Dancalia. Un’avventura tutta italiana

Sino alla fine degli anni Venti della Dancalia non si conosceva quasi nulla. Di essa si sapeva solo che era un’area immensa, arida e torrida, abitata da una popolazione nomade, quella degli Afar, che la miseria rendeva feroce e continuamente aizzata dalle secolari scorrerie abissine. Due spedizioni italiane,  quella di Giulietti nel 1881 e di Bianchi nel 1884 , erano state massacrate nel tentativo di aprire vie commerciali che unissero Assab all’altopiano etiopico attraverso i desolati deserti dell’Aussa, descritti anche da Arthur Rimbaud.

Come ho scritto in un mio volume (“Eritrea. Fine e rinascita di un sogno africano”), da quegli anni più nessuno aveva osato avventurarsi in questo territorio così aspro e difficile. Nel 1920 l’ingegner Cavagnari e il prof. Vinassa de Regny fecero qualche rapida incursione nella Piana del sale alla ricerca di minerali, ma non ne trovarono. Solo nel 1928 una modesta carovana capitanata da Nesbitt attraversò con scarsi mezzi il Gran Rettangolo Dancalo per tutta la sua lunghezza, da sud a nord, partendo il 13 marzo dal ponte dell’Auash sul 9 parallelo e arrivando alla citata Piana del sale sul 15 parallelo dopo 114 giorni lungo 1300 km di incredibile traversata. Passò nei pressi del famoso vulcano Erta Ale ma non lo degnò di uno sguardo.

L’esplorazione della Dancalia fu un’esclusiva dei viaggiatori italiani nel XIX e XX secolo, e prese vigore durante l’epoca fascista. Il paradosso è che attorno a quest’area immensa (50mila km quadrati, di cui 10mila al di sotto del livello del mare), a questa terra estrema e brulla, arida, desolata e priva di ricchezze minerarie, si indirizzarono svariati esploratori italiani, alcuni dei quali (come è già stato detto) perirono tragicamente. Dietro le romantiche finalità “dichiarate” dell’esplorazione geografica e scientifica spesso si nascondevano interessi commerciali, politici e di penetrazione economica. Tutto nacque con l’occupazione di Assab, e tutto terminò con la fine dell’impero coloniale.

Nesbitt ci ha lasciato un libro indimenticabile su queste terre infernali, che ancora oggi racchiudono e disvelano preziose testimonianze sulla storia del genere umano, che attraversando la Rift Valley africana si è diffuso su tutto il globo.

Nel 1928-29 il barone Raimondo Franchetti (da non confondere con Leopoldo) volle ripercorrere di traverso e sul lato più corto la Dancalia, riscoprendo i poveri resti della spedizione Giulietti. Questa volta la carovana fu colossale, così come le spese (tre milioni di lire dell’epoca). Questa imponente e costosa spedizione in Dancalia venne documentata anche da un filmato dell’Istituto Luce: i contatti e le relazioni di in questa regione lo portarono a collaborare con l’intelligence italiana in preparazione della guerra d’Africa del 1935-36.

Franchetti non vedrà mai la pubblicazione in edizione economica della sua opera (“Nella Dancalia Etiopica”), un vero e proprio classico della storia dell’esplorazione mondiale che venne curata da Mondadori già nel settembre del 1935, a un solo mese di distanza dalla sua morte, mentre una precedente edizione non economica di questo libro era stata pubblicata sempre da Mondadori nel 1930 con un’ introduzione di Alberto Pollera, altro grande esploratore italiano che si dedicò in particolare allo studio antropologico delle etnie eritree e che aiutò Franchetti nell’organizzare la spedizione, tenendone il diario di viaggio.

Suggestionato dalle gesta coraggiose e tragiche di Giulietti e Bianchi, Franchetti rivolse la sua attenzione alla Dancalia, dove lo attendeva una durissima avventura esplorativa. C’è una foto contenuta nel suo libro che parla più di mille parole: una carovana infinita di dromedari ripresa da una collina mentre attraversa le desolate lande dancale, aride e biancastre, con scarsa vegetazione e senza ‘acqua. Ancora una volta, come per Giulietti e Bianchi, la Dancalia, coi suoi ricordi tragici, col mistero dei suoi desolati deserti, dei suoi vulcani e delle sue immense lande salate attirava l’attenzione di un esploratore italiano.

Raimondo Franchetti perì l’8 agosto 1935, cadendo da un aereo militare a pochi chilometri da Il Cairo pochi minuti dopo il decollo mentre tornava in volo verso Asmara: le dinamiche di questo incidente non vennero mai chiarite, come quelle che condussero alla morte di Italo Balbo. Franchetti era agli ordini di Vittorio Ruggero nella fornace di Beilul, una desolata località della costa eritrea vicina ad Assab, e mal sopportava il ruolo di gregario. Ruggero, che da addetto militare di Addis Abeba divenne il dirigente dell’Ufficio politico presso il Comando superiore militare di Asmara, detestava Franchetti e lo riteneva un megalomane pericoloso. Alla fine del luglio 1935 Franchetti, stanco delle angherie di Ruggero, decise così di far ritorno in Italia per incontrare Mussolini: raggiante per aver potuto confidarsi col duce chiese di ritornare a Beilul con l’aereo personale di De Bono, un trimotore militare S.81 che, per cause imprecisate, esplose in volo subito dopo il decollo. De Bono invierà un ampolloso e formale telegramma di condoglianze alla vedova di Franchetti, che in una foto d’epoca vediamo assistere alla frettolosa sepoltura del marito ad Assab. Fa troppo caldo e c’è troppo da fare: da lì a poche settimane l’Italia fascista avvierà la sua guerra contro l’Etiopia varcando il Mareb. Oggi le spoglie di Franchetti sono conservate presso il cimitero italiano di Otumlo a Massaua.

In Dancalia oggi molti vanno per turismo, e sono arrivate le strade dei cinesi. L’antico fascino esplorativo però non esiste quasi più. Solo le immote colonne di Dallol, che si ergono dal fondo di un mare salato disseccato, restano a testimoniare la desolazione selvaggia di questi territori. Pilastri senza tempo di questa terra fragile e bruciata dal sole.

[Nella foto: componenti della spedizione Franchetti]

Il filmato dell’istituto Luce sulla spedizione Franchetti è visionabile su https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000051488/1/spedizione-franchetti-nella-dancalia.html?startPage=0

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore