Beltrami e i 200 anni della scoperta delle sorgenti del Mississippi

L’anno prossimo ricorrerà il secondo centenario della scoperta delle sorgenti del Mississippi. Chi le scopri? Un italiano, naturalmente. Si chiamava Giacomo Costantino Beltrami, e ai più oggi il suo nome resta ancora sconosciuto. E come altri esploratori lombardi che lo seguirono, e che ho voluto ricordare nel mio Esploratori lombardi (L’Onda, 2020), il suo era uno spirito libero, di chi aveva vissuto le passioni della Rivoluzione francese e ne aveva assorbito il fermento, rovesciando le sue aspirazioni al di là delle Alpi.

Nacque a Bergamo nel 1779, penultimo di diciassette fratelli. Il padre fu l’ultimo Doganiere generale per Bergamo della Serenissima. Giacomo studia legge ed entra nella magistratura napoleonica. Opera a Parma, Udine, Macerata ed Ancona. Rifiuta l’incarico di Presidente della Corte di Forlì per non sedere tra i giudici che meriterebbero, a suo dire, di venir giudicati anziché sentenziare. Schifato dalla corruzione e dall’immoralità di quell’ambiente, nel 1814 Giacomo si dimette dalla magistratura e si ritira a Filottrano, vicino ad Ancona, dove ha delle proprietà, e dove vive prima di essere assalito dall’inquietudine. Pochi mesi dopo crolla il regime napoleonico e le Marche, secondo le decisioni del Congresso di Vienna, tornano sotto lo Stato pontificio.

Viene così denunciato al tribunale pontificio come sospetto di carboneria e viene mandato in esilio. Si rifugia a Firenze, dove si respira un’aria nuova, quella del patriottismo e del cosmopolitismo. Nel salotto della contessa d’Albany conosce Alfieri, Foscolo e stringe amicizia con gli aristocratici fiorentini. Al processo di Roma il tribunale pontificio lo assolve, ma Giacomo è ormai segnato dallo stigma. Muore anche la sua amata, la contessa Giulia De Medici Spada.

Giacomo pertanto segue volontariamente l’esilio, dapprima viaggiando attraverso l’Europa. Non ha un itinerario preciso. Viaggia e scrive. Nell’ottobre del 1822 salpa da Liverpool diretto a Filadelfia: la navigazione dura due mesi e il viaggio è terribile. La nave ormai a brandelli approda a Filadelfia nel dicembre. Il suo primo libro non esce in Italia e nemmeno in Europa ma proprio a Filadelfia, con l’editore Ashmead, dove sbarca nel 1823. Nel marzo di quello stesso anno parte per raggiungere New Orleans e il Mississippi. Si unisce dapprima alla spedizione militare del maggiore Long, che abbandona il 3 agosto successivo per proseguire da solo con l’assistenza di due indiani, che più tardi lo abbandoneranno. Qualche decennio dopo, anche Gaetano Osculati farà altrettanto lungo la foresta ecuadoregna alla scoperta del fiume Napo.

Col suo ombrello rosso, Giacomo si farà amare delle popolazioni indiane che incontrerà lungo il suo tragitto. Non lo spingeva in quelle terre remote la volontà di dominare e colonizzare degli inglesi e dei francesi, ma solo la sete di conoscenza. Raccolse testimonianze preziose di civiltà che si sarebbero presto estinte, e che i sopravvissuti di quelle civiltà indiane presenti nelle riserve oggi non sono nemmeno in grado di evocare. Si finge un trapper, un cacciatore di pellicce, e conosce sempre più da vicino i nativi americani. Gli indiani Chippewa si stupiscono dei modi gentili e disinteressati di Giacomo, che viene accolto con benevolenza. A lui confidano la loro storia, e la storia delle tribù annientate dai Sioux. Giacomo scriverò il primo dizionario inglese/sioux a beneficio dei pacifici rapporti interrazziali.

Prendendo le distanze dal mito del “buon selvaggio”, Giacomo descrive i nativi americani come esseri umani con pari dignità, non accecati dalla smania di potere e dal possesso dell’Occidente. Oggi Al Civico Museo Caffi di Bergamo sono esposti dei meravigliosi tamburi della medicina. Questi tamburi venivano usati nelle Cerimonie della Midewiwin, la Grande Società di Medicina che gestiva la vita spirituale dei Grandi Laghi occidentali. L’etica della Midewiwin si basava sul concetto che un comportamento corretto allungava la vita, mentre la condotta indegna si sarebbe ritorta contro il malvagio.

Il suo diario di viaggio alla scoperta delle sorgenti del Mississippi diventerà un libro a New Orleans solo nel 1924, Giacomo proseguirà inoltre per il Messico, in piena lotta per l’indipendenza, dove divenne amico del combattente Mariano Herrera, e per Haiti, alle cui vicende dedicherà “La repubblica nera di Haiti”, testimonianza di viaggio che è andata perduta.

Questo grande italiano ci ha lasciato un prezioso insegnamento. Non era un esploratore di professione, e neanche un geografo, ma solo un viaggiatore romantico che divenne un etnografo per caso. Ma fu un grande spirito libertario, che seppe valorizzare l’Altro e guardare la diversità con amicizia e rispetto, ben lontano dalla cultura colonialista che avrebbe presto portato alla tragedia dei nativi americani. Quest’uomo, che si trovava a suo agio tra i “selvaggi”, fu spinto da un’insaziabile curiosità e seppe davvero comprendere l’Anima del Mondo, munito solo della propria forza morale e della propria umanità.

Gli oggetti indiani da lui raccolti sono la commuovente testimonianza di un mondo scomparso, e che una certa letteratura e cinematografia stereotipata hanno per decenni descritto in modo volgare e superficiale. Oggi, proprio grazie agli oggetti salvati da Beltrami, possiamo riflettere sull’armonia della vita degli Indiani d’America, sul loro profondo rispetto per la Terra, sulla saggezza dei loro anziani, sulla libertà e tolleranza che regnava nei loro villaggi, e infine sulla dignità e riservatezza dei loro comportamenti.

(Nell’immagine, la targa commemorativa di Beltrami eretta nello Stato del Minnesota)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore