Hiroshima 75 anni dopo

Sono passati 75 anni da quando, il 6 agosto 1945, gli Stati Uniti sganciarono un ordigno nucleare sulla città di Hiroshima, seguito tre giorni dopo dalla stessa operazione su quella di Nagasaki. Le due esplosioni, con le mostruose nuvole a forma di fungo passate alla storia, cancellarono le due città in un attimo, provocando oltre 300mila morti e condannando i sopravvissuti a sofferenze indicibili.

Oggi voglio ricordare le belle pagine del libro di Kenzaburo Oe (“Note su Hiroshima”) dedicate alla memoria degli hibakusha, cioè degli uomini e delle donne che ebbero e che hanno la disgrazia di sopravvivere al bombardamento atomico e che, pur avendo tutte le loro buone ragioni per suicidarsi e sottrarsi ad anni di sofferenze fisiche e psichiche indicibili, hanno preferito e preferiscono sopravvivere in nome della propria dignità umana, spesso senza nemmeno una speranza e certi di dover comunque perire. Ogni anno viene rinnovata la lista degli hibakusha (che in giapponese significa appunto “sopravvissuto”) che muoiono, e che vengono aggiunti al nome di tutti coloro che sono deceduti per causa della bomba. “La realtà di Hiroshima può essere accantonata solo da quanti, di fronte all’evidenza, osano restare muti, sordi e ciechi”, riporta nel suo libro il grande scrittore giapponese, Premio Nobel per la Letteratura del 1994.

Hiroshima, che durante la seconda guerra mondiale era stata risparmiata dai bombardamenti americani, il 6 agosto 1945 alle 8:16 (ora locale) fu oggetto del bombardamento nucleare. Little Boy, così si chiamava la prima bomba atomica utilizzata in un conflitto militare, fu sganciata da un B-29 americano ed esplose ad un’altitudine di 600 metri circa con una potenza pari a 12.500 tonnellate di TNT, provocando la morte istantanea di 130.000 persone; 177 mila furono le persone sfollate, e che perirono negli anni successivi per le radiazioni. Il più grande crimine contro l’Umanità che la Storia ricordi aleggia ancora in questo parco ben curato di Hiroshima.

Dopo aver visitato il cenotafio e il monumento a Sadako Sasaki, la sfortunata bambina che morì nel 1955 per le radiazioni dopo aver realizzato centina di origami di piccole gru, il simbolo della vita, si entra nel Museo della Memoria di Hiroshima. La gente è tanta, e si aspetta pazientemente il proprio turno. Sono i particolari degli oggetti di uso quotidiano ad essere inquietanti, e insieme ad essi le rare fotografie scattate nell’immediatezza del bombardamento; si ritraggono sopravvissuti che stavano a oltre due chilometri dall’epicentro dello scoppio, ma che hanno la pelle a brandelli, liquefatta dal calore, e che sembrano delle ombre. Non hanno più corporeità, sono accovacciati, rannicchiati negli angoli, silenziosi e urlanti di dolore, senza speranza, e senza capire il perché di tanta tragedia. In una gavetta dentro una teca di vetro c’è ancora il pranzo carbonizzato di Shingeru Orimen, uno studente che frequentava il primo anno della Seconda High School della Prefettura di Hiroshima, e c’è la borraccia metallica di Tetsuo Kitabayshi, che di anni ne aveva dodici e si trovava a 600 metri di distanza dall’epicentro ed ebbe la forza (non si sa come) di arrivare fino a casa con ustioni tremende ma che morì il giorno successivo. C’è il triciclo arrugginito e deformato di Shinichi Tetsutami, un bambino di tre anni e undici mesi, che venne letteralmente volatilizzato dal flash nucleare. C’è l’ingresso di una banca dove era seduta Mitsumo Ochi, una donna di 42 anni, di cui è rimasta solo una macchia scura sulla pietra, un’ombra che rappresenta tutta l’oscurità generata dal tremendo bagliore di quel giorno. C’è il volto in pietra di una statua di un Buddha che è stata deturpata e annerita nella sua guancia sinistra, e un’altra completamente scarnificata.

A circa 600 metri di altezza, al momento dello scoppio la temperatura era di 2000 gradi centigradi, e le tegole degli edifici vennero fuse istantaneamente, creando dei conglomerati di andesite che vennero scagliati in alto e poi ricaddero a terra. A Yoshio Hamada crebbero delle orribili e sinistre unghie nere sul dito medio e anulare della mano sinistra. La pelle delle signore rimase piagata dalle radiazioni che impressero sulla pelle e nella carne i motivi geometrici dei vestiti che indossavano. A Norio Nakabayshi, di 17 anni, rimasero nel corpo ben 120 schegge di vetro, che iniziarono a fuoriuscire naturalmente dalla pelle quando di anni ne aveva 29. Si accartocciarono le possenti travi maestre degli edifici, si fusero istantaneamente interi stock di flaconi vitrei per medicine e le ceramiche, creando composizioni surreali. Anche una statua di Daikokuten, il dio della ricchezza, non riuscì a sottrarsi alle deturpazioni, e pure un Jizo dovette subire la violenza del più grande crimine contro l’Umanità che la storia ricordi.

Poi fu la volta della pioggia nera: un temporale fece ricadere al suolo la pollution, e la gente sopravvissuta e riarsa dal calore bevve avidamente quell’acqua radioattiva, ulcerandosi irrimediabilmente la lingua e gli organi interni. In questo calvario visivo alla fine vedo la fotografia della povera Sadako Sasaki deposta nella sua bara il giorno dei suoi funerali (il 26 Ottobre 1955). Le mani giunte stringono una collana, simbolo buddhista della compassione, e il suo candido, innocente volto di bambina sofferente e smagrita è quello di un angelo, di un’apsara celestiale; il volto magro e sofferente di Sadako emerge da un mare di fiori bianchi, crisantemi e margheritine. Accanto a questo volto una mano pietosa ha deposto una piccola bambola paffuta e riccioluta. Sotto la protezione di Jizo, ora Sadako gioca felice nel Paradiso del Buddha Amida.

La vita è sempre davvero un miracolo. Già alla fine del Settembre del 1945, a soli 820 metri dall’epicentro dell’esplosione nucleare una bella pianta di canna sbocciava tra le scorie nucleari, come ci ricorda una foto straordinaria di Eiichi Matsumoto. Verrà forse il giorno che al cenotafio di Hiroshima progettato da Kenzo Tange verrà spenta la fiaccola ardente. Quando la fiamma cesserà vorrà infatti dire che l’ultima arma nucleare sarà stata soppressa, e che la storia morale del Ventesimo secolo è stata definitivamente riscritta. Finalmente capisco il significato delle parole di Kenzaburo Oe, quando dice che “…chi ha conosciuto in prima persona l’orrore della devastazione atomica non può che scegliere il silenzio”. Lasciamo parlare questi oggetti della vita quotidiana deformati, lasciamo parlare la dignità di queste persone tenaci e senza speranza, che hanno sopportato una profonda solitudine interiore, e il proprio tragico destino con un coraggio disumano.

A parte i buoni propositi, sono molti i paesi che ancora decidono di rinnovare i propri arsenali e mentre i trattati per il controllo della proliferazione falliscono o non vengono rinnovati il rischio è quello di una nuova corsa al nucleare. Oggi i paesi che appartengono al cosiddetto ‘club del nucleare’ sono 9. Cinque (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) sono quelli che ammettono ufficialmente di possedere ordigni atomici; quattro (India, Pakistan, Corea del Nord e Israele) hanno condotto test nucleari. Insieme, questi paesi sono in possesso di circa 14.000 testate nucleari, il 90% delle quali è in mano a Stati Uniti e Russia. Il primo trattato per cercare di controllare la proliferazione di armi nucleari nel mondo, il Trattato di non proliferazione (Tnp) del 1970, soffrì di un ‘difetto di base’, poiché imponeva regole diverse agli stati aderenti: a chi già aveva l’arma nucleare era concesso di continuare a svilupparla, mentre a chi non la possedeva era vietato realizzarla. Il Tnp non è vincolante, e se oggi il numero di ordigni nucleari è minore rispetto agli anni della Guerra fredda, è un fatto che molti di quelli ritirati siano stati sostituiti da dispositivi più potenti e versatili.

L’Italia aderisce al citato Tnp che, tuttavia, non limita né regola il dispiegamento delle armi nucleari. Per questo motivo diverse campagne chiedono che il governo di Roma firmi il trattato sul bando totale delle armi atomiche (Tpan) approvato dall’Onu nel 2017 e che avrà carattere vincolante. Ma per entrare in vigore il Tpan deve essere ratificato da 50 Stati e per ora siamo solo a 40. Neanche l’Italia, come molti altri paesi Nato, lo ha firmato. E continuiamo a vivere nell’incubo di una guerra nucleare. Il mondo non ha ancora imparato nulla dalla tragedia di Hiroshima.

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Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore