Esploratori lombardi

Ho appena ultimato un nuovo volume, che al momento sta per essere impaginato e sarà venduto prima di fine anno. Si intitolerà “Esploratori lombardi”, e come suggerisce il titolo sarà dedicato all’esplorazione di personaggi lombardi che andarono nell’altrove.

Per appezzare le avventure esplorative e la fragile grandiosità di questi uomini è essenziale avere almeno una visuale sintetica dei contesti storico-culturali in cui questi singoli esploratori operarono. Dietro il mito e la montante agiografia dell’esploratore-eroe, che diventerà purtroppo anche facile strumento della propaganda colonialista e fascista, c’è infatti sempre un preciso retroterra storico e culturale. Oltre alle motivazioni personali, non va infatti mai dimenticato che le influenze sociali e culturali milanesi e lombarde agirono profondamente sulle personalità di questi personaggi, spingendoli inesorabilmente verso l’altrove.

Accanto alla formazione di impronta naturalistica e artistica, i primi esploratori lombardi seppero sempre anche coltivare quella sensibilità sociale e umana che li porterà dapprima ad avvicinarsi al movimento liberal-democratico (fino ai moti di Milano del 1848) e in seguito a valorizzare la diversità antropologica durante i loro itinerari nel mondo. Questa sensibilità non è andata persa, e la ritroveremo nel Novecento affrontando le avventure dei fratelli Castiglioni. A cavallo tra Ottocento e Novecento, tutti questi esploratori lombardi furono così accomunati da una insanabile curiosità che li rese irrequieti nei loro territori d’origine e formidabili perlustratori di nuove conoscenze nelle terre incognite.

I primi esploratori dell’Ottocento agivano su base individuale e con scarsissimi mezzi. Partito dall’Europa nella convinzione di portare a termine un “giro del mondo” che avrebbe dato lustro alle scienze naturali, Gaetano Osculati (nato a San Giorgio al Lambro, frazione di Biassono, il 25 ottobre 1808) fu sicuramente preceduto e influenzato dalle gesta dei conquistadores. Emulando le imprese di Francisco de Orellana, che nel 1542 con un pugno di avventurosi incapaci di risalire la corrente del Napo si lasciò trasportare dal fiume su una zattera, giungendo fino alle foci del Rio delle Amazzoni, un brianzolo, Gaetano Osculati appunto, rimasto solo e senza guide in quell’ambiente così ostile, nel 1847 seppe ripetere quest’avventura, sopravvivendo tra tribù primitive, animali selvaggi, insetti famelici e piante allucinogene. E vide un Nuovo Mondo che era già preda dello sfruttamento del mercato globale.

Antonio Raimondi nacque a Milano il 19 settembre 1826 e fu una figura poliedrica. Alla sua persona è legata la stessa nascita del Perù. Compagno d’armi di Garibaldi a Mentana, fu protagonista alle Cinque Giornate di Milano. Caduti i sogni rivoluzionari, si imbarcò da Genova per il Perù nel 1850. Da autentico esploratore, girava nel Nuovo Mondo a dorso di mulo e spaziò tra botanica, antropologia, etnografia e geologia: redasse la prima carta geografica del Perù divenendo un eroe romantico, ma rimanendo pressoché sconosciuto in patria.

Altro esempio di esploratore romantico dei primordi dell’Ottocento fu Felice De Vecchi. Nato a Milano il 12 febbraio 1816, faceva parte di quella società nobile e salottiera della Milano dei primi dell’Ottocento che pagò con l’esilio l’appoggio ai moti del 1848. Superato il periodo della Restaurazione, a Milano si respirava un clima operoso e curioso verso il mondo. A De Vecchi dobbiamo gli affascinanti giornali di carovana sull’Oriente. La morente potenza turca sprigionava gli ultimi bagliori della sua perduta potenza. Nel declino ottomano andavano così illuminandosi i clamori, i colori e le affascinanti particolarità di quel caleidoscopio di genti tra loro diverse assoggettate all’impero turco.

Manfredo Camperio, che nacque a Milano il 30 ottobre 1826 ed era nipote da parte di madre dei famosi fratelli Ciani (nobili patrioti espatriati che nella loro villa di Lugano ospitarono Mazzini e Garibaldi), fu sicuramente insieme a Cesare Correnti il personaggio chiave intorno al quale si dipanò il movimento proto-coloniale conseguente all’Unità e mossero le prime esplorazioni africane. Combattente anch’egli alle Cinque Giornate di Milano, entrò dapprima nel Comitato direttivo della Società geografica Italiana (SGI), che finanziò la “grande spedizione” africana del 1876 capeggiata da Orazio Antinori, ma se ne discostò a causa dei suoi insuccessi commerciali per fondare nel 1877 a Milano la rivista L’Esploratore e nel 1879 la Società di Esplorazione, di cui la citata rivista divenne l’organo ufficiale.

Intorno alla “corte” di Camperio ruotarono diverse figure importanti della nostra storia esplorativa, tra cui Renzo Manzoni, il nipote del grande Alessandro e autore dei “Promessi Sposi”. Nel maggio del 1877 venne ospitato dal console italiano di Aden che lo incoraggiò ad affrontare un viaggio in solitaria nello Yemen, che dal 1870 era assoggettato alla dominazione ottomana. L’impresa si presentava tutt’altro che agevole. Strade non ne esistevano nello Yemen, bensì solo “[…] stretti sentieri o tra le sabbie del deserto, o in mezzo ai campi coltivati, o nei letti dei fiumi a secco, o su per le montagne. Nel deserto poi esse non sono neppure stabili […]. Ciò non pertanto i Beduini, con una meravigliosa sicurezza di colpo d’occhio, sanno, senza mai ingannarsi, trovare la strada dai più piccoli accidenti, che offrono le dune e i rari cespugli”.

Fu poi la volta di Gaetano Casati, che nacque a Lesmo il 4 settembre 1838. Dopo aver per undici anni prestato servizio nel Mezzogiorno d’Italia nella repressione del brigantaggio, si dimise col grado di capitano e per interessamento di Camperio ottenne nel 1879, quale esperto cartografo, di collaborare col Gessi all’esplorazione del bacino dell’Uelle. Col russo Yunker esplorò la via verso Lado e raggiunse Emin pascià, governatore egiziano della Provincia di Equatoria, nel 1883. La rivoluzione mahdista in Sudan bloccò i tre nelle regioni del Uelle per sei lunghi anni, durante i quali Casati, andato in missione nell’Unioro, riscoprì la tomba di Giovanni Miani e fu imprigionato dal re Cabrega; riuscito a fuggire, raggiunse il lago Alberto e vide per primo il monte Ruwenzori (scalato in seguito dal Duca degli Abruzzi). Nel 1889 insieme ad Emin seguì la spedizione Stanley venuta in loro soccorso e, tornato in Italia, Casati fu accolto con grandi festeggiamenti. Pubblicò nel 1891 la relazione di viaggio Dieci anni in Equatoria e ritorno con Emin pascià, che fu dedicata a Cristoforo Negri (Presidente della SGI), e che vide l’introduzione di Camperio.

Altra figura importante fu quella di Giuseppe Cuzzi. Nato a Colle Brianza il 21 aprile 1843, fu nominato nel 1884 wakil da Gordon pascià a Berber, un centro importante posto a 350 km circa a nord di Khartum e dotato di postazione telegrafica. Brianzolo e garibaldino, non seppe resistere al richiamo dell’Africa, e insieme a Gessi, Messedaglia e Casati faceva parte della ristretta schiera di esploratori italiani presenti in Sudan. Cadde nelle mani dei ribelli mahdisti, che lo costrinsero a recarsi a Khartum per convincere Gordon ad arrendersi, cosa che ovviamente non avvenne. Cuzzi rimarrà prigioniero dei mahdisti per circa 15 anni e per sopravvivere fu costretto a convertirsi all’Islam. In seguito, venne liberato e presentò un memoriale al governo egiziano con cui cercò di discolparsi dalle false e infamanti accuse di tradimento rivoltegli da Gordon. Rientrato in Italia, finì i suoi giorni in miseria al Pio Albergo Trivulzio, dimenticato da tutti.

Luigi Robecchi Bricchetti nacque a Pavia il 21 maggio 1855. Figlio illegittimo di una giovane sarta e di un nobiluomo pavese, ebbe un’istruzione universitaria in Italia e all’estero e conseguì la laurea in ingegneria meccanico-costruttiva. Nel 1885 si recò in Egitto per realizzare un progetto d’illuminazione delle stazioni militari inglesi. Nell’aprile del 1886 fu coinvolto dagli attacchi dei dervisci sudanesi e, fuggendo da Assuan, attraversò il deserto fino ad Alessandria d’Egitto, salvando la pelle ma arrivando senza un soldo. Era ingegnere di professione ma esploratore di vocazione. Nella primavera del 1888 raggiunse Harar, e lì conobbe Arthur Rimbaud, assistendo al famoso mercato degli schiavi di Bubasa. Nel 1891 fu il primo occidentale ad attraversare la penisola somala appoggiato dalla SGI e dal governo italiano, mentre nel 1895 fu incaricato segretamente dal Ministro degli Esteri Blanc di attraversare la Tripolitania sotto le mentite spoglie di un commerciante svizzero, ma fu presto smascherato dai turchi e fu costretto a rientrare in Italia. Nel 1903 divenne membro della Società Antischiavista italiana, e condusse un’attività ispettiva nei confronti della Società del Benadir, ente milanese che faceva capo all’industriale cotoniero Mylius, al Crespi e alla Banca Commerciale Italiana, e che per le gravi irregolarità riscontrate venne sciolta.

Pietro Felter nacque a Roè Volciano (Brescia) il 4 agosto 1856 e operò come agente segreto ad Harar, dove conobbe Rimbaud e Sacconi. In quella località si adoperò per guadagnarsi la stima e fiducia di ras Maconnen, cugino del Menelik e ras di Harar, in un periodo storico in cui stava entrando in crisi la politica filo-scioana dell’Italia. Rientrato in Italia nel 1907 dopo una lunga permanenza nella colonia di Assab, Felter morì di lebbra nel 1915. La figlia Alba ripercorse gli itinerari del padre, e dei suoi trenta mesi di permanenza africana ci ha lasciato un diario di viaggio (Vagabondaggi, soste, avventure negli albori di un impero, 1940) che, oltre ad essere un recupero della memoria familiare, miscela i condizionamenti delle celebrazioni e dei miti ufficiali del fascismo dell’epoca all’esperienza individuale davanti a un’entusiastica avventura ed auto rappresentazione di donna libera.

Il volume si conclude evocando i fratelli gemelli Alfredo e Angelo Castiglioni. Nati a Milano il 18 marzo 1937, nel corso di oltre cinquant’anni di attività esplorativa hanno svolto numerose spedizioni e ricerche in campo antropologico, etnologico e archeologico in tutto il mondo, ma specialmente in Africa. Sempre alla ricerca del mondo africano delle origini, affrontarono negli anni tra il 1960 e il 1965 alcune difficili missioni lungo l’Alto Nilo Bianco, e in particolare la regione di Equatoria e il Sudan meridionale. Vollero intenzionalmente ripercorrere gli itinerari battuti nell’Ottocento da Carlo Piaggia tra le tribù antropofaghe dei Niam-Niam, da Romolo Gessi lungo il Bahr el-Ghazal, il mitico Fiume delle Gazzelle, da Gaetano Casati. in Equatoria e da Giovanni Miani (chiamato il Leone bianco dagli indigeni, per via della sua lunga barba canuta). Con loro profonda meraviglia si accorsero che tra le popolazioni nilotiche dei Dinka, Mundari, Nuer, Shilluk non era cambiato molto rispetto alle descrizioni degli esploratori italiani dell’Ottocento.

Questo libro rievoca le storie di questi esploratori lombardi, non solo per rivendicare la loro appartenenza al nostro territorio, ma soprattutto perché questi personaggi sono per molti aspetti emblematici di quella capacità, tutta milanese e lombarda, di essere soprattutto cittadini del mondo e italiani. Disegnare il ritratto di questi esploratori dell’Ottocento e del Novecento mi ha fatto riscoprire il carattere anticonvenzionale dei loro spiriti liberi, in un’epoca (la nostra) pervasa da conformismo, mediocrità, negatività e dalla chiusura verso la diversità. Come in un appassionante fiction, ho inseguito le gesta di questi uomini avventurosi e straordinari, che hanno ancora molto da insegnarci, muovendomi nelle paludi insidiose delle fonti storico-diplomatiche disperse nei mille rivoli dell’archivistica e della storiografia. Tra un continente e l’altro, dal Nuovo Mondo all’Africa, analizzeremo le loro gesta, le loro conquiste e le loro sconfitte, tra foreste, cannibali, despoti sanguinari, malattie, pestilenze, deserti allucinanti, schiavisti e tribù ostili.

Entrare in contatto con i personaggi di questo libro è stato come rimettersi in viaggio. E proprio come in un viaggio reale, ho scelto itinerari e compagni in funzione di ciò che volevo esplorare. Partendo dalle prime esperienze naturalistiche ed etno-antropologiche, questi viaggiatori contribuirono nel corso degli anni a formare modelli di riferimento intorno ai quali andò generandosi l’identità collettiva dell’intera nazione, e questo in un periodo, quello post-unitario, pervaso da conflittualità sociale e incertezze legate ai processi di trasformazione della vita nazionale. Nella seconda metà del Novecento, infine, coi fratelli Castiglioni il viaggio tornerà ad essere uno strumento di conoscenza e salvaguardia dei valori del mondo arcaico davanti al sopravanzare violento della modernità.

foto: accampamento Mundari (Sudan meridionale). Foto di Alfredo e Angelo Castiglioni

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore