I “Quarti Mondi” di Latouche e le minoranze etniche del Vietnam del Nord

Serge Latouche, nel suo Il pianeta dei naufraghi, nell’annunciare la fine del Terzo Mondo e dei suoi rituali magici (tra cui la rivoluzione planetaria terzomondista che avrebbe dovuto salvarci e che invece si è squagliata come neve al sole), ha evidenziato il contestuale accrescimento della miopia e della cattiva coscienza dell’Occidente nei confronti degli esclusi. Sempre Latouche individua tre generi di Quarti Mondi nati dalla disintegrazione del Terzo Mondo. Il primo gruppo sarebbe costituito dai “nuovi poveri” dell’Europa e dell’Occidente modernizzato, gli emarginati e i disadattati stressati dalla miseria materiale e morale, una miseria “modernizzata” che a sua volta genera i fenomeni della droga, della criminalità, dell’insicurezza e della mancanza di solidarietà e di coesione sociale.

Il terzo gruppo, forse il più numeroso, riguarda i Paesi Meno Avanzati (PMA) soggetti alla derelizione economica, schiacciati dal debito pubblico e dalle politiche del FMI. Il secondo gruppo riguarda invece proprio le minoranze etniche e le popolazioni autoctone, che rappresentano culture minoritarie, spesso sparpagliate in più Stati e che vivono a cavallo dei confini internazionali, composte di “elementi irriducibili alla modernità”. Sono gli ultimi “indiani” (spesso apolidi, cioè privi di cittadinanza) che rifiutano di soccombere e rivendicano strenuamente il loro diritto a vivere secondo le antiche tradizioni e nelle terre dei loro avi. Spesso afflitti da povertà, cioè dalla mancanza di beni materiali, mantengono una loro cultura e identità e sono tutt’altro che miseri. In ogni caso la modernità è passata anche dalle loro parti, e questi indigeni devono convivere con essa: hanno imparato a vestirsi all’occidentale, vedono la televisione, usano i telefonini e guidano mezzi meccanici.

Questi irriducibili “indiani” hanno una straordinaria capacità di usare la nuova tecnologia ma continuano a persistere, e sempre in modo straordinario, nel rifiutare di essere assimilati integralmente dalla “grande società” dei consumi e dalla modernità, di piegarsi al totalitarismo imposto dal sistema economico globale. Vivono ancora in piccoli villaggi arroccati sulle montagne, in luoghi disagevoli, isolati, o comunque a diretto contatto col wild, e in ragione di ciò vengono considerati “selvaggi”. A questi ultimi “indiani” viene contestato di non volere dominare la natura e di non volerne sfruttare appieno le ricchezze.

Spesso vivono situazioni di esilio interno nei loro territori ancestrali, senza poter esercitare i diritti di cittadinanza, mentre le loro terre subiscono la sistematica aggressione economica del capitale locale e internazionale. Altro grande peccato che viene loro contestato è quello di non essere ossessionati dal successo: i loro mercati locali infatti non sono solo un luogo di vendita e monetizzazione di beni da loro prodotti ma anche (e soprattutto) un momento importante della vita delle loro comunità. Assaporano inoltre il dono del tempo trascorrendo le loro giornate a contatto con le bellezze della terra e del cielo, pur lavorando duramente e dovendo ogni giorno affrontare la lotta per la sopravvivenza.

Tutti i governi centrali in ogni parte del globo vedono con sospetto questi “indiani”, che spesso vivono insediati in aree altamente strategiche dal punto di vista geo-politico a cavallo dei confini internazionali, e che hanno fatto e fanno di tutto per omologarli e controllarli. Nei confronti del Montagnard in fondo le autorità vietnamite mostrano lo stesso atteggiamento del governo centrale cinese nei confronti della minoranze tibetane e uigure dello Xinjang. La stessa storia antica delle minoranze etniche del Vietnam del Nord è figlia del tentativo della Cina imperiale di controllarle e irreggimentarle, e che ha portato questi popoli alla fuga verso il Sud.

A nord ovest del Vietnam, in prossimità della frontiera con la Cina, sorge arroccata sul fianco di una montagna ad un’altitudine di 1.600 metri la pittoresca cittadina di Sapa. Questa cittadina nasce come antica stazione climatica sviluppata dal colonialismo francese all’ inizio del XX secolo per consentire ai membri dell’élite coloniale di sfuggire al soffocante caldo estivo di Hanoi, godendo di quiete e frescura tra suggestivi paesaggi caratterizzati da campi di riso a “terrazza”, nonché da verdi foreste e montagne. Con una popolazione di meno di diecimila abitanti Sapa sta vivendo oggi un caotico e disordinato boom turistico che ha visto negli ultimi anni il sorgere di numerosi alberghi, ristoranti e locali per il divertimento notturno. L’esplosione del turismo cinese sta stravolgendo questi luoghi.

L’economia della zona ne ha tratto sicuramente beneficio ma al tempo stesso non si può negare una certa contaminazione dell’anima e dello spirito dei luoghi, che ha portato a un cambiamento delle secolari tradizioni e degli stili di vita di queste straordinarie minoranze etniche. Una grossa fetta della torta del business turistico rimane tuttavia appannaggio di ricchi imprenditori vietnamiti, cinesi o occidentali che investono nelle enormi potenzialità di una regione dal grande fascino, lasciando alle popolazioni locali le briciole dell’indotto.

Oggi le donne Hmong nei loro tradizionali abiti e copricapo neri, adornate con splendidi gioielli d’argento, accompagnano in veste di guide i turisti nei trekking alla scoperta delle loro terre. Durante queste piacevoli escursioni tra i paesaggi mozzafiato il turista oggi può tranquillamente incontrare anche le donne di etnia Dao (Dzao), riconoscibili dai grandi copricapo rossi e per le sopracciglia rasate in segno di bellezza, che vendono ai visitatori piccoli oggetti di artigianato locale, gioielli, braccialetti o tessuti tradizionali. Al centro della vita quotidiana di queste minoranze etniche restano i mercati, che non rappresentano solo luoghi di affari ma anche importanti occasioni di incontro, scambi di notizie, conoscenza e divertimento: e soprattutto momenti in cui le comunità rinsaldano i loro legami e rinnovano le tradizioni.

Rivedo ancora in sogno questi mercati pullulanti di suoni, odori, colori e sapori, in cui donne con grandi gerle cariche dei prodotti della terra e di tessuti si muovono leggiadre tra le bancarelle e la fanghiglia insidiosa, nei loro variopinti abiti tradizionali. Quando sorridono mostrano la dentatura annerita dal betel. Testimoniano con la loro fisicità e i loro variopinti abiti tutta la bellezza e la diversità di un mondo che ad ogni istante rischiano di perdersi irreparabilmente davanti all’avanzare dell’omologazione consumistica.

Ripenso ai miei giorni nei villaggi di queste minoranze, a contatto con la natura e l’umanità di questa gente meravigliosa, che anche nelle condizioni più difficili mantiene in modo straordinario la propria dignità e la propria disponibilità verso il prossimo. E sono felice di questi giorni, e per la consapevolezza che mi hanno dato.

Per chi volesse approfondire il tema delle minoranze etniche del Vietnam del Nord consiglio la lettura del mio volume intitolato “Vietnam del Nord: minoranze etniche e doposviluppo”, Besa editrice, 2018

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore