Esploratori italiani in Somalia [prima puntata]

Amici, sto scrivendo un nuovo volume sulla Somalia. Per ora mi limito a mandarvi i profili degli esploratori italiani che la attraversarono. Si tratta di storie spesso tragiche, ma che dobbiamo conoscere, unitamente alla figura del Mad Mullah, per comprendere anche il presente e il futuro di questo fragile paese, che secondo le organizzazioni internazionali rischia davvero di “estinguersi”. La “balcanizzazione” di oggi della Somalia è figlia di quella introdotta dal colonialismo britannico, francese e italiano, e i nuovi martiri di Allah di al-Shabaab, che stanno continuando ad insanguinare il paese, hanno di fatto raccolto l’eredità dei dervisci del citato Mad Mullah. Ma c’è anche un Islam Sufico che l’Occidente dovrebbe valorizzare per tornare a dialogare.

L’interesse italiano per la Somalia fu particolarmente intenso proprio nell’ultimo decennio dell’Ottocento, e Luigi Robecchi Bricchetti non fu l’unico esploratore italiano a percorrere in lungo e in largo l’Africa orientale, dietro l’incoraggiamento della Società Geografica Italiana. Sulla scia dell’entusiasmo nacquero anche altre società che andarono ad affiancare la predetta Società geografica Italiana.

Nacque così una fitta rete di esploratori che strinsero una vera e propria rete finalizzata all’acquisizione coloniale della Somalia, e che seguirono l’esperienza di Cecchi nel Giuba.

Si ricorda, in particolare, la figura di Eugenio Ruspoli, un tenente di cavalleria che nel dicembre del 1891 partirà da Berbera e si spingerà all’interno della Somalia fino alla località di Uranbad, dove incrociò proprio Robecchi Bricchetti già impegnato nella traversata della Somalia. Traversando l’Ogaden, Ruspoli concluse in nome del governo italiano diversi accordi con le popolazioni dell’Etiopia meridionale. Ruspoli avanzò fino allo Uebi Scebeli, ma qui cominciò a scontrarsi con l’ostilità delle tribù native, mentre gran parte dei Somali che costituivano la sua carovana si ribellò e abbandonò, costringendolo a interrompere la spedizione.

Nel dicembre del 1892 Ruspoli tornò in Somalia per una seconda spedizione: nonostante le defezioni per la dissenteria, egli riuscì comunque ad arrivare all’avamposto di Lugh, nella regione di Gedo, un’area altamente strategia in quanto posta al crocevia commerciale (e militare) ai confini tra Somalia, Etiopia e Kenya, e dove Ugo Ferrandi si barricherà col suo fortino tre anni dopo, a valle del tragico epilogo della seconda spedizione Bottego.

Anche il secondo lungo viaggio di Ruspoli finirà nel dramma, quando il 4 dicembre del 1893, durante una solitaria battuta di caccia, egli verrà ucciso da una carica di un elefante. I reduci della spedizione Ruspoli si dirigeranno, lungo un viaggio interminabile, costellato da pericoli e sofferenze, verso la costa del Benadir, giungendo sfiniti ma vivi a Brava l’11 marzo 1895.

I modi della “carovana” di Ruspoli erano davvero violenti, e anticiparono quelli della seconda spedizione di Vittorio Bottego alla ricerca delle sorgenti dell’Omo. E furono proprio tali “incidenti” a rendere ostili le popolazioni indigene. In una lettera del 29 luglio 1893 che Ruspoli stesso scrisse al padre Emmanuele, direttore della Tribuna, leggiamo:

“[…] Nel dopopranzo del giorno 24 [luglio 1893] tre nostri ascari (soldati) destinati a guardia dei cammelli, si permettono violentare una giovane sposa somalese. Risaputa subito la cosa dal secondo della carovana (ex brigadiere dei carabinieri) è inviata in fretta una pattuglia per arrestare i colpevoli e consegnarli prigionieri alla guardia del campo, dove appena giunti vengono legati ciascuno a un tronco d’albero. A questa notizia, ben presto divulgatasi, tutto il paese si leva in armi. Una massa imponente di popolo minaccioso si spinge fino alla nostra zeriba (specie di barricata che cinge tutt’intorno l’accampamento) per reclamare la testa dei violentatori o una somma di denaro equivalente all’onore della donna violentata”.

Pochi anni dopo gli scandali che il tenente Livraghi dei Regi Carabinieri, antesignano dei metodi bruschi che molti Italiani attuarono sistematicamente in terra d’Africa, e l’avvocato Cagnassi commisero a Massaua, e che rimasero clamorosamente impuniti, alla fine di settembre del 1892 Vittorio Bottego partì per la sua prima avventura, che assomigliò fin da subito a un romanzo a forti tinte. Partendo da Berbera, all’epoca appartenente al Somaliland britannico, con la sua carovana di 120 uomini, le 32mila cartucce da sparare, stoffe e merci per lo scambio, quaranta cammelli, sessanta muli e animali da macello, essa si addentrò nell’infernale deserto dell’Ogaden, dove bande di razziatori spazzavano villaggi e mandrie. Tra scene drammatiche, la morte incombeva ad ogni passo: i moribondi venivano mangiati ancora vivi dalle iene

(fine prima puntata)

(nella foto: Vittorio Bottego)

Per chi volesse approfondire la figura di Luigi Robecchi Bricchetti, consiglio la lettura del mio volume “Esploratori lombardi”, Editoriale Delfino, Milano, 2020

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore