e fui un uomo dell’Ottocento.
In vita ero il mugnaio dello Scoltenna, e come diceva Pascoli
ero un lombardo dei monti, al confine coi toschi.
La mia era una terra di boscaioli e rudi contadini
e dalle macine del mio mulino usciva tutta la farina per sfamare
uomini e donne, poveri e forti, alti, quadrati, biondi,
immaginosi e poetici. Il vecchio canto di quelle macine antiche
allietò i miei giorni e le mie notti.
La mia fu una bella vita, dura ma allegra e solidale
accanto alla mia gente. Tutto condividemmo, il grano
e la tempesta, le alluvioni e il rombo della trebbiatrice:
la polvere negli occhi, le fole raccontate all’imbrunire,
il vino, e il canto benedetto delle cinciallegre.
Voi mi vedete ancora così, in questa foto sbiadita
in cui sorrido appena, sotto il baffo e il cappello.
Tu che passi da questo sparuto cimitero
ricorda il tempo che fu, e l’eco dei miei giorni che ancora rimane
nel cuore della valle. Ritornando al tuo sentiero
rammenta sempre la mia storia
camminando in questi boschi di quercia, nelle faggete
alte, o quando il vento vuole spiumare il cardo.