Il conflitto Armenia – Azerbaijan sul Nagorno Karabakh

Si potrebbe definire uno dei conflitti più antichi del mondo quello tra Armenia e Azerbaijan riesploso con scontri pesantissimi negli ultimi giorni. Quella tra Armenia e Azerbaijan è una guerra che dura da 30 anni, una disputa territoriale in cui l’oggetto del contendere è la regione del Nagorno-Karabakh, internazionalmente riconosciuto come parte dell’Azerbaijan ma controllato da Armeni, che ha portato in pochi giorni alla morte di almeno 23 persone nelle due ex repubbliche sovietiche, tra cui una donna e un bambino, e almeno 100 feriti. Tutti parlano delle vittime e degli scontri, ma forse occorrerebbe ricordare le ragioni storico-politiche di questo durissimo conflitto, che ha ragioni profonde.

Come ho scritto nel mio “Karastan. Armenia, terra delle pietre” (Besa editrice, 2016), quella del Nagorno Karabakh è la storia di un “paese negato”. Questo conflitto tra Armeni e Azeri relativo al Nagorno Karabakh ha origine nel periodo staliniano. Al pari di ciò che successe in Asia centrale, Stalin tracciò infatti linee di confine assurde e assegnò territori con l’esclusivo intento di indebolire le nazioni e puntellare le fondamenta dell’URSS. Il conflitto, che covava da decenni sotto la cenere, fu il primo a coinvolgere due Repubbliche dell’Unione Sovietica sotto la presidenza di Gorbaciov. Il territorio del Nagorno Karabakh, montuoso e coperto di foreste, è abitato infatti prevalentemente da Armeni (che nel 1976 ammontavano al 76% dell’intera popolazione) che in esso riconoscono l’Artsakh, la decima provincia dell’antico Regno di Armenia.

Il nome “Karabakh” è composto da due parole, “kara” e “bagh” (o anche “bakh”) che originano, rispettivamente, dalla lingua turca e persiana e significano letteralmente “giardino nero”, mentre “Nagorno” deriva dal russo e significa “altopiano”. Qui nacque la cultura Kura-Araxes (da cui deriva il citato nome armeno di Artsakh) e qui si miscelarono abitanti autoctoni e tribù migranti di natura non indoeuropea. Nel 180 a.C. questa regione divenne una delle province della Grande Armenia, e Tigran il Grande fondò nell’ Artsakh la città che chiamò Tigranakert (dove nel dicembre 2006 sono state scoperte le rovine del castello risalente al II o III secolo). Nel 387, con la spartizione dell’Armenia tra Bisanzio e la Persia sassanide la provincia di Artsakh divenne parte della satrapia sassanide dell’Albania Caucasica e rimase sotto l’influenza culturale e religiosa dell’Armenia. Fu proprio nel IV secolo che ad Amaras, proprio nel territorio dell’attuale Nagorno Karabakh, venne fondato uno dei più antichi siti del Cristianesimo. Secondo Fausto di Bisanzio, storiografo armeno, fu proprio San Gregorio l’Illuminatore che fondò questa chiesa, che ancora oggi raccoglie la tomba del Santo sotto l’abside, e sempre qui Mashtots, l’inventore dell’alfabeto armeno, fondò la sua prima scuola.

Secondo un’antica leggenda Tamerlano, durante la sua devastante invasione del 1387, ordinò ai suoi soldati di disporsi in fila fino al fiume Arasse, che scorreva a decine di chilometri di distanza, e di gettare ad una ad una tutta le pietre della chiesa di Amaras in quel fiume, ma una forza divina le riportò al sito originario.

Ci sono pertanto profondi legami che uniscono questa terra all’Armenia. Nonostante ciò, Il Nagorno Karabakh venne inglobato per volere di Stalin nella Repubblica sovietica dell’Azerbaijan dopo la conquista dei bolscevichi del 1920. Nel marzo dello stesso anno si verificò il pogrom di Sushi, una delle capitali culturali del Caucaso, che determinò la totale distruzione del quartiere armeno di questa città e la fuga della popolazione armena sfuggita al massacro. All’origine di ciò stava il contenzioso tra Armeni e Azeri per il controllo della regione e in particolare di questa città, l’unica che vedeva una significativa presenza azera. Alle propaggini montuose più elevate (Alto Karabakh) abitate quasi esclusivamente da Armeni fu riconosciuto uno statuto speciale di distretto autonomo. Le frizioni tra Armeni e Azeri continuarono nel corso degli anni dell’Unione Sovietica, e nell’atmosfera di crescente liberismo, di “glasnost” dell’era Gorbaciov le questioni interetniche passate e future si polarizzarono ulteriormente, creando ulteriori malumori e malcontenti. Finché i capi armeni del distretto autonomo nel 1988 chiesero il trasferimento dello stesso sotto la giurisdizione dell’Armenia repubblicana.

Anche se solo collegati parzialmente alle vicende del Nagorno Karabakh, i pogrom contro gli Armeni di Sumgait nel 1988 e di Baku nel 1990 convinsero gli Armeni che la faccenda non era solo di carattere amministrativo e di confine, ma che impattava sulla stessa loro identità nazionale. Dalla metà del 1989 oltre 180mila furono i migranti armeni espulsi dall’Azerbaijan, mentre a loro volta gli Azeri vedevano una minaccia all’integrità territoriale della loro repubblica. In Armenia l’opposizione utilizzava le vicende del Nagorno Karabakh per scatenare proteste di piazza finchè nel 1989 fu proclamata l’unificazione del citato distretto autonomo nella Repubblica armena. Nel frattempo Nel Nagorno Karabakh cominciavano costituirsi gruppi paramilitari appoggiati dall’Armenia. Il conflitto era destinato ad aumentare in corrispondenza col progressivo venir meno del potere centrale sovietico. Nel settembre del 1991 gli Armeni annunciarono a Stepanakert la creazione della Repubblica del Nagorno Karabakh, separata e indipendente, e a distanza di qualche mese un referendum popolare confermò il tutto.

Fu alla metà del 1992 che si passò alla guerra aperta: le truppe militari del Nagorno Karabakh liberarono un corridoio che permetteva un collegamento con l’Armenia. Dopo l’abbandono di Sushi da parte azera si verificò un massacro di Azeri nel villaggio di Khojaly, episodio che per gli Azeri assunse lo stesso significato dei pogrom di Sumgait e Baku per gli Armeni. Dopo svariati tentativi di mediazione, nel maggio 1994 la Russia riuscì ad ottenere dalle parti belligeranti un armistizio, che tuttora risulta spesso disapplicato.

Dopo oltre un decennio di colloqui questa guerra è ancora latente. La questione del Nagorno Karabakh rappresenta un altro anello della catena infinita di disordini che si estende dall’Ucraina fino alla Siria. Il conflitto del Nagorno Karabakh è di fatto “pending” fin da quando i combattimenti militari sono cessati nel 1994 ed è un esempio classico di scontro tra contrapposti nazionalismi. Anche nell’aprile 2016 si erano verificati violenti scontri armati che hanno prodotto decine di morti. Gli appelli della comunità internazionale che chiedono il cessate il fuoco vengono ignorati. Nessuno dei due paesi vuole scendere a compromessi e per entrambi questo conflitto è legato alla stessa sopravvivenza dei rispettivi regimi: mobilitare periodicamente la nazione intorno alla bandiera impedisce di fatto il cambiamento e l’alternativa allo status quo. La Russia vorrebbe dire la sua, ma non riesce a reggere le fila. Il presidente azero Aliyev si è arroccato al potere, con un giro di vite contro la società civile e l’opposizione spingendo l’Azerbaijan sempre più lontano dall’Occidente, ma questo paese non sarà mai un alleato della Russia anche se compra notevoli quantitativi di armi russe, posto che ha interessi propri in campo energetico ed ha forti legami con la Turchia. L’Armenia tenta di mantenersi in equilibrio: pur essendo un fedele alleato della Russia cerca di conservare buoni rapporti con la Georgia, l’Unione Europea, la NATO e gli Stati Uniti e l’Iran. Il Nagorno Karabakh è invece uno stato che continua a non essere riconosciuto a livello internazionale. L’unica arteria di collegamento con l’Armenia è la strada (M12) che da Goris, nel sud dell’Armenia, raggiunge Berdzor (dogana), la capitale Stepanakert per poi arrampicarsi verso l’altopiano del Karabakh: purtroppo le aree di confine con l’Azerbaijan rimangono ad alto rischio.

Ancora oggi, dopo decenni dalla fine dell’URSS, stiamo ancora pagando le scelte scelerate, qui come in tutto il Caucaso e in Asia Centrale, di chi ha voluto dividere e indebolire i popoli tracciando sulle carte geografiche confini assurdi. Ed è triste vedere come molte aree geografiche del mondo, dove per secoli hanno convissuto popoli molto diversi per cultura e religione, oggi stanno diventando sempre più terreno di scontro e di conflitto, e dove alla tolleranza si sta sostituendo il nazionalismo e l’odio interetnico. Dopo oltre un secolo dal genocidio armeno, il confine turco-armeno resta il più militarizzato e inaccessibile del mondo. Il nuovo sultano turco sta rilanciando il mito della Grande Turchia, e il Medio Oriente è sempre più una polveriera dove imperversano violenze e ingiustizie. E il Nagorno Karabakh è in fondo solo uno dei tanti tasselli della politica interventista di Erdogan

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore