I didn’t do it for you. Il caso Eritrea

Sappiamo tutti bene come spesso le Organizzazioni internazionali e i singoli Stati hanno abusato e abusino tuttora dei piccoli Stati africani. Dal Congresso di Berlino (1884) in poi partì lo “scramble for Africa”. L’Italia nel 1885 – complice la rivolta mahdista in Sudan – sbarcò a Massaua con l’appoggio dei Britannici e cercò nel Mar Rosso “le chiavi del Mediterraneo”.

L’Eritrea, l’ultimo dei paesi africani a raggiungere l’indipendenza dopo un doloroso e sanguinoso percorso avviato alla fine del colonialismo italiano, è un esempio di questi abusi storici. Ce ne parla Michela Wrong nel suo volume intitolato “I didn’t do it for you”, che è stato tradotto in italiano nel 2017, e che costituisce un importante contributo alla comprensione dei conflitti post-coloniali in Africa.

Italia ed Eritrea sono rimaste legate alla storia in un “connubio” coloniale durato dal 1885 al 1941, anno della caduta dell’AOI dopo la tragica disfatta di Cheren. Ma anche terminata la seconda guerra mondiale, l’Eritrea per decenni non ha mai avuto pace. Le grandi potenze mondiali non trovarono un accordo sulla sua collocazione geopolitica e le negarono comunque l’indipendenza.

Prevalsero gli antichi disegni dell’Etiopia, che fin dal trattato di Hewett (1884) siglato coi Britannici rivendicava il suo diritto di accesso al mare tramite il porto di Massaua. In modo alquanto sbrigativo, i Britannici (attraverso il patto segreto Bevin-Sforza) dopo la fine della seconda guerra mondiale cercarono di effettuare una spartizione dell’Eritrea, appoggiata dagli Italiani che erano interessati, come contropartita, a ricevere in amministrazione fiduciaria dalle Nazioni Unite la Somalia (cosa che avvenne fino al 1960). Il patto non venne approvato e comunque, sempre sotto “l’egida” delle Nazioni Unite, l’Eritrea venne prima “federata” all’Etiopia e poi annessa. Il 2 dicembre 1950 l’Assemblea generale dell’ONU, adottando il piano per la federazione dell’Eritrea all’Etiopia, di fatto assecondò il disegno politico del Negus, risolvendo il problema dello sbocco al mare per l’Etiopia imperiale. L’ambasciatore italiano Alberto Tarchiani segnalò che il governo italiano si opponeva con forza all’annessione dell’Eritrea da parte dell’Etiopia, ma aggiunse che probabilmente l’indipendenza non avrebbe rappresentato il miglior sistema di protezione per gli Italiani residenti in Eritrea.

Nella stessa sezione la citata Assemblea dell’ONU formalizzò in capo all’Italia l’amministrazione fiduciaria del territorio somalo (AFIS), con cui l’Italia si assicurava una presenza coloniale nel Corno d’Africa dopo la fine dell’impero coloniale e in piena epoca repubblicana. Un’amministrazione che si rivelò comunque incapace di elaborare soluzioni politiche e istituzionali durevoli per il futuro Stato somalo che, presto, si sarebbe disintegrato con la guerra civile.

Subito dopo la federazione dell’Eritrea all’Etiopia gli “sciftà” cominciarono a terrorizzare la popolazione civile eritrea (molte furono anche le vittime italiane) mentre Hailé Selassié non aveva alcuna intenzione di rispettare il modello federativo previsto dall’ONU: la nascente autonomia federale eritrea era infatti più fittizia che reale, e con la stessa ambizione colonialista delle truppe italiane gli Etiopi attraversarono il Mareb per sciogliere la federazione eritrea il 14 novembre 1962. Circa ventisette anni prima, e precisamente il 3 ottobre 1935, il generale Emilio De Bono aveva varcato tale fiume avviando la guerra italo – etiopica.

L’annessione dell’Eritrea all’Etiopia avvenne in palese violazione della citata risoluzione, senza che l’ONU dicesse nulla: neppure l’Italia elevò una protesta. Tra il 1953 e il 1961 gli Eritrei presentarono invano centinaia di denunce al governo imperiale etiopico e inviarono telegrammi di denunce all’ONU. Il 1° settembre 1961 nasceva così il primo movimento di liberazione eritreo: Idrisi Mohamed Adem, a capo dell’FLE (Fronte di Liberazione dell’Eritrea) attaccò un posto di polizia nel Barca, mentre Hamid Idris Awate, classe 1911, ex ascaro, condusse la resistenza contro le intrusioni degli Hadandawa sudanesi e contro bande di Etiopi per difendere la gente della regione di Gash e del Barca.

Finita la colonizzazione imperiale etiopica, nel 1974 cominciò il regime militare di Menghistu spalleggiato dall’URSS, che non solo non abbandonò il rigido centralismo etiopico di marca imperiale ma rafforzò ulteriormente la repressione contro gli Eritrei, che subirono così la terza ondata di violenze coloniali. Per decenni la guerra tra Etiopia ed Eritrea resterà una guerra dimenticata, e nemmeno la sinistra italiana sembrò decidersi sulla strada da intraprendere, appoggiando la rivoluzione del Derg e riconoscendo allo stesso tempo la legittimità della lotta di liberazione eritrea.

Saranno ancora gli Usa a intervenire come mediatori nel Corno d’Africa, dopo la decisione di Mosca di abbandonare Menghistu, e cercheranno di far riaprire il porto di Massaua per soccorrere le popolazioni etiopiche e eritree colpite dalla carestia. Il 21 maggio 1991 Menghistu fuggirà nello Zimbabwe e gli Eritrei riconquisteranno Decamerè, mentre il successivo 24 maggio espugneranno Asmara. Dopo trent’anni di lotte, battendosi con coraggio e senza sostegni internazionali, il popolo eritreo tornerà finalmente indipendente, stremato dalla guerra e sotto lo spettro delle carestie.

La guerra di liberazione eritrea è stata la più lunga della storia africana, e i “tegadelti” (guerriglieri eritrei) riusciranno a conquistare l’indipendenza grazie all’appoggio del popolo eritreo. Questa guerra di liberazione è rimasta sottotraccia, quasi sconosciuta, anche se combattuta parallelamente a quella del Vietnam, che al contrario trovò un gran risalto nei media e nell’opinione pubblica internazionali. Questo perché sfuggiva alla logica dei blocchi e delle alleanze internazionali stabilite dalle due superpotenze. Anche dopo l’indipendenza l’Eritrea non andrà incontro a un periodo di pace, e i conflitti con l’Etiopia saranno formalmente ricomposti solo nel 2018.

Il volume di Michela Wrong racconta proprio la storia di un popolo africano, quello eritreo, disprezzato e calpestato da continue occupazioni straniere, che ha dovuto combattere per decenni e che alla fine è diventato una Nazione. Questa scrittrice ha dato un contributo fondamentale alla comprensione di uno dei conflitti post-coloniali più rilevanti dell’Africa. E aiuta a comprendere anche gli sviluppi attuali nel Corno d’Africa. Al di là delle fake news e delle interpretazioni distorte e faziose dei media.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore