Attualità di Franz Kafka

“[…] Io ho potentemente assunto il negativo del mio tempo, che mi è certo assai vicino e che io non ho il diritto di combattere, ma, in certo modo di rappresentare. Né al pochissimo di positivo, né al negativo estremo che si rovescia in positivo, io ho partecipato in alcun modo. Io non sono stato introdotto nella vita, come Kirkegaard, dalla mano già cadente del cristianesimo, e neppure ho afferrato, come i sionisti, l’ultimo lembo del mantello ebraico da preghiera che già volava via. Io sono la fine o un principio”

Franz Kafka, Gli otto quaderni in ottavo, Quarto quaderno, in Franz Kafka, Confessioni e Diari (a cura di Ervino Pocar), Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1972, p.750.

Il 3 giugno 2024 ricorderemo il centenario della morte di Franz Kafka. Dopo quasi un secolo i suoi immaginosi e mitici racconti sembrano la descrizione simbolica della condizione odierna dell’uomo, immerso in una realtà che delude le sue richieste, che dispone di lui suo malgrado, lasciandolo senza certezze, esposto ai colpi imprevedibili e gratuiti della sorte.

Kafka fu un isolato: in fuga da un ambiente, quello delle famiglie ebraiche, che sentiva decadente e ristretto, si avventurò e pagò per questa sua eterodossia. Come scrisse nei “Colloqui con Gustav Janouch”, “noi ebrei veniamo al mondo già vecchi” e “il sogno svela la realtà che l’idea si lascia molto indietro”.

In questo mondo il vivere non ci appartiene più, e la nostra esistenza è retta da una legge che l’uomo non si è dato e che può solo subire. La ragione, come potere di precisione e di controllo, viene sempre più umiliata e deve riconoscere che il suo ordine è puramente appariscente; le sue norme regolano ormai solo le zone superficiali della vita.

L’economia liberale, regno della libera concorrenza, che dovrebbe generare benessere, in realtà si palesa come un immenso moloch che genera ciclicamente crisi di sovrapproduzione e di miseria, con impressionanti squilibri nella distribuzione delle risorse, generando una permanente instabilità del vivere. La potenza, palese e occulta, delle leggi del profitto, il regno della finanza e del denaro in cui si converte ogni valore sembrano un gigante che agita la sua immensa clava, i cui colpi irreparabili e luttuosi si abbattono con la irrimediabilità del fato.

Questo stesso meccanismo infernale è sempre più insostenibile, distrugge le risorse ambientali, genera inquinamento, stravolge il clima, condannando le future generazioni a pagare le colpe delle generazioni che le hanno precedute, e che sono vissute in una grande cecità, rifiutandosi di vedere la tragedia imminente.

In questo nostro mondo che diventa sempre più ostile e minaccioso, l’uomo ricerca così nell’intimità e nella solitudine il significato e la dignità dell’esistenza. La tentazione di confinarsi in una tana, di isolarsi, resta alta. La paura del mondo esterno spinge così sempre più ognuno di noi all’isolamento.

Esattamente come il protagonista dell’ultimo racconto di Kafka, scritto poco prima della sua morte, spaventato dall’essere continuamente minacciato dai pericoli, visibili e invisibili, del mondo, l’uomo rischia oggi più che mai di trovarsi isolato, di vivere una vita a distanza, nell’irrealtà dei social-media. Il mondo esterno, in fondo, non è più così desiderabile. Fuori dalle nostre tane, dalle nostre false certezze, dei nostri amici virtuali, tutto è cambiato, e ci attendono minacce sconosciute e pericoli ignoti. Così, l’irrefrenabile voglia di uscire dalla tana viene facilmente addomesticata. E accettiamo passivamente che il nostro desiderio di libertà si affievolisca sempre più.

Stiamo diventando come gli uomini-talpa del racconto di Kafka, imprigionati nelle nostre paure alimentate ad arte dai notiziari e dai media, che fanno a loro volta crescere il bisogno di sicurezza in un’escalation senza fine che rischia di portare tutta l’Umanità sotto la dittatura globale della paranoia.

Dopo il disfacimento della cultura mitteleuropea, a Kafka dobbiamo le creazioni allegoriche che hanno anticipato, con incredibile preveggenza, le attuali forme di alienazione e disumanità della massa. Riparlare di lui e delle sue allegorie ci potrà aiutare a risvegliarci da un sonno in cui siamo sprofondati, e a uscire dalle nostre tane.

Dobbiamo essere grati a Kafka per aver affrontato con coraggio e dignità la vita, e per aver cercato (come gli scrittori antichi) con sue parole di ritrovare l’unità perduta dell’universo e quel senso di poesia oggi minacciata dalla dimensione totalitaria di un mondo (il nostro) sempre più disumano e brutale. E dove le città, a differenza della fascinosa Trieste di Joyce, Svevo e Cergoly, sono ormai piene di Vie dei Coccodrilli e di Stagioni Morte[1].

Ma Kafka non è solo un inventore di ossessioni, ma anche di straordinari effetti comici. La sua lettura risulta tra le più gratificanti e divertenti della letteratura contemporanea. Ai manichini ossequianti al principio di autorità, schiacciati dal Super-ego, fa da contrappeso uno scatenamento dell’Es che interviene sui meccanismi autoritari come un angelo vendicatore. Quello che nasce da questo contrasto è un profondo senso di comicità; una comicità che, come insegna Freud, nasce quando le forze del basso entrano in cortocircuito con le imposizioni del potere, consentendoci per un attimo di aggirarne le infinite censure e rimozioni.


[1] Si tratta dei titoli di due racconti di Bruno Schultz che fanno parte della raccolta “Le botteghe color cannella”.

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore