Etiopia e conflitti interni

Le riforme politiche introdotte in Etiopia dal governo nel 2018 hanno offerto al paese una straordinaria opportunità per porre fine alle consolidate violazioni dei diritti umani nel paese caratterizzate da uccisioni extragiudiziali, torture, maltrattamenti e sparizioni forzate.

La liberazione di migliaia di prigionieri politici ha permesso il ritorno di esponenti dell’opposizione dall’esilio e la registrazione dei loro partiti politici nel paese: al contempo, è avvenuta l’abrogazione delle leggi repressive e antiterrorismo che erano state utilizzate fin dal 2009 per paralizzare i media locali, la società civile e i partiti politici dell’opposizione. Questo processo, che ha portato alla nomina di primo minstro di Abiy Ahmed, di origine oromo, ha inoltre condotto alla storica firma del trattato di pace con l’Eritrea il 16 settembre 2018 a Gedda, dopo decenni di guerra e di conflitto.

Nonostante ciò, mentre passi importanti sono stati fatti per migliorare il clima dei diritti umani nel paese, gli schemi della violenza vecchio stile continuano a permanere nell’ambito delle forze di sicurezza etiopi, e minacciano di far deragliare il processo di pacificazione sociale. Almeno due sono stati inoltre i tentativi di colpo di stato contro Abiy.

Amnesty International ha condotto ricerche sulle violenze che hanno avuto luogo nelle regioni Amhara e Oromia del paese a partire dal 2019 e ha scoperto che membri delle forze di difesa etiopi, forze speciali regionali di polizia, funzionari dell’amministrazione locale e milizie alleate hanno armato gruppi di giovani e vigilanti per compiere gravi violazioni dei diritti umani.

In particolare, l’Oromia in questo momento rappresenta la più grande area di crisi interna. In un paese con un’ottantina di gruppi etnici, gli oromo rappresentano il gruppo più numeroso (34% circa della popolazione), seguiti da ahmara, somali e tigrini. Prima della nomina di Abiy, il potere era sempre stato nelle mani di ahmara e tigrini. L’Oromia ha una lunga storia di rivendicazioni autonomistiche negate. Migliaia di oromo sono stati espulsi dalla regione somala: molti di loro, davanti alla mancanza di prospettive, ai conflitti interni e alla disoccupazione, affrontano a piedi i desolati interni desertici dell’Aussa, seguendo gli antichi itinerari degli schiavisti dell’Ottocento, per raggiungere Obock (Gibuti). Chi riesce a sopravvivere (con temperature che superano i 50°), da Obock varca pericolosamente il Bab el-Mandem sbarcando nello Yemen del sud, un’area di guerra da dove tenta di raggiungere l’Arabia Saudita, dove se giungerà vivo troverà un lavoro da schiavo.

Le aperture politiche di Abiy non sono state tuttavia sufficienti a rispondere alle istanze dei gruppi oromo, e anzi, in alcuni casi, la parziale liberalizzazione dello spazio pubblico e l’allentamento del controllo degli apparati militari e securitari sembrano aver dato nuova linfa a rivendicazioni socio-politiche e tensioni inter-etniche, che hanno portato alla recente uccisione del giovane cantante Hachalu Hundessa. Le sue canzoni, dietro cui si radunava la militanza studentesca, hanno rappresentata un vero e proprio atto di accusa degli oromo contro le anomalie e le inefficienze strutturali del sistema federalista etiopico. Durante i funerali del cantante, avvenuti il 2 luglio 2020, si sono registrati ancora scontri e violenze.

La spinta riformatrice del giovane leader etiopico si è rivelata sinora inefficace a offrire una soluzione politica ai problemi interni dell’Etiopia, e le ragioni di conflittualità etno-comunitaria sembrano aver ripreso vigore nel corso dell’ultimo anno. La sostenibilità stessa del modello politico-istituzionale etiopico appare in discussione: la trasformazione del sistema in direzione di una maggiore apertura democratica richiederà un ripensamento della struttura federale, depotenziando la dimensione etnica. Tuttavia, a seguito dell’emergenza COVID-19 il governo etiope ha dovuto rinviare quello che avrebbe potuto rappresentare il primo voto democratico e multipartitico del paese, previsto inizialmente per il 29 agosto 2020.

Inoltre, dopo il genocidio etnico perpetrato con la creazione delle dighe sull’Omo river, c’è un grande incumbent che rischia di deflagrare. Quello della diga del Grande Rinascimento sul Nilo Azzurro. Egitto, Sudan ed Etiopia sono ai ferri corti per le acque del fiume, in assenza di leggi internazionali che regolamentino l’uso delle acque interne. L’Etiopia è in continua crescita e ha bisogno di energia.

(nell’immagine: foto di Hachalu Hundessa, col tradizionale copricaco di criniera di leone, tratta dalla BBC)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore