Adulis, la Pompei africana e il sogno eritreo

 L’avventura esistenziale ed esplorativa dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni, così come quella di tutti i loro predecessori lombardi dell’Ottocento, è stata di buon auspicio per una generale resilienza culturale e scientifica della Lombardia e dell’Italia intera. Anche nella loro impresa di Adulis, antica cittadina portuale che si affacciava sul Mar Rosso, ritroviamo l’homo faber lombardo, la mitica concretezza dei nostri esploratori ottocenteschi, la straordinaria capacità di adattamento e flessibilità che spinge oltre al puro edonismo, all’etichetta e alla vita comoda per inseguire un sogno di libertà e conoscenza, affrontando con dignità e coraggio le difficoltà e le sfide dell’esistenza. “Meglio la tenda del beduino, meglio il dorso del cammello, meglio la continua lotta e la sublime incertezza dell’indomani. In Africa, in Africa! Io voglio morire libero come la sua natura!”, scrisse del resto il capostipite degli esploratori italiani, quell’Orazio Antinori che condusse la “grande spedizione” africana del 1876 e che riposa sotto un maestoso albero di sicomoro presso la stazione etiopica di Let Marefià.

Dal 2011 i fratelli Castiglioni, con un coraggio e una lungimiranza davvero straordinari, iniziarono una serie di importanti missioni archeologiche in Eritrea per riportare alla luce il mitico sito di Adulis, l’antico insediamento adulitano che rappresentò un luogo di interscambio fondamentale tra Etiopia, Penisola Arabica e India, e che divenne la porta dell’impero aksumita. Niente di strano, in fondo, e tutto era alquanto prevedibile. Etiopia ed Eritrea, nonostante i conflitti della storia recente, portano ancora infatti orgogliosamente una lunghissima tradizione di alta cultura e di comunanza che affondano le radici per lo meno al 1000 a.C. Anzi, alcune regioni erano già molto prima in contatto con le antiche civiltà orientali, specialmente con l’Egitto. Oltre che per via mare, almeno dal terzo millennio i paesi bagnati dal Nilo, Egitto e Sudan, erano a contatto anche via terra con la regione dell’odierna Eritrea ed Etiopia settentrionale. Nell’area di confine tra Sudan orientale, Eritrea ed Etiopia si svilupparono nel corso degli ultimi due millenni stati piccoli, ma autoctoni, insomma africani, dalla struttura sociale complessa. Le relazioni dell’Egitto con questi territori “meridionali” sono documentate sia dalle cronache scritte sia dai ritrovamenti archeologici. Ad esempio, proprio ad Adulis (a sud di Massaua) e da altre zone etiopiche provenivano diversi beni d’importazione egiziana. Più di ogni altro oggetto, però, è noto il trono marmoreo di Adulis, il cosiddetto monumentum adulitanum, le cui epigrafi dedicatorie in greco furono trascritte dal famoso navigatore delle Indie, Cosma Indicopleuste, nel VI secolo d.C. Una delle due epigrafi risale addirittura al tempo di Tolomeo III Evergete I (246-222).

Non vi sono pertanto molti dubbi che le relazioni tra Egitto e Africa nordorientale siano state molto durature. Non solo. Adulis sarà per secoli un luogo d’incontro e di scambio tra Egitto, Africa, mondo greco-romano, mondo semitico dell’Arabia meridionale e India, uno straordinario esempio di globalizzazione del mondo antico che, dopo la sua fine e la colonizzazione islamica, verrà replicato nel porto di Massaua, dove prosperò una florida comunità di commercianti Baniani (che era già presente quando nel 1520 arrivarono i Portoghesi). È quasi impossibile stimare adeguatamente il significato che ebbe il commercio per la diffusione, lo sviluppo culturale e religioso e l’articolazione delle reciproche influenze tra mondo romano-mediterraneo e India. Una parte notevole di questi rapporti si svolgeva da tempo nell’area del mare Eritreo, cioè del Mar Rosso, del Golfo Persico e dell’Oceano Indiano e del Golfo Persico e Arabo.

Anche se i contatti tra Egitto, Mediterraneo e Bisanzio s’erano per lungo tempo svolti attraverso il Nilo, toccando anche gli imperi di Nubia e Aksum, la porta d’ingresso principale era tuttavia proprio la costa del Mar Rosso, e in primo luogo l’antico porto di Adulis affacciato sul golfo di Zula. La località esisteva fin dall’epoca tolemaica, quando le rotte commerciali toccavano già l’India attraverso una navigazione di cabotaggio. Buona parte di questi commerci, che andarono intensificandosi con lo sfruttamento dei monsoni, passava attraverso i centri maggiori dell’Arabia meridionale e dell’Africa nordorientale. I rapporti tra Roma, e poi Bisanzio, con Aksum, si svolgevano principalmente proprio attraverso Adulis, che per parte sua era in contatto diretto con l’India. Lo confermano le numerose monete romane e aksumite, vere o falsificate trovate nella stessa India, nonché il denaro proveniente dal subcontinente indiano ritrovato nella regione di Aksum. A Debra Damo, il più antico monastero etiopico del Tigrai costruito sopra un’amba, la cui inaccessibilità lo difese dagli assalti delle armate islamiche di Gran il Mancino, nel 1940 fu rinvenuto un tesoro di centoquattro monete di Kushan, un regno dell’India nordoccidentale che durò dalla seconda metà del I alla seconda metà del III secolo. I sovrani del Kushan regnarono sulla mitica Battriana, ai confini degli attuali India, Afghanistan e Pakistan.

Ma ci volevano ancora una volta le menti coraggiose e visionarie dei fratelli Castiglioni per tentare un’opera davvero improba, ai limiti dell’impossibile: Adulis, questa Pompei del Mar Rosso che ha rappresentato uno dei più importanti empori commerciali del mondo antico, giaceva infatti da secoli derelitta, coperta dal limo e dai sedimenti dell’Haddas, e malgrado alcuni scavi dei primi del Novecento (condotti, tra gli altri, anche dal nostro Paribeni nel 1907) non era mai stata esplorata sistematicamente. Con il giovanile entusiasmo del primo viaggio in Vespa, Alfredo e Angelo si lanciarono così, a settantaquattro anni, in questa nuova impresa, e questo in un periodo in cui Eritrea ed Etiopia non si erano ancora completamente pacificate. Le loro visioni li hanno portati lontano: intorno a loro oggi lavora una squadra affiatata di archeologi, architetti e operatori culturali, che stanno affinando un progetto di valorizzazione del sito e del territorio circostante (tra cui rientra anche Massaua e le cittadine aksumite dell’altopiano eritreo) per la creazione di un vasto parco archeologico e naturalistico, che potrà nei prossimi anni, unitamente alla valorizzazione delle isole Dahlak, diventare un’importante fonte di crescita economica sostenibile per tutta la popolazione eritrea, a completamento di quell’eccellente valorizzazione di Asmara che ha portato nel 2017 all’inserimento della capitale eritrea nel Patrimonio dell’Umanità.

Il sogno eritreo di creare un vasto parco archeologico e naturalistico sta diventando realtà. Merito del grande lavoro dell’Italia migliore che in tutti questi anni ha sempre affiancato i fratelli Castiglioni, e merito anche degli Eritrei che, prendendo sempre più coscienza sulle enormi potenzialità del proprio paese, stanno collaborando per preservare la memoria storica dei loro luoghi per il futuro delle prossime generazioni e per l’Africa intera, un continente che deve potersi risollevare da solo, con le proprie forze, passo dopo passo. Di singole gocce è fatto l’oceano, e investire in cultura è il miglior strumento per garantire sviluppo economico e sociale.

 

(nella foto: pastore ad Adulis, foto di Alessandro Pellegatta)

Pubblicato da pellegatta

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell'esplorazione italiana nel mondo. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al Corno d'Africa. E' membro del comitato scientifico del Museo Castiglioni di Varese. Ha pubblicato diversi libri per le case editrici FBE, Besa editrice, Historica e Luglio editore