Esploratrici italiane (prima puntata)

Il mondo dell’esplorazione, così come la storia della geografia e della cartografia, sembra una “storia senza donne”. In realtà, ci sono nuove mappe che sono il frutto della partecipazione femminile, e che ci parlano di donne straordinarie che seppero aggirare i pregiudizi di genere e lasciarono la loro impronta. Si tratta di figure davvero uniche, di donne che si sono ribellate alle condizioni che impedivano loro la ricerca, il libero movimento e la conoscenza di terre e popoli lontani. Superando mille difficoltà, queste donne hanno affrontato l’ignoto testimoniando qualcosa che andò ben oltre la versione “rosa” del Gran Tour. Molte donne, malgrado le difficoltà poste dalla società e dai costumi del loro tempo, si sono cimentate in viaggi, spesso avventurosi e in paesi lontani, e ne scrissero. E questo era l’unico modo per fare geografia e produrre sapere geografico.

Ci sono nomi di donne-esploratrici che restano leggendari. Parlo, ad esempio di Isabelle Eberhardt, che annegò nel 1904 a ventisette anni in pieno Sahara. Nata a Ginevra da una nobildonna russa, crebbe in un ambiente di alta cultura e iniziò presto a viaggiare in Nord Africa, sotto mentite spoglie e travestita da cavaliere arabo, addentrandosi in territori inaccessibili. “Essere soli significa essere liberi, e la libertà è l’unica felicità accessibile alla natura di un vagabondo”: questo era il suo motto.

Altra figura straordinaria di donna-esploratrice fu indubbiamente Alexandra David- Néel, che a pieno titolo può essere considerata uno dei viaggiatori orientalisti più grandi del Novecento. Venendo all’Italia, mi sono imbattuto nelle mie ricerche sull’Africa Orientale in due figure importanti. Queste donne-esploratrici furono Rosalia Bossiner e Alba Felter.

Rosalia Bossiner, bellunese di origine, sposando il colonnello Pianavia Vivaldi, comandante delle truppe di Asmara, seguì il marito nella Colonia Eritrea dal 1892 al 1896. Scrisse un libro (Tre anni in Eritrea, 1901) nel quale raccolse molte osservazioni sui riti e costumi delle popolazioni indigene, il tutto arricchito da fotografie da lei stessa scattate. Era un’eccellente cavallerizza e si adattò perfettamente al modo di vivere spartano tipico dei militari. Le sue pagine sono scritte con uno stile raffinato e rivelano la sua abitudine alle buone letture. In un clima di generale razzismo e pregiudizio di genere, ebbe parole di genuino rispetto per la cultura eritrea, anche se viziate da un certo paternalismo.

Nel suo libro, Rosalia Pianavia Vivaldi vive l’esperienza di Massaua “come un sogno”. Insieme al marito venne invitata nel bellissimo palazzo del Serraglio, la residenza del governatore Baratieri, e godette di una serata magnifica, contemplando dalla terrazza sul mare lo spettacolo meraviglioso del porto, popolato di barche, di piroscafi e di sambuchi, e inargentato dal chiaro di luna. Altri inviti sopraggiunsero alla mensa degli Scagnozzi, una “gentilissima brigata” di ufficiali e impiegati della colonia, e a quella degli Ufficiali Cacciatori. E infine avvenne la “bicchierata” offerta dal comandante delle truppe, il generale Arimondi (che cadrà nella tragedia di Adua), per festeggiare la sua promozione a colonnello. Più di centocinquanta persone, tutte vestite di bianco, animarono la terrazza amplissima di uno dei palazzi coloniali più importanti, addobbata per l’occasione “all’orientale”: aleggiarono le brillanti note di un valzer. Rosalia accarezzò anche il ghepardo che Arimondi teneva nel suo alloggio.

Ma presto Rosalia seppe anche accennare alle miserie di Taulud ed Otumlo, e si soffermò sulla “vista degli abitanti neri, sudici”, sullo squallore del terreno: descrisse l’aria impregnata di un nauseabondo odore di zibetto, e diventava malinconica alla vista della luttuosa collina di Dogali, “il primo palpito doloroso” che commosse il suo cuore, e che nel 1887 aveva visto il massacro dei soldati italiani per mano di ras Alula.

A Rosalia, in fondo, non piaceva Massaua e la sua vita semi-europea, e dell’Africa amava “che tutto fosse africano”. Nell’Africa intravedeva una “terra di rigenerazione, mitica, antitetica alla civiltà ma per questo salvifica”, un luogo in cui si godeva di condizioni irripetibili in patria, e che le permetteva di realizzarsi in quell’ambito domestico che era negato alla maggioranza delle donne italiane.

Giunta ad Asmara, si chiese come poteva passare il tempo una “povera donna” che non era comandante delle truppe, non era ufficiale, non era soldato e nemmeno agricoltore. Cominciò a persuadersi che “[…] forse, in un’esistenza anteriore, io dovevo essere vissuta in quelle parti, tanto mi son trovata e ho continuato a trovarmi bene”. Ebbe una cameriera sudanese anziché italiana: montava un cavallino abissino anziché andare sul tram; riceveva delle madame con la testa imburrata come un sandwich anziché scambiare confidenze con visitatrici fin de siècle; accolse con gravità i capi locali che venivano a salamarla in gran pompa, con numeroso seguito a cavallo.

Tutto ciò e molto altro a Rosalia parvero naturali. Lasciò il suo appartamento cittadino per “un’elegante palazzina, dalla tinta rosso cupo, dalle persiane verdi e dal tetto di zinco”, che ella addobbò all’orientale e dotato “di un amore di cucina economica”, la prima che mai vide Asmara. E poi aveva un orto, un giardino e un parco per le galline che circondavano la palazzina. Dopo il governo della casa, restava molto tempo per le passeggiate, le cavalcate, i libri, i giornali e le lettere da scrivere agli amici, le fotografie in posa, le visite. L’idillio sarebbe presto terminato, e sarebbero sopraggiunte le angosce per la batosta di Adua, e le paure per la possibile fine dell’esperienza coloniale in Eritrea

(fine prima puntata)

(nella foto: copertina del libro scritto da Rosalia Pianavia Vivaldi)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore