I primi fotografi italiani in Africa

Negli ultimi anni in Italia si è assistito al crescente tentativo di recuperare la fotografia storica coloniale come importante fonte della memoria visiva, per troppo tempo trascurata dalla storiografia africanista. Le opere del primo periodo liberale sono generalmente orientate alla tematica della valorizzazione del territorio, in quanto espressione della vocazione espansionista legittimata dagli stessi ideali risorgimentali e dalla funzione civilizzatrice. In questo scenario c’è solo spazio per il protagonismo europeo, mentre gli indigeni restano solo delle comparse fissate in atteggiamenti stereotipati. Anche la letteratura consiste in due grandi generi: la letteratura di viaggio e la manualistica positivista, di cui la maggiore divulgatrice fu la casa editrice Hoepli e che porterà anche alla creazione delle Istruzioni per lo studio della Colonia Eritrea (1907), una sorta di guida posta in essere dalla Società di Studi Geografici e Coloniali e dalla Società di Antropologia, Etnologia e Psicologia comparata in Firenze.

Non bisogna inoltre dimenticare la grande importanza che ebbe una rivista milanese fondata nel 1877 da Manfredo Camperio, L’Esploratore, che arruolò tra le sue fila grandi esploratori e che, a differenza dell’accademico Bollettino della Società Geografica Italiana, era ricca di immagini, disegni e carte geografiche. Camperio fu tra i primi pionieri a rendersi conto dell’importanza della cultura fotografica, e raccolse importanti fotografie nel corso delle sue esplorazioni africane e che attualmente compongono il prezioso patrimonio del Fondo Camperio, la cui titolarità appartiene oggi al Comune di Villasanta (Mb). Ma lo sviluppo in Italia di una cultura fotografica, e in particolare di una fotografia di argomento coloniale, fu alquanto tardo.

La lettura di una fotografia in genere, e specie di una fotografia storica, è un fatto complesso che richiede una certa sensibilità culturale. La fotografia coloniale, specialmente quella di Luigi Naretti, ci permette di penetrare più di mille parole nel più ampio contesto della produzione e della circolazione della conoscenza sull’Africa del primo periodo coloniale, percependone i suoi limiti e i suoi cliché. Luigi Naretti rappresenta infatti una figura straordinaria di fotografo – colono italiano, e a lui dobbiamo le prime immagini fotografiche di Massaua dopo l’occupazione del 1885.

Nato nel 1859, si stabilì a Massaua, aprendo uno studio fotografico a Taulud “vicino al mare”. Luigi Naretti era il cugino di Giacomo Naretti, uno dei pionieri del proto-colonialismo italiano in Abissinia, che giunse in Etiopia nel 1870. Carpentiere di umili origini, Giacomo Naretti arrivò alla corte dell’imperatore Giovanni insieme ad altri artigiani e lì rimase, stabilendosi inizialmente a Debra Tabor e diventando uomo di fiducia del monarca abissino, che lo investì di funzioni importanti nell’ambito della sua corte. Fu lui che inviò alcuni prodotti etiopici alla Società Geografica Italiana, tramite il console del Cairo, per essere esaminati in vista della “grande spedizione” capitanata da Antinori (1876). Prima dell’occupazione di Massaua, Giacomo Naretti visse così a lungo in Abissinia (1871-86) da diventare necessariamente un punto di riferimento per tutti gli esploratori, che si rivolgevano a lui per avere consigli.

Luigi Naretti, dopo la morte del cugino Giacomo (9 maggio 1899), ne sposò la vedova e si trasferì ad Asmara, divenuta nel frattempo la nuova capitale della Colonia Eritrea, dove visse fino alla morte (18 febbraio 1922). Alla sua scomparsa il governo coloniale cercò di acquistare dalla vedova le sue lastre fotografiche (circa 500), che tuttavia vennero vendute alla ditta Baratti di Asmara. Una valutazione effettuata da un perito del Tribunale di Asmara stimava in lire 3.400 dell’epoca il valore della collezione fotografica. Luigi Naretti si specializzò in “ritratti, gruppi, costumi e vedute”, che gli varranno la medaglia d’oro all’Esposizione italiana di Torino del 1898, riconoscimento pubblico che ufficializzerà la sua notorietà.

Rispetto alla scarsa produzione fotografica precedente, Naretti mostra un’Africa non più ostile o bellicosa. Poche saranno le sue foto di militari o di ribelli. Le sue immagini dei villaggi eritrei e dei paesaggi sono metafisiche, irreali, fatte di vuoti e di assenze. E soprattutto egli mette a fuoco la città di Massaua, una cittadina costiera che ormai raggiungeva i 16mila abitanti, ritraendo le vie commerciali, i sambuchi in rada, il brulicare delle persone davanti alla fontana pubblica, e l’animazione della piazza dello Statuto nel giorno della fine del Ramadan.

Sappiamo quanto fosse critica la situazione a Massaua alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento. Sull’isola di Massaua ci potevano abitare solo i privilegiati, cioè gli europei, gli indiani, i principali negozianti e commercianti di tutte le razze e i benestanti in genere, mentre i poveri stavano sull’isola di Taulud nelle loro catapecchie di paglia. Ma come la memorialistica dell’epoca rifiutò e rimosse tale cruda realtà, così anche le fotografie di Luigi Naretti risultano viziate e condizionate, più o meno consapevolmente, dalle convenzioni iconografiche della tradizione fotografica dell’epoca, che mescolava realtà e finzione.

Trasformati in icone, attraverso l’isolamento dal loro contesto, e fotografati davanti a fondali irreali raffiguranti palme africane, le persone sono rappresentate in modo ben diverso da quello che sono realmente. Le donne, in particolare, sono solo quelle agiate tra balaustre, vasellami e treppiedi, in un apparato scenico lontanissimo dal contesto africano della Colonia Eritrea. Come ha scritto Silvana Palma, “[…] l’Eritrea fotografata [da Luigi Naretti] risulta così, molto spesso, un’Eritrea appiattita in una visione stereotipata e spesso mistificatoria […]. Così quando le fotografie di Naretti ritraggono dei pescatori di perle o dei raccoglitori di palma dum, non mostrano il sistema di pesca né quello di raccolta, ma forniscono una rappresentazione stilisticamente suggestiva, sostanzialmente olografica e atemporale”.

Oltre a Luigi Naretti, i primi fotografi italiani professionisti che fotografarono la colonia furono Luigi Fiorillo, Mauro Ledru, i fratelli Francesco e Giovanni Nicotra, il tenente Roberto Gentile (che iniziò a operare nel 1890 e si dedicò a ritrarre la popolazione indigena) e il capitano Errardo di Aichelburg. La documentazione disponibile è alquanto scarna e i loro profili sono difficilmente ricostruibili. Agirono nel disinteresse totale dell’amministrazione coloniale, e le loro fotografie furono indubbiamente uno straordinario strumento di rappresentazione dell’immaginario coloniale. Gran parte di esse furono scattate nel 1885, anno dello sbarco italiano a Massaua. Il giorno dello sbarco l’esercito italiano non disponeva ancora di una propria sezione fotografica, e bisognerà attendere il 1° aprile 1896 per vedere costituita la Sezione Fotografica presso la Brigata Specialisti del III Reggimento del Genio. Non erano riproduzioni della realtà bensì delle creazioni inventate dell’Africa, immagini stereotipate ad uso e consumo del nuovo mercato dell’immagine; i consumatori, poi, erano quegli stessi soldati italiani vogliosi di portare con sé i ricordi della loro esperienza africana.

Come per Luigi Naretti, ampio fu l’utilizzo di finti fondali esotici che facevano da sfondo a soggetti umani ripresi in pose innaturali o orchestrate. Gli arnesi fotografici erano ingombranti e pesanti, un costante intralcio e una minaccia al pari degli inviati della stampa, in quanto erano sempre nelle condizioni di cogliere fatti o mancanze della gestione militare che non si volevano rendere pubblici. Spesso questi fotografi riuscivano addirittura ad ottenere i necessari permessi per seguire le truppe italiane durante le operazioni militari: a Mauro Ledru fu concesso addirittura di accompagnare le truppe del generale Dabormida durante la battaglia di Adua (1896), ma purtroppo la sua strumentazione e le sue riprese andarono distrutte durante la rovinosa ritirata delle truppe italiane. Il momento in cui Ledru vide il suo apparecchio distrutto durante una carica della cavalleria Galla fu riprodotto da Achille Beltrame in una nota tavola.

Il governatore Gandolfì gradì in modo particolare questa nuova arte figurativa e raccolse numerosi scatti durante i suoi due anni in colonia, che ritraggono i battaglioni a riposo, i paesaggi e la popolazione. Alla fine, a questi sparuti fotografi professionisti finirono con l’affiancarsi anche militari dilettanti, ingaggiati dai periodici italiani per la fornitura di immagini da affiancare agli articoli degli inviati della stampa, e anche durante il governatorato di Martini, la fotografia divenne un utile strumento di promozione coloniale, e nell’ambito del Congresso coloniale di Asmara del 1905 avvenne il primo concorso fotografico eritreo. Erano molto richieste soprattutto le foto delle donne eritree, e le didascalie che ne accompagnavano la commercializzazione spesso parlavano delle usanze “barbare” degli indigeni. Tra le diverse consuetudini matrimoniali in uso a quell’epoca c’era il berechi, mentre era molto diffusa anche la pratica del madamato, che fu osteggiata da Martini in quanto considerata poco onorevole.

Anche i capi locali furono fotografati e ridotti in cartolina, e questo produsse l’illusione che fossero sotto controllo dopo i tremendi shock della rivolta di Batha Agos e la sconfitta di Adua. L’Agenzia delle Tribù redasse le biografie dei capi indigeni e il citato capitano Errardo di Aichelburg completò questa tassonomia coloniale fornendo le foto dei più prestigiosi notabili di Massaua: queste cartoline furono pubblicate da Danesi di Roma

Per approfondimenti sul tema si consiglia la lettura di Alessandro Pellegatta, Il Mar Rosso e Massaua, Historica editore, 2019.

Nell’immagine: Soldati Afar del sultano Rahayta, fotografia di Luigi Naretti apparsa su “L’Illustrazione italiana”, novembre 1898

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore