deserto e dell’arsione vulcanica >>. E così come girando il suo documentario su Sanàa ricorderà Orte, anche nella predetta intervista sulla città di Orte Pasolini ripenserà all’amato Yemen, ricordando con amarezza la distruzione della stupenda porta di granito bianco di Al Mukalla, antica città costiera dello Yemen del Sud ora praticamente irriconoscibile. Come in un incubo Pasolini vede l’Italia distruggersi e, guardandosi intorno, opera perchè nello Yemen ciò non si ripeta. << Per l’Italia è finita, ma lo Yemen può essere ancora salvato…Ci rivolgiamo all’UNESCO in nome della vera, seppur ancora inespressa, volontà del popolo yemenita; in nome degli uomini semplici, che la povertà ha mantenuto puri; in nome della grazia dei secoli oscuri; in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del Passato >>. Con questo accorato appello Pasolini suggella il suo prezioso documentario su Sanàa. Un breve filmato (circa 13 minuti) ha compiuto il miracolo, ha salvato la città ed avviato il processo della sua tutela e salvaguardia.

Dietro le vetrate a mosaico multicolore del funduk Samsarah Yabya Bin Quasim, una piccola locanda di Sanàa, Pasolini medita in cuor suo di inventarsi una nuova vita, lontano dai clamori e dalle banalità di Cinecittà e dalle sterili polemiche letterarie. Sulle scene del film Il Fiore delle Mille e Una Notte la sua troupe percorre l’antico mondo orientale trasformandosi in un accampamento di beduini. Il vertice del sogno di Pasolini sarà acquistare un grande natante in vendita in un porto del Golfo Persico. Anche il film Il Fiore delle Mille e Una Notte altro non è che il concretizzarsi di un mondo del tutto immaginario e originale, estraneo tanto alla storia quanto alla stessa letteratura, una finzione che consente a Pasolini di fuggire da una realtà volgare e inaccettabile. Il film è infatti la conferma, come ha scritto Guglielmo Monetti, <<…del desiderio pasoliniano di una realtà che non esiste, a tutti i livelli, e che solo il poeta, autonomamente, può cercare di costruire >>.

Il rapporto di Pasolini con le novelle arabe de Le Mille e Una Notte è chiaramente e puramente strumentale: lo scrittore/regista usa solo il materiale narrativo che gli interessa, quasi fosse un “serbatoio” da cui rifornirsi liberamente per alimentare i sui viaggi altri. Così il presente yemenita viene mediato da Pasolini, arricchito dalle sue visioni fantastiche. Ma c’è anche qualcosa di più: lo Yemen lo riporta all’innocenza del suo periodo friulano, agli anni delle pietrose rive del Tagliamento dove ritrovare le radici incantate dei suoi sogni e delle sue speranze, prima che egli stesso venga divorato dalle disillusioni romane e dalla crisi ideologica.

Rendendosi partecipe della storia yemenita, Pasolini se ne distacca rifugiandosi nelle proprie visioni poetiche, e per vivere una vita poetica sublimata, l’unica vita possibile e autentica, lontano dalla bruttezza e dalla banalità di quello stesso male che lo annienterò da lì a poco. Ecco, dunque, i suoi viaggi d’inchiostro e di pellicola verso la bellezza dell’arte, di un’arte appassionata e gratuita, verso il topos che rappresenta l’immagine di uno mondo scomparso, lo stesso mondo antico e nobile dell’umile Italia e del suo amato Friuli.

Ciao Pier Paolo, dopo 45 anni sei ancora più vivo che mai, e i tuoi sogni sono rimasti i nostri sogni

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore