La riapertura della moschea di Santa Sofia ad Istanbul

In questi giorni ad Instanbul sta avvenendo una vicenda surreale ma terribilmente concreta. E che dimostra come la “strumentalizzazione” della religione non sia una prerogativa solo Italiana.

E infatti attesa ad horas la decisione del Consiglio di stato turco sulla riconversione in moschea di Santa Sofia. Ne sono convinti i media locali, tra cui Hurriyet nella sua edizione odierna. Stando alla ricostruzione dell’influente quotidiano, il massimo tribunale amministrativo di Ankara avrebbe votato all’unanimità l’annullamento dello storico decreto del 27 novembre 1934 dell’allora presidente Mustafa Kemal Ataturk, il Padre della patria turca, che aveva trasformato il monumento simbolo di Istanbul in un museo, dopo essere stato basilica cristiana per quasi un millennio e poi luogo di culto islamico dalla conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453. È lo stesso attuale presidente Recep Tayyip Erdogan a volere questa riconversione. Dopo aver perso le elezioni municipali a Istanbul, è il nuovo Sultano turco a pretenderlo. La modifica dello status di Santa Sofia richiederebbe comunque un atto normativo, che potrebbe giungere in occasione (ovviamente) del quarto anniversario del fallito golpe, il 15 luglio 2020.

Con oltre 130.000 casi accertati, la Turchia è oggi il paese del Medio Oriente più colpito dal Covid-19, superando anche l’Iran, epicentro del contagio nella regione mediorientale. Nelle ultime settimane i numeri sono cresciuti in maniera esponenziale nel paese dove le misure di contenimento, adottate a partire da fine marzo, sono state giudicate non del tutto tempestive. In un paese in cui negli ultimi anni si è accresciuta la centralizzazione del potere nelle mani del presidente Recep Tayyip Erdogan, alla quale è corrisposta una forte restrizione delle libertà di espressione e del dissenso, le associazioni mediche, fin dall’inizio della pandemia critiche nei confronti delle cifre del ministero della Salute, sono state escluse dalla task force sul coronavirus e dai consigli provinciali riguardanti sulla pandemia. Anche in Turchia, come in altri paesi della regione, il governo ha attuato un’ulteriore stretta sull’informazione, ampliando il controllo sulle notizie relative all’emergenza coronavirus ed etichettando come “fake news” tutte le notizie in contrasto con i dati ufficiali. In questo contesto, sarebbero sette i giornalisti arrestati con l’accusa di avere “diffuso il panico” tra la popolazione con notizie false sulla pandemia, mentre oltre 380 persone sarebbero oggetto di indagine per la pubblicazione di post critici sui social media.

Forti sono in ogni caso le preoccupazioni sulle conseguenze economiche della pandemia su un’economia già fortemente provata dalla crisi valutaria del 2018 e dalla recessione che ne è seguita. Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), sulla scia di una recessione dell’economia globale pari al 3%, nel 2020 anche il Pil turco conoscerà una contrazione stimata al 5%, con una disoccupazione che si attesterà al 17,2%.

Dall’inizio dell’emergenza la spesa pubblica è cresciuta del 16% facendo aumentare il deficit di bilancio a oltre 6 miliardi di euro, mentre da gennaio a inizio maggio la lira turca ha perso circa il 17% del suo valore nei confronti del dollaro.  Oltre all’impatto negativo sulla crescita dovuto alla forte contrazione dei consumi interni, del turismo (comparto che nel 2019 contava per 34,5 miliardi di dollari) e dell’export, soprattutto verso l’Europa (principale partner della Turchia), il paese deve far fronte a due problemi di lunga data: da un lato, un elevato debito estero pari a 172 miliardi di dollari; dall’altro, a limitate riserve valutarie – pari a 89 miliardi di dollari a metà aprile – destinate a diminuire ulteriormente.

Se sul piano economico la pandemia ha fatto riemergere le fragilità della Turchia, sul piano politico si è invece aperto uno scontro tra il governo e alcune municipalità governate dall’opposizione, in primis Istanbul e Ankara. Qui infatti i sindaci del Partito repubblicano del popolo (Chp) hanno avviato campagne di raccolta fondi a sostegno della popolazione durante l’emergenza sanitaria, dichiarate illegittime dalle autorità centrali. Se l’appuntamento elettorale del 2023 è ancora lontano, la commistione di interessi politici con la gestione dell’emergenza Covid-19 potrebbe accrescere la conta dei danni al termine della pandemia e non giovare affatto al partito di governo.

Nel frattempo, la Turchia è sempre più attiva sul fronte internazionale; in Libia, in Somalia, in Etiopia, sul martoriato fronte siriano e del Kurdistan, in tema di migranti (con cui di fatto ricatta l’UE) Erdogan non perde occasione per riproporsi come il nuovo attore di una politica nazionalistica che ha pretese sempre più internazionali. E la riconversione al culto di Santa Sofia rientra in questa visione, anche se significa riconsiderare uno degli atti del Padre della patria turca, Ataturk, cioè di colui che fondò la Repubblica turca. Ataturk fu il primo presidente della Turchia dal 29 ottobre 1923, e diede vita a una serie di riforme fondamentali dell’ordinamento della nazione, sulla base di un’ideologia di chiaro stampo occidentalista, sì nazionalista ma avversa al clero musulmano. Abolì il califfato e pose le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, e proibì infine l’uso del velo islamico alle donne nei locali pubblici (legge abolita solo negli anni 2000, dal governo dell’AKP). Erdogan vorrebbe far tornare indietro le lancette della storia. Speriamo che nel 2023 i turchi non glielo permettano. E speriamo anche che l’UE non consenta l’ingresso della Turchia in Europa finché il governo turco non riconoscerà le responsabilità secolari del genocidio armeno.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore