Augusto Franzoj. La vita come un romanzo salgariano

Quella di Augusto Franzoj è una delle figure più bizzarre e atipiche della storia dell’esplorazione italiana nel mondo. Giornalista vercellese, dopo varie difficoltà seguite alla partecipazione ai moti mazziniani di Pavia e Piacenza, si imbarca nel 1882 per l’Africa con l’intento di recuperare le spoglie mortali dell’esploratore Giovanni Charini, uno dei componenti della “grande spedizione” africana diretta da Orazio Antinori e partita nel 1876, e che perì durante la prigionia presso la regina del Ghera. Privo di mezzi di sostegno, Franzoj fu anche fortemente osteggiato dalle autorità politiche e coloniali dell’epoca. Era infatti una testa calda, un attaccabrighe, e durante la sua missione giornalistica a Massaua aveva scritto articoli che avevano preoccupato non poco i vertici militari.

L’astio delle autorità della colonia di Assab, la prima colonia italiana acquistata da Raffaele Rubattino nel 1869 grazie ai buoni uffici dell’ex missionario lazzarista Giuseppe Sapeto, aumentò quando Pietro Felter (altra figura anticonformista di cui parlerò nel mio prossimo libro intitolato “Esploratori lombardi”, e che verrà nelle prossime settimane pubblicato dalla Editoriale Delfino di Milano) accolse Franzoj, che ritornava ad Assab con le ossa di Chiarini.

Nel 1883, durante una seduta della Società Geografica Italiana, Pietro Antonelli aveva chiesto 50mila lire per prolungare il suo viaggio nello Scioa e prelevare le ossa del Chiarini. Saputa la cosa, Franzoj – che si trovava a Massaua quale inviato speciale del Corriere di Roma – il 20 luglio partì armato di una scimitarra e di un revolver sprovvisto di cartucce percorrendo in solitaria – attraverso 3mila km – tutta l’Abissinia e i paesi Galla. In palese polemica con i viaggiatori di lusso foraggiati dalle società geografiche, Franzoj si inoltrò senza permessi per l’Abissinia a dorso di una mula. Si finse medico, curava e estraeva denti nei villaggi abissini, incontrò Menelik e si recò sulla tomba di Antinori a Let Marefià. Giungendo ad Ancober, assistette al trionfale ingresso dell’Antonelli, vestito di nero. Tra i due c’era un’inimicizia profonda: Franzoj era un isolato, un fuori casta, un contadino del Vercellese sempre pronto alla rissa e al duello, mentre l’Antonelli era un aristocratico romano che della casta fu un esponente di rilievo, oltre che un fine diplomatico. Franzoj, recuperate le spoglie mortali del Chiarini, ritornava così ad Assab. Il tutto spendendo la bellezza di 300 lire!

Il Ministro degli Esteri Mancini così definirà Franzoj “[…] Senza un becco di un quattrino, attacca briga e superbo: si è fatto prestare dieci talleri da un francese ed una sera glieli voleva pagare scagliandogli una bottiglia di birra, in somma è una vera piaga. Gli ho dato di che saldare il debito ed un poco di denaro perché non faccia la figura del mendicante ma i nostri consoli della costa dovrebbero fare il possibile per evitare che un elemento tanto poco buono venga a guastare la illibata riputazione che gli italiani hanno goduto fin qui nello Scioa”.

Felter vede arrivare ad Assab il 28 agosto 1884 un uomo (Franzoj) “[…] brutto, orrido, con una barba ispida e coi capelli lunghi e incolti, quel po’ di pelle petecchiata che faceva capolino tra i capelli e la barba era abbrustolita dal sole, gli occhi incavati. Per tutto vestimento aveva una leggera e bisunta camicia di donna abissina, i piedi avvolti in ritagli di pelle legati con stracci”. Dalla viva voce di Franzoj, Felter seppe inoltre di una carovana di schiavi che stazionava a Raheita, a circa 5 km da Assab: Franzoj descrisse le violenze inaudite e l’orrore a cui venivano sottoposte centinaia di bambine schiave, di cui pochissime sopravvivranno a quel terribile viaggio.

Felter, seguendo le indicazioni di Franzoj, cercò di raggiungere quella carovana, contravvenendo all’ordine di non lasciare mai la colonia. La schiavitù era endemica in quell’area, e i principi assabesi avrebbero da lì a poco rifornito di indigeni l’Esposizione di Torino, che avrebbe chiuso i battenti il 16 novembre 1884.

Le situazioni descritte da Franzoj troveranno una vasta eco nella letteratura popolare dell’epoca attraverso i romanzi africani di Emilio Salgari, che sembra essersi ispirato a lui per costruire alcuni personaggi dei suoi romanzi. In tal modo, la dolorosa esperienza del “terreno” africano si trasformò in un’evasione letteraria di massa. Entrambi morirono suicidi, e Salgari fu visto sulla tomba di Franzoj pochi giorni prima di togliersi la vita.

Il progetto coloniale italiano ha oscillato per decenni tra Mezzogiorno ed Africa. L’Esposizione generale di Torino del 1884 patrocinata dall’avv. Tommaso Villa, uno dei fondatori del Museo del Risorgimento di Torino, ne è un esempio lampante. In un recinto venne infatti riprodotto un villaggio di Assab, la prima sperduta colonia italiana d’oltremare, con indigeni che venivano esposti come animali in un giardino zoologico. Il razzismo cominciò proprio in quegli anni ad essere utilizzato come dispositivo per la costruzione dell’identità nazionale: la costruzione dell’alterità sviluppava infatti allo stesso tempo la costruzione del sé nazionale, e questo in un paese che da secoli aveva una disposizione regionalistica assai accentuata. Fare gli italiani comportava la risoluzione del problema costituito dalle masse di diseredati del Mezzogiorno, percepite come portatrici di un’alterità assoluta e pericolosa. Allo stesso tempo la criminologia positivista di Cesare Lombroso coniava il concetto di delinquente-nato, associandolo ai caratteri somatici dell’individuo. Sul passaggio contraddittorio dagli ideali risorgimentali al colonialismo, e in particolare sulla figura di Tommaso Villa, che fu il presidente di tale Esposizione e fondatore del Museo del Risorgimento di Torino, vi rimando anche al mio volume “Patria, colonie e affari” (Luglio editore, Trieste, 2020).

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore