Il centenario della nascita di Pasolini

Il 5 marzo 2022 si celebreranno i cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini.

Sciascia lo definì ”fuori dal tempo”, ovvero singolare e non ideologico. Pasolini fu un uomo, un poeta, scandalosamente libero, un profeta incompreso.

Di Pasolini ci mancano le sue riflessioni ‘’corsare’, che attaccavano il degrado della società e il suo conformismo, le idee e l’essenza di una piccola borghesia benpensante che visse (e vive tuttora) all’ombra dei poteri dei Palazzi. E soprattutto la sua denuncia civile, e quel rimpianto nostalgico per un mondo contadino, per un Terzo Mondo fagocitati entrambi dall’avanzare di una ‘modernità’ volgare, barbara e annichilente.

Di lui mi piace ricordare ciò che fece per lo Yemen, un paese depositario della storia antica e della cultura dell’uomo che, giorno per giorno, viene progressivamente devastato da una guerra assurda, e di cui nessuno parla più.

Pasolini nell’agosto del 1972 sta lavorando all’ultima parte della Trilogia della vita, e cioè Il Fiore delle Mille e Una Notte, con una sceneggiatura scritta in collaborazione con Dacia Maraini. Durante l’estate fa sopralluoghi nello Yemen, ottenendo uno speciale permesso governativo per entrare nella valle dell’Hadhramaut, e poi in Egitto, India, Persia, ed Eritrea.

Alla fine del gennaio del 1973 Pasolini è ancora in viaggio per altri sopralluoghi. Il film viene iniziato a Isfahan, nel cuore della Persia, città che gli ispirerà la stesura del famoso articolo apparso sul Corriere della Sera intitolato Contro i capelli lunghi [1]; intervento con cui Pasolini inaugurerà la felice e scandalosa stagione giornalistica raccolta nel libro Scritti corsari.

La troupe si sposta, oltre che nello Yemen, in Eritrea, in Afghanistan, nel Corno d’Africa ed in Nepal. Pasolini vive il suo film ora per ora, inquadratura per inquadratura, alzandosi alle cinque del mattino[2]. Lavora con grande rapidità e precisione girando con una ARIFLEX 35 senza suono e filmando ogni cosa, case, mura, deserti e tutti <<…gli oggetti retrocessi nel tempo, arcaici, retrospettivi >>[3]. Alla fine delle riprese nello Yemen, una domenica mattina gira con la pellicola che gli rimane il famoso documentario Le mura di Sanàa [4], che salverà la città dalla distruzione.

<< Alì dagli occhi azzurri / uno dei tanti figli dei figli / scenderà da Algeri, su navi / a vela e a remi. Saranno / con lui migliaia / di uomini / coi corpicini e gli occhi / di poveri cani dei padri / sulle barche varate nei Regni della Fame /…Essi…distruggeranno Roma / e sulle sue rovine / deporranno il germe / della Storia Antica >>[5]. Questi versi di Pasolini risalgono agli anni 1962-64 e già enucleano la crescente insofferenza del poeta per una Roma sempre più abbruttita ed insopportabile, sempre più oltraggiata dalla speculazione edilizia dilagante e dalla volgarità.

Ciò che Pasolini rimpiange è “l’illimitato mondo contadino pre-nazionale e preindustriale”. Per tale motivo egli preferisce dimorare il più a lungo possibile nei paesi del Terzo Mondo[6]. Alla fine degli Anni Settanta davanti agli occhi di Pasolini giganteggia l’ossessiva irrealtà della sottocultura dei mass media. Allontanata l’illusione che “il selvaggio possa rinsanguare la storia”, si sta concludendo drammaticamente il processo di omologazione.

Per mezzo del sistema televisivo, il “Centro” – come lo chiamava Pasolini – assimila progressivamente a sé l’intero paese, imponendo i suoi modelli, che sono poi i modelli dell’industrializzazione e dell’omologazione di massa, che non si accontentano più solo di un “uomo che consuma” ma pretendono che non siano più concepibili altre ideologie che quella del consumo.

Scriverà Pasolini nel 1974: <<…ho detto, e lo ripeto, che l’acculturazione del Centro consumistico ha distrutto le varie culture del Terzo Mondo (parlo ancora su scala mondiale, e mi riferisco dunque appunto anche alle culture del Terzo Mondo, cui le culture contadine italiane sono profondamente analoghe): il modello culturale offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, del resto) è unico. La conformazione a tale modello si ha prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale: e quindi nel corpo e nel comportamento >>[7].

La Trilogia della vita viene pertanto concepita da Pasolini per dare contenuto poetico alla realtà fisica del mondo antico e popolare. Per sottrarsi al mutamento antropologico Pasolini si rifugia nella “arcaicità”, nell’innocenza ossessivamente vitale dei corpi e dei loro organi sessuali.

Il Fiore delle Mille e Una Notte, l’ultimo e forse più riuscito film della Trilogia della vita, riceverà il Gran Premio Speciale al Festival di Cannes del 1974. Ma Pasolini è inquieto, turbato. Nel giugno del 1975 scriverà l’abiura della Trilogia, pur non smentendo la sincerità e la necessità che lo avevano spinto a rappresentarla. Perché?

Se sul finire degli Anni Sessanta l’ultimo baluardo della realtà parevano gli “innocenti corpi con l’arcaica, fosca, vitale violenza dei loro organi sessuali”, davanti al trionfo della sottocultura dei mass media Pasolini è costretto ad abdicare, a riconoscere il travisamento dei propri film.

La sua rappresentazione filmica dell’eros è infatti ormai sistematicamente violata, manipolata e manomessa dai poteri consumistici, trasformata in pornografia, e pertanto non può più interessare Pasolini, che, con un gesto altamente simbolico, abiura i film della sua Trilogia, adattandosi mestamente alla degradazione ed “accettando l’inaccettabile”.

Nel Fiore delle Mille e Una Notte Pasolini ha in breve cercato di dare corpi e luoghi alle proprie perdute utopie. Alle icone delle lontananze di queste immagini lascia le sue carte d’esilio, e intraprende i suoi viaggi di pellicola e di carta. Lo stesso anno di realizzazione del film, comporrà questi versi in friulano:

<<…I plans un mond muàrt ./ Ma i no soj muàrt jo ch’i lu plans. / Si vulìn zì avant bisugna ch’i planzìni / il timp ch’a no ‘l pòs pì tornà, ch’ì dizìni di no / a chista realtàt ch’a ni à sieràt / ta la so preson…>>[9].

Il documentario Le mura di Sanàa, come si è detto, venne girato alla fine delle riprese del film nello Yemen e rappresenta un vero e proprio capolavoro. Ciò che spinge Pasolini a girarlo, invocando l’appello dell’UNESCO, è la stessa scandalosa verità che lo porterà all’abiura della Trilogia, la consapevolezza che la distruzione del mondo antico è in atto dappertutto, nello Yemen come in Italia.

Rispondendo ad un’intervista -rara e preziosa per quegli anni- di Giulia Massari, Pasolini afferma che <<…lo Yemen è il paese più bello del mondo. Sanàa, la capitale, è una Venezia selvaggia nella polvere, senza San Marco e senza la Giudecca: una città-forma, una città la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell’incomparabile disegno. È uno dei miei sogni, occuparmi di salvare Sanàa ed altre città, i loro centri storici: per questo sogno mi batterò, cercherò che intervenga l’UNESCO >>.

L’apolide Pasolini, nella parte centrale del suo documentario su Sanàa, fissa così la scena sul paesaggio di Orte, città della Teverina che in quegli anni era anch’essa minacciata dalla deturpazione edilizia. Nella mente di Pasolini Sanàa e Orte rappresentano pertanto un ideale di bellezza << povera, genuina, assoluta, ai limiti del deserto e dell’arsione vulcanica >>[10].

Come in un incubo Pasolini vede l’Italia distruggersi e, guardandosi intorno, opera perché nello Yemen ciò non si ripeta. << Per l’Italia è finita, ma lo Yemen può essere ancora salvato…Ci rivolgiamo all’UNESCO in nome della vera, seppur ancora inespressa, volontà del popolo yemenita; in nome degli uomini semplici, che la povertà ha mantenuto puri; in nome della grazia dei secoli oscuri; in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del Passato >>.

Con questo accorato appello Pasolini suggella il suo prezioso documentario su Sanàa. Un breve filmato (circa 13 minuti) ha compiuto il miracolo, ha salvato la città ed avviato il processo della sua tutela e salvaguardia.

Dietro le vetrate a mosaico multicolore del funduk Samsarah Yabya Bin Quasim, una piccola locanda di Sanàa, Pasolini medita in cuor suo di inventarsi una nuova vita, lontano dai clamori e dalle banalità di Cinecittà e dalle sterili polemiche letterarie. Sulle scene del film Il Fiore delle Mille e Una Notte la sua troupe percorre l’antico mondo orientale trasformandosi in un accampamento di beduini.

Il vertice del sogno di Pasolini sarà acquistare un grande natante in vendita in un porto del Golfo Persico. Anche il film Il Fiore delle Mille e Una Notte altro non è che il concretizzarsi di un mondo del tutto immaginario e originale, estraneo tanto alla storia quanto alla stessa letteratura, una finzione che consente a Pasolini di fuggire da una realtà volgare e inaccettabile.

Così il presente yemenita viene mediato da Pasolini, arricchito dalle sue visioni fantastiche. Ma c’è anche qualcosa di più: lo Yemen lo riporta all’innocenza del suo periodo friulano, agli anni delle pietrose rive del Tagliamento dove ritrovare le radici incantate dei suoi sogni e delle sue speranze, prima che egli stesso venga divorato dalle disillusioni romane e dalla crisi ideologica.

Rendendosi partecipe della storia yemenita, Pasolini se ne distacca rifugiandosi nelle proprie visioni poetiche, e per vivere una vita poetica sublimata, l’unica vita possibile e autentica, lontano dalla bruttezza e dalla banalità di quello stesso male che lo annienterò da lì a poco. Ecco, dunque, i suoi viaggi d’inchiostro e di pellicola verso la bellezza dell’arte, di un’arte appassionata e gratuita, verso il topos che rappresenta l’immagine di uno mondo scomparso, lo stesso mondo antico e nobile dell’umile Italia e del suo amato Friuli.


[1] “Corriere della Sera”, 7 gennaio 1973

[2] Cfr. lettera della primavera del 1973 indirizzata a Graziella Chiarcossi e alla madre Susanna, in P.P. Pasolini, “Lettere (1955-1975)”, a cura di Nico Naldini, Einaudi Torino 1988, pag.735

[3] Ibidem, Cronologia, pag. CXLVIII

[4] P.P. Pasolini, “Le mura di Sanàa”, documentario in forma di appello all’UNESCO, fotografia di Tonino Delli Colli, Rosima

[5] Si tratta della poesia “Profezia” raccolta in “Alì dagli occhi azzurri”

[6] P.P. Pasolini, “Scritti corsari”, Garzanti Milano 197, pag.66

[7] Ibidem

[8] G.Moneti, “Per una lettura del Fiore delle Mille e Una Notte di Pasolini”, Università di Siena, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Volume X-1989, pag.106

[9] “Piango un mondo morto. / Ma non sono morto io che lo piango./ Se vogliamo andare avanti bisogna che piangiamo / il tempo che non può più tornare, che diciamo di no / a questa realtà che ci ha chiusi / nella sua prigione”. In P.P. Pasolini, “La nuova gioventù”, Einaudi Torino 1975, pag.237

[10] G. Contini, ” Testimonianza per Pier Paolo Pasolini”, in “Il Ponte”, n.4, 30 aprile 1980. Sull’intervista e sulla “forma della città” concepita da Pasolini si veda il bel saggio di Francesco Augelli pubblicato sulla rivista “POLIS- Idee nella città”, n.5-1996, pp.4-8, che riporta integralmente il testo dell’intervista

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore