L’oasi di Siwa e l’armata scomparsa di re Cambise

Ci sono enigmi del passato che da secoli stimolano la fantasia degli uomini e degli esploratori. Oltre all’Arca che appare e scompare sul monte Ararat, Atlantide, la torre di Babele, la terra di Punt e di Ophir, c’è l’armata scomparsa di re Cambise. Questa straordinaria armata, composta da cinquantamila uomini, fu inghiottita dal deserto nel 524 a.C. mentre cercava di conquistare l’oasi di Siwa. Sfilano ancora oggi davanti ai nostri occhi le immagini delle immense distese sahariane, le dune, le oasi, le carovane, e l’impeto del khamsin che 2500 anni fa soffocò l’urlo di un esercito in marcia verso l’oasi di Siwa. Anni di ricerche hanno confermato l’impenetrabilità di questo grande mistero.

Siwa nell’antichità era un emporio marittimo fondato da coloni greci di Santorino, ma la genesi di Siwa (la “Sekhetam”, la terra delle palme dell’Antico Egitto) non è solo greco-egiziana ma è molto più antica, probabilmente berbera o etiope, e sicuramente plurimillenaria. Posizionata nel deserto libico, possedeva sorgenti di acqua termale (la Fonte del sole), e una grande cisterna dove i pellegrini si purificavano prima di ascoltare l’oracolo, ma era soprattutto famosa per il tempio dell’oracolo e del dio Zeus Ammone, il più importante dell’antichità: un oracolo che faceva concorrenza a quello di Delfi e di Dodone e che si spartiva il lucroso traffico delle profezie per i clienti assetati di futuro. Illustri personaggi visitarono Siwa, tra cui Alessandro Magno prima di intraprendere il suo viaggio verso la Persia e l’Indokush: descrisse questo viaggio Plutarco nelle sue “Vite parallele”.

Oltre al Grande Alessandro, l’oasi fu visitata da due esploratori italiani. Giovanni Battista Belzoni scoprì nel 1817 suggestive “tombe”, ma che in realtà erano tipici pilastri di erosione sagomati dal vento e dalla sabbia, mentre Luigi Robecchi Bricchetti arrivò a Siwa il 27 agosto 1886, dove condusse scavi clandestini: i resti antropologici (due corpi e una ventina di teschi) vennero da lui trafugati e in seguito studiati da due eminenti antropologi italiani (Sergi e Mantegazza). Robecchi Bricchetti rimase molto colpito dalle condizioni degli schiavi di Siwa, e al suo ritorno in Italia divenne uno dei principali fondatori dell’Unione Antischiavista, che lo porterò in seguito a smascherare gli atti illeciti della Società del Benadir in Somalia. Da ultimo, anche i fratelli Castiglioni visitarono a più riprese Siwa prima di affrontare il grande Mare di Sabbia e il Deserto Libico (marzo-aprile 1996), alla ricerca della mitica “silica glass”. A sud di Siwa affrontarono le insidie dei cordoni di dune sabbiose, alle cui basi si accumulano depositi di sabbia finissima, liquida, e in cui è facile sprofondare pericolosamente. Nel 1990 anche il Centro Studi Ricerche Ligabue ha condotto le sue ricerche aggirandosi in questi deserti inospitali e insidiose, inseguendo gli “alamat”, i segnavia di pietra che orientano le carovane in questi ambienti inospitali.

Ci sono più cose sotto il cielo e sotto la terra di quante la nostra conoscenza abbia mai sognato. Ci sono enigmi del passato che continuano a conservare uno spazio per la fantasia e la sfida, in un mondo sempre più dominato dall’ovvio. Continuiamo a inseguire le radici della storia e del mito. E come i misteriosi oracoli di Siwa, continuiamo a conseguire una delle mete umane più ambite: la conoscenza.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore