I fratelli Castiglioni: una vita per l’esplorazione

I fratelli gemelli Alfredo e Angelo Castiglioni, nati nel 1937 a Milano ma varesini di adozione, ci riportano al fascino dei primordi del romanticismo esplorativo ottocentesco proprio per quella loro particolare attitudine a superare schemi e barriere, spingendosi oltre il limen senza mai preoccuparsi troppo delle convenzioni e delle regole accademiche. I fratelli Castiglioni seppero battere le piste degli esploratori italiani dei primordi, quali Giovanni Miani, Carlo Piaggia e Romolo Gessi, descrivendo territori e popoli oggi in parte scomparsi. Alfredo purtroppo ci ha lasciato, ma Angelo continua nella sua opera, dirigendo il CeRDO (Centro di Ricerche sul Deserto Orientale), il Museo Castiglioni di Varese (insieme al figlio Marco) e le attività archeologiche ad Adulis, la Pompei eritrea. La loro esperienza poliedrica copre 60 anni di avventure in ogni parte del mondo, ma ha registrato risultati straordinari in Equatoria, Sudan, Nubia ed Eritrea, e che hanno portato alla riscoperta (1989) della mitica Berenice Pancrisia e all’avvio della ricerca archeologica nella citata Adulis.

Laureati in economia e commercio, i fratelli Castiglioni nell’agosto del 1957 raggiunsero con due Vespe il Marocco, il Sahara spagnolo e la Mauritania, attratti irresistibilmente dal fascino del Continente nero. L’anno successivo si imbarcarono sul mercantile General Mangin diretto verso l’Africa occidentale, e il primo scalo fu per loro il porto di Algeri, e lì conobbero(loro malgrado!) momenti della lotta di liberazione algerina: forzando, con l’incoscienza giovanile, il blocco dei militari francesi entrarono nella Casbah, dove si erano asserragliati gli esponenti della lotta per la liberazione dell’Algeria dal giogo coloniale francese. Raggiunto il Camerun, da lì si spinsero con mezzi di fortuna verso il Chad. Proprio da queste prime esperienze esplorative maturarono il bisogno di documentare un mondo che stava progressivamente e inesorabilmente scomparendo. Inconsciamente anticiparono l’invito che in seguito Senghor, il grande poeta e presidente senegalese, rivolse al mondo. Nacquero così i primi film e i documentari realizzati su pellicola 16 mm, 7291, della Kodak. Un’Africa ancora sconosciuta rivelava i suoi enigmi attraverso le loro immagini e i loro libri, scritti in collaborazione con Giovanna Salvioni, docente all’Istituto di Etnologia e di Antropologia all’Università Cattolica di Milano.

Dopo questi primi viaggi pionieristici, i fratelli Castiglioni estesero le loro missioni etnologiche a molti altri stati dell’Africa occidentale, equatoriale e orientale, effettuando spedizioni con tutti i mezzi di trasporto disponibili al fine di raggiungere le etnie più isolate e lontane dalla cosiddetta “civiltà” e che, propria a causa di questa loro lontananza, avevano miracolosamente conservato la propria cultura ed identità. Davanti ai rapidi mutamenti economico-sociali africani, furono così tra gli ultimi testimoni della decadenza di un mondo arcaico. Sempre alla ricerca del mondo africano delle origini, affrontarono negli anni tra il 1960 e il 1965 alcune difficili missioni lungo l’Alto Nilo Bianco, e in particolare la regione di Equatoria e il Sudan meridionale. Vollero intenzionalmente ripercorrere gli itinerari battuti nell’Ottocento da Carlo Piaggia tra le tribù antropofaghe dei Niam- Niam, da Romolo Gessi lungo il Bahr el-Ghazal, il mitico Fiume delle Gazzelle, da Gaetano Casati in Equatoria e da Giovanni Miani (chiamato il Leone bianco dagli indigeni, per via della sua lunga barba canuta). Con loro profonda meraviglia si accorsero che tra le popolazioni nilotiche dei Dinka, Mundari, Nuer, Shilluk non era cambiato molto rispetto alle descrizioni degli esploratori italiani dell’Ottocento.

Nel 1963 i fratelli Castiglioni risalirono con un battello fatiscente il corso dell’alto Nilo Bianco, soggiornando per tre mesi presso i Mundari, un’etnia isolata tra gli immensi acquitrini del Sudd alla confluenza del citato Bahr el-Ghazal; questo popolo, per difendersi dalle zanzare,utilizzava gli stessi mezzi descritti da Miani e da Gessi, bagnandosi con l’orina dei bovidi e usando la cenere dello sterco bruciato dei loro animali. I Castiglioni documentarono scene di caccia senza tempo, e in particolare quella alle giraffe, documentando tecniche che circa vent’anni dopo ritroveranno nei graffiti delle pareti dell’Uadi Mathendush nel deserto libico.

Lo spirito che animava i fratelli Castiglioni non era tuttavia quello di fondare stazioni commerciali, bensì essi erano spinti da quella stessa curiosità e attenzione che aveva portato il Piaggia a testimoniare la positività di questi uomini primitivi, in netta controtendenza rispetto alle teorie razzistiche e civilizzatrici che avrebbero costituito l’alibi per lo scramble for Africa e la colonizzazione politica del Continente nero. Questo atteggiamento di profonda conoscenza e rispetto per la diversità africana, negli anni Sessanta divenne peraltro anche il leit motiv di Pier Paolo Pasolini, che nel 1962 avvertiva nel progresso occidentale la distruzione del patrimonio ancestrale dell’umanità. “[…] Noi ci troviamo – scriveva Pasolini nel 1962 – alle origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca della storia dell’uomo: l’epoca della alienazione industriale”. Così come in Pasolini, anche nei fratelli Castiglioni nasce così e si sviluppa la consapevolezza della ineludibile distruzione del vecchio mondo africano davanti all’inarrestabile avanzata di un neocapitalismo sempre più feroce e aggressivo, nonché di un neocolonialismo economico e culturale che, sostituendosi al vecchio colonialismo politico dell’Ottocento, avrebbe presto riportato i giovani stati indipendenti africani sotto il giogo delle multinazionali occidentali.

Così come in Pasolini, l’Africa per i fratelli Castiglioni non rappresenta il simbolo di una radicale alterità, cui contrapporre le istanze civilizzatrici dell’Occidente, bensì un elemento essenziale della storia umana che, resistendo ai vortici della cultura consumistica, può ancora custodire valori ineliminabili e la cui conservazione appare indispensabile per cercare di ri-orientare lo sviluppo epocale della presenza umana sulla terra. Nascono così, lungo questi itinerari esplorativi ispirati dalla curiosità e dell’attrazione, quei sentimenti di appartenenza comune ai destini umani che trasformeranno l’esperienza dei fratelli Castiglioni nell’allegoria di un profondo impegno civile e umanitario. Quello stesso impegno che spinse Casati a condurre con sé in Italia sei africani e la figlia adottiva Amina, che portarono Piaggia a descrivere i Niam-Niam per quello che erano realmente e che indussero Robecchi Bricchetti a collaborare con la Società Antischiavista italiana per contrastare l’indegno traffico di uomini attivo nel Corno d’Africa. Per questo la parabola dei fratelli Castiglioni ci riporta allo stesso umanesimo degli esploratori italiani dell’Ottocento, cui resta legata indissolubilmente.

L’augurio comune è che l’avventura esistenziale ed esplorativa dei fratelli Castiglioni, così come quella di tutti i loro predecessori lombardi, sia di buon auspicio per una generale resilienza culturale e scientifica della Lombardia e dell’Italia intera. Anche nell’impresa di Adulis ritroviamo, così come nei primordi dell’avventura di Osculati in Ecuador, l’homo faber lombardo, la mitica concretezza dei nostri esploratori ottocenteschi, la straordinaria capacità di adattamento e flessibilità che spinge oltre al puro edonismo, all’etichetta e alla vita comoda per inseguire un sogno di libertà e conoscenza, affrontando con dignità e coraggio le difficoltà e le sfide dell’esistenza. “Meglio la tenda del beduino, meglio il dorso del cammello, meglio la continua lotta e la sublime incertezza dell’indomani. In Africa, in Africa! Io voglio morire libero come la sua natura!”, scrisse del resto il capostipite degli esploratori italiani, quell’Orazio Antinori che condusse la “grande spedizione” africana del 1876 e che riposa sotto un maestoso albero di sicomoro presso la stazione etiopica di Let Marefià.

Prima o poi, proprio qui a Varese nel Museo Castiglioni, riusciremo a ricreare quella casa degli esploratori oggi per lo più dimenticati. In quella casa, parafrasando le parole di Giuseppe Tucci, che all’Oriente dedicò la sua esistenza, colmeremo le distanze tra le nostre fantasie e i mondi dell’altrove con ponti di poesia e di cultura, di rispetto per la diversità, con i sospiri di chi pensa ad una casa comune al genere umano, che resta sempre in fondo al cuore, presente e allo stesso tempo irraggiungibile.

Nella foto: i fratelli Castiglioni a Berenice Pancrisia, da loro scoperta nel deserto della Nubia nel 1989.

(Alessandro Pellegatta ha in corso di pubblicazione un nuovo volume intitolato “Esploratori lombardi”, il cui ricavato sarà devoluto al Museo Castiglioni di Varese, attualmente ospitato nelle sale della prestigiosa Villa Toeplitz)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore