Corfù e il villaggio di Peritheia

Corfù non significa solo mare

Quello che mi ha affascinato maggiormente di Corfù, oltre al mare meraviglioso, sono i piccoli villaggi aggrappati alla sommità dei promontori o sommersi dal mare di ulivi secolari. Qui il tempo scorre ancora lentamente, la gente è ancora ospitale e sincera e si raccoglie nelle tiepide sere d’estate sotto gli alberi maestosi che ombreggiano la piazza principale a parlare e sorseggiare una bibita o un caffè.

Prediligo la zona nord-occidentale dell’isola: il mio luogo ideale è Liapades, una piccola località molto tranquilla, lontana dal caos dei grandi complessi alberghieri e affacciata su una bella baia marina, da dove sono agevolmente raggiungibili le belle spiagge di Paleokastritsa, i bianchi scogli di arenaria di Capo Drastis e soprattutto l’interno dell’isola.

Invaghirsi dell’interno di Corfù con questo mare è quasi da pazzi. Ma tant’è. Attraverso il villaggio di Krimi e sono diretto a Angelokastro, una delle più importanti fortificazioni di Corfù.

Angelokastro

Posto all’estremo nord-ovest dell’isola, fu eretto probabilmente nel periodo bizantino antico (V-VII secolo) anche se non ci sono fonti scritte che lo documentano. Quando la dominazione bizantina nel sud Italia cessò (1071), Corfù divenne automaticamente la nuova frontiera tra impero bizantino e i suoi nemici dell’est. Fu così avviata la fortificazione di Corfù per resistere anche alle minacce dell’ovest dei Normanni di Sicilia. Quando iniziarono le crociate, l’isola venne occupata a più riprese, e nel 1267 finì sotto l’occupazione degli Angioini di Napoli. Angelokastro fu poi ripreso dai Veneziani nel 1386, ed ebbe un grande ruolo fino al 1797, dando rifugio alla popolazione del nord di Corfù che qui si proteggeva dalle scorrerie dei pirati turchi e genovesi.

Il suo Castellano era nominato dal Consiglio della Città di Corfù ed era un nobile dell’isola. Dall’alto del castello lo sguardo spazia per miglia e miglia sugli orizzonti marini. Guardando in basso ci si rende conto di quanto è alto lo strapiombo e si comprende perfettamente per quale ragione il castello rimase inattaccabile per secoli.

Anche l’imperatore tedesco Guglielmo II amava rifugiarsi nell’interno dell’isola. Sopra una roccia in cima alla collina che domina l’oliveto di Pelekas egli amava contemplare gli infiniti spazi verdi e le dolci colline di Corfù.

Old Peritheia

Ma quello che più affascina di quest’isola è un villaggio: rimasto abbandonato per anni sta tornando a nuova vita. Si tratta della Old Peritheia, uno dei più antichi insediamenti.

Questo villaggio risale addirittura al XIV secolo e include circa 130 abitazioni, molte delle quali sono ormai dei ruderi mentre altre sono state restaurate. Il villaggio è densamente costruito ed è un’occasione imperdibile per rivedere un tipico insediamento rurale veneziano del XVII secolo, che al suo interno ha ancora ben sei chiese bizantine.

Non c’è nulla di più affascinante ed evocativo che camminare tra queste bellissime rovine. Il silenzio è così profondo che si percepisce anche il più flebile ronzio: si cammina accanto a piante odorose e penetranti, e lungo i sentieri si calpestano le ciliegie cadute dagli alberi centenari.

Un ramarro mi attraversa la strada furtivamente e per nulla spaventato dalla mia presenza torna nella penombra dei rovi. All’ombra di un gigantesco bagolaro di una taverna sorseggio la famosa tzizimbirra, la limonata tipica di Corfù fatta con limone e addizionata con ginger.

Tutto intorno gli alberi da frutto proseguono la loro vita vegetativa semisommersi dalla macchia mediterranea, e note decine di arnie di api posizionate tra profumati rosmarini. Il monte Pantokrator è a un tiro di schioppo ma non ho le scarpe adatte: nel caldo estivo questi luoghi sono frequentati da serpenti e scorpioni, che si rifugiano nei luoghi impervi e sassosi.

Nell’antichità gli abitanti di Corfù trovarono rifugio in questo villaggio per sfuggire alla malaria costiera e alle scorrerie dei pirati: oggi Old Peritheia dà rifugio a chi, come me, vuole allontanarsi dalla massa turistica e vuole provare emozioni uniche.

La tzizimbirra

Chiudo gli occhi e rivedo le gesta antiche di questo mite popolo, tutto dedito alla coltivazione e alla pastorizia. La vita era semplice, e ogni sera la vita sociale si raccoglieva nelle kafenenie (caffetterie) e nelle taverne.

Mi affaccio dalle finestre e dalle gentili verande di pietra di questi ruderi e vedo a perdita d’occhio alberi di ulivi. Un senso di pace e di serenità s’impadronisce delle mie membra, e con esso tutta la nostalgia per i tempi perduti di questa vita agreste, semplice e pura, dove nell’ultimo sabato di luglio si festeggia ancora un miracolo compiuta dalla Vergine Maria.

Nel 1863 molti bambini del villaggio morirono a causa di una malattia improvvisa (forse difterite). Tutti allora pregarono e si narra che la Vergine esaudì le preghiere arrestando il contagio.

Lascio le tenui colorazioni rosate e ocra di questo ameno villaggio e a malincuore ritorno lungo la costa. Mi rimane quello strambo aroma di tzizimbirra, e anche il palato vorrebbe tornare a ritroso su quei perduti ancestrali monti.

(nell’immagine: Old Peritheia, foto dell’autore)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore