Le ferrovie italiane in Eritrea. Storia di una resurrezione

Quella delle ferrovie italiane in Eritrea, oltre a rappresentare la storia di un vero e proprio capolavoro ingegneristico, è una visuale molto interessante per osservare come un’opera “coloniale” possa assumere negli anni un significato di rinascita nazionale per gli stessi “colonizzati”.

Dopo Ferdinando Martini, al governo della Colonia Eritrea fu insediato Giuseppe Salvago Raggi, il quale cercò subito di ridurre l’influenza ingombrante delle lobby coloniali, di riformare l’ordinamento giuridico della colonia e avviare la valorizzazione della Società dei cotonieri, delle Saline di Massaua e del sistema ferroviario: creò inoltre delle agenzie commerciali ad Adua, Gondar e Dessié per mantenere rapporti di buon vicinato con gli Etiopi e (ovviamente) avviare proficue attività di intelligence. Sempre alla sagace opera di Salvago Raggi dobbiamo anche l’impulso all’istruzione pubblica in Eritrea.

Salvago Raggi resse le redini della colonia primigenia dal 25 marzo 1907 al 17 marzo 1915, seguendo da vicino la questione terriera che derivò dalla frettolosa (e scellerata) applicazione del regio decreto 19 gennaio 1893 n.23 con cui il generale Baratieri aveva istituito il Demanio della Colonia Eritrea. Molte proprietà terriere appartenenti a villaggi indigeni abbandonati solo per brevi periodi a causa di guerra, carestie o colera, furono con tale provvedimento scippate agli eritrei e accorpate alle proprietà dell’amministrazione coloniale, creando forti contrasti sociali sul territorio che portarono alle sollevazioni di Batha Agos. Salvago Raggi, nell’ottica di sottrarre gli indigeni a ulteriori soprusi e maltrattamenti, finì così per attirarsi le critiche e le opposizioni di coloro che, restando all’ombra dell’amministrazione coloniale, speculavano su detto Demanio, ricevevano vaste concessioni di terreni a prezzo irrisorio, che poi nella maggior parte dei casi non coltivavano nemmeno e sub-affittavano agli stessi indigeni a cui i terreni erano stati sottratti, ricavandone ampio profitto.

Tra i meriti di Salvago Raggi, oltre alla gestione terriera, si ricordano appunto quelli di aver finanziato la Società dei cotonieri (con 200mila lire dell’epoca) e le Saline di Massaua (con 40mila lire dell’epoca), salvandole dalla cronica assenza di banche italiane in colonia, e soprattutto di aver ultimato, nel corso del 1911, i 120 km di linea ferroviaria che separavano Massaua da Asmara, dirottando su quest’opera strategica (che ancora oggi resta un capolavoro dell’ingegneristica italiana e che meriterebbe di entrare anch’essa nel patrimonio dell’Unesco) i fondi originariamente destinati alla costituzione del Quinto Battaglione Indigeno. Con lui il sogno di Manfredo Camperio di dotare la Colonia Eritrea di un’infrastruttura civile ferroviaria divenne finalmente realtà.

La linea ferroviaria subì ingenti danni già alla fine degli anni Sessanta, quando la ferrovia era ancora in funzione, poiché era un obiettivo facile da sabotare sia per i guerriglieri eritrei che per i militari etiopici. Con l’abbandono e lo spoglio dell’armamento ferroviario si aggiunsero le conseguenze della sospensione prolungata delle attività di manutenzione sulla massicciata, sulle opere d’arte e sugli edifici di servizio. In particolare, lungo il tracciato che costeggia i versanti delle montagne, la prolungata ostruzione dei tombini necessari per lo scolo delle acque causò il crollo di interi tratti di massicciata, mentre in altre località delle vere e proprie frane mai rimosse ricoprirono completamente la massicciata stessa. Il tracciato ferroviario si trasformò così di fatto in un mero sentiero accidentato utilizzato solo dai pastori e dalle grandi carovane di cammelli.

Nel 1993, terminata la guerra e sancita ufficialmente l’indipendenza dall’Etiopia, l’Eritrea ereditò dal passato coloniale solo i ruderi di una ferrovia, ma soprattutto i ruderi di un sistema ferroviario, dal momento che anche ciò che era rimasto degli apparati necessari al suo funzionamento era stato seriamente compromesso: si trattava delle linee telefoniche, degli impianti per i rifornimenti idrici, delle officine con tutte le macchine e gli utensili, dei magazzini con i pezzi di ricambio, ecc. Inoltre, mancava il personale altamente specializzato in grado di gestirlo. E proprio in questo contesto emergenziale, in un paese che doveva risollevarsi dalle devastazioni e dai lutti di una guerra di liberazione ultratrentennale, nacque l’Eritrean Railway Rehabilitation Project (1994-2003).

Dall’anno della chiusura di ogni attività ferroviaria, che secondo Jennie Street e Amanuel Ghebreselassie si colloca tra il 1975 e il 1977, varie cause resero la linea completamente inutilizzabile. Innanzitutto, l’armamento ferroviario fu sottratto dalla sede del tracciato per gli scopi più diversi. Con l’instaurazione del regime dittatoriale militare del Derg in Etiopia, la lotta per l’indipendenza si inasprì fino a raggiungere il suo apice e divenne una guerriglia senza quartiere: fu in questo contesto che le rotaie e le traversine furono spesso rimosse dalla massicciata ferroviaria per essere utilizzate come materiale da costruzione per rifugi, trincee e bunker; la penuria e i costi di materiali per l’edilizia resero la ferrovia abbandonata una sorta di magazzino a cielo aperto anche per le comunità rurali dislocate nelle sue vicinanze.

Nel 1991, a guerra conclusa, il materiale di armamento si trovava così sparpagliato in una vasta e imprecisata area intorno alla linea ferroviaria; il materiale rotabile era stato usato come riparo o come magazzino; le fermate e le stazioni, con tutti i fabbricati annessi, officine incluse, furono trasformati a seconda dei casi in fienili, stalle, alloggi. Ciò che avvenne in ambito ferroviario all’indomani della nascita dell’Eritrea come stato-nazione, è ben raccontato da Jennie Street e Amanuel Ghebreselassie. Subito dopo la liberazione, con la partecipazione di diverse agenzie internazionali, tra cui la Banca Mondiale e l’Unione Europea, furono condotti seminari e tavole rotonde per individuare insieme al Governo Eritreo di Transizione le priorità di intervento per una politica economica che avviasse l’Eritrea allo sviluppo.

Nell’aprile del 1994 il presidente Isaias Afewerki richiese ai tecnici eritrei uno studio di fattibilità che avesse come obiettivo quello di ricostruire la ferrovia facendo ricorso esclusivamente alle risorse interne. Si cercò pertanto di individuare e contattare tutti gli ex dipendenti delle Ferrovie Eritree ancora viventi, e dopo averne reperiti alcuni, già il 28 aprile 1994 furono avviati i lavori a Massaua. Avvenne così un vero e proprio miracolo. Grazie alla dedizione dei pensionati e degli operai eritrei, la rete ferroviaria realizzata dagli Italiani rinacque. È un’altra importante manifestazione della “resilienza” di questo paese e della sua capacità di “fare da solo”.

Con queste ferrovie e con la città di Asmara l’Eritrea ha saputo così trasformare i segni della colonizzazione in strumenti di rinascita ed orgoglio nazionale e internazionale. La speranza di oggi è che con l’avvio dei nuovi tracciati stradali e ferroviari e l’ammodernamento dei porti e delle infrastrutture del paese vengano preservate le memorie storiche e infrastrutturali della colonizzazione italiana. Ed ogni donna e uomo di buona volontà dovrebbe contribuire al raggiungimento di questo nobile obbiettivo.

Per approfondire l’argomento si consiglia la lettura dei volumi di Alessandro Pellegatta intitolati “Eritrea. Fine e rinascita di un sogno africano” (Besa editrice, 2017) e “Patria, colonie e affari” (Luglio editore, 2020), nonché la tesi di Dottorato in Conservazione dei Beni Culturali presso il Politecnico di Milano di Nelly Cattaneo intitolata “Da Massaua ad Asmara lungo le infrastrutture del periodo coloniale (1885-1941): storia e tutela di un paesaggio culturale”. Un bellissimo documentario sulla rinascita delle ferrovie eritree è stato recentemente reso disponibile da Al Jazeera sul sito https://www.aljazeera.com/program/witness/2020/11/8/depot-asmara-a-story-of-eritreas-railway/.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore